14 Aprile 1965
Diletti Figli e Figlie!
Quest'oggi Noi siamo lieti di accogliere la vostra visita con l'augurio di « buona Pasqua ».
Questo augurio, sulle Nostre labbra, non può essere un'espressione puramente convenzionale e sentimentale.
È un augurio che nasce dall'essenza e dalla finalità del Nostro ministero: a che cosa serve infatti il Nostro ministero, se non a ricordare, a rinnovare, a comunicare la Redenzione di nostro Signore Gesù Cristo, la quale ha nella celebrazione della Pasqua la sua rievocazione, non puramente rituale e commemorativa, ma continuativa, estensiva e comunicativa?
La festa di Pasqua è la pulsazione della vita di Cristo nella compagine della Chiesa.
E il ministero sacerdotale è il veicolo umano, è lo strumento vivo, che perpetua e propaga nel tempo e nel mondo il mistero di salvezza, operato da Cristo mediante la sua Passione e la sua Risurrezione.
Se così è, quale augurio può meglio esprimere la Nostra missione pontificale, che quello della « buona Pasqua », rivolto a fedeli che, sia pure per i brevi momenti di questa udienza, sono entrati nel cerchio immediato e sensibile della Nostra conversazione spirituale?
Quale augurio può meglio recare a voi i favori divini, che Cristo ha posti nelle Nostre mani, di quello che vi annuncia il grande avvenimento pasquale, e che nell'umile, ma affettuoso servizio della Nostra carità irradia lo splendore della carità di Cristo per le vostre anime?
Così, questo augurio pasquale, diletti Figli, non vi può lasciare indifferenti, o appena sensibili, come si trattasse d'un semplice saluto qualsiasi, d'un'abituale espressione di cortesia.
L'augurio, che si fa annuncio del mistero pasquale, tende a entrare nei vostri spiriti, come una parola sorprendente e viva, che si dirige al fondo delle coscienze, per svegliarle, per commuoverle, per invitarle ad una risposta meravigliata, ad una comunione fiduciosa, ad una specie di concelebrazione del mistero stesso.
Questo annuncio penetra come una fulgorazione, un lampo nei cuori, quasi per obbligare gli occhi interiori del pensiero e del sentimento ad aprirsi e per inondare di vigore nuovo e di visioni nuove il senso che ciascuno ha della propria vita.
È la forza, è la letizia, è la grazia che entra nell'anima a chi ascolta umile e fedele l'annuncio pasquale, e le dà non solo l'impressione, ma altresì il segreto carisma del rinnovamento, del ritrovamento in Cristo risorto di due termini spesso per noi oscuri, tormentosi e staccati, resi improvvisamente chiari e congiunti: l'uomo e Dio; con quanto di luce, di gioia, di speranza può accompagnare una simile scoperta.
Ricordate i due discepoli che, andando tristi e sfiduciati, nel tramonto, verso Emmaus, sono accompagnati dal misterioso viandante, che parla loro, ricordando le Scritture, del dramma del Messia doloroso e glorioso?
« Non ci ardeva forse - essi commentano poi - il cuore nel petto, mentre per istrada Egli ci parlava e ci spiegava le Scritture? » ( Lc 24,32 ).
Questo Nostro discorso pasquale non è diverso da quello che ogni ministro della parola evangelica vi può fare, anzi ogni fratello, che si fa testimonio della Risurrezione di Cristo.
A Noi piace sempre ricordare il saluto che i buoni cristiani si scambiano al mattino del grande giorno della Risurrezione di Cristo: « È Pasqua! »; saluto che nelle Chiese orientali, spesso accompagnato dal bacio rituale, ancora è segno di riconciliazione fraterna e di fede comune: « Christós anesté », Cristo è risorto, dice l'uno; « alethós anesté », è risorto davvero, risponde l'altro.
Gioia e pace diventano i doni spirituali della festa beata.
Discorso non diverso il Nostro, dicevamo, perché conforme a quello che circola in tutta la comunità del popolo di Dio.
Ma discorso che può per voi acquistare un accento più autorevole e più vivo per essere pronunciato dalle Nostre labbra, a cui è dato da Cristo un incarico speciale e superiore di testimonianza: testes miihi eritis; voi, disse Cristo agli Apostoli, mi sarete testimoni ( At 1,8 ); e discorso più pressante e attuale, per essere l'eco della voce recente del Concilio Ecumenico.
Il quale, come sapete, ha ribadito l'insegnamento che mostra il mistero pasquale essere all'origine e al centro del culto cattolico ( cfr. Const. De Sacra Liturgia, 106 ), e che ripete più volte la condizione, semplicissima ma inderogabile, affinché l'ordinamento dei rapporti stabiliti dalla liturgia tra le nostre anime e Dio, vero e sublime in se stesso, sia vero ed efficace per tutti e per ciascuno di noi: la condizione è la partecipazione viva e personale a tale ordinamento; e ora possiamo dire: al mistero pasquale.
La luce è illuminante e benefica solo per chi apre gli occhi ai suoi raggi; il pane è alimento vitale solo per chi effettivamente di esso si nutre.
La partecipazione, ecco ciò che può rendere efficace il Nostro augurio di buona Pasqua.
La partecipazione nella fede e nel pentimento ai Sacramenti che la Pasqua ci prodiga; e la partecipazione nella devozione e nell'intelligenza al meraviglioso dramma della Redenzione che i riti della Settimana Santa dispiegano in ogni comunità cattolica del mondo, e qui a Roma con rinnovato fervore, per il popolo credente e fedele dell'Urbe, di cui voi, pellegrini e visitatori, siete in questi giorni cittadini graditi.
Possa la Nostra Benedizione rendere valido l'augurio, che nel nome di Cristo vi ripetiamo: « buona Pasqua ».