7 Luglio 1965
Diletti Figli e Figlie,
Sembra a noi occasione felice quella che voi Ci offrite con la visita alla tomba di San Pietro per ripetere una parola esortatrice dell'Apostolo stesso: « Siate santi in tutta la vostra condotta: In omni conversatione sancti sitis » ( 1 Pt 1,15 ).
Vogliamo supporre che ciascuno di voi - di voi sacerdoti, specialmente; di voi religiosi; di voi militanti in associazioni cattoliche - troverà naturale che il Papa ripeta una tale parola;
l'esortazione alla santità della vita è la sintesi più semplice e più alta del magistero pastorale;
è la conclusione teorica ed il principio pratico del messaggio evangelico applicato alla nostra vita;
è l'esigenza indeclinabile per chi voglia davvero ascoltare con fedeltà e seguire con coerenza l'invito della religione cristiana a fondare sul Vangelo la propria concezione della vita e a fissare nel rapporto soprannaturale con Dio il cardine della propria condotta.
Ecco perché il Papa, con tutti i buoni maestri di spirito, ripete: sancti sitis, siate santi.
Volendo discorrere su questa elementare, ma somma raccomandazione, potremmo chiederci due cose: quale sia il significato della parola « santità » nel linguaggio dell'Apostolo, che ce la propone; e, senza approfondire quanto la questione meriterebbe, possiamo dire semplicemente che tale significato è fecondo di non poche spiegazioni:
può intendersi come uno stato di integrità, derivato dalla grazia, che autorizza a chiamare « santi » tutti i battezzati, fedeli alla loro vocazione cristiana;
e può invece riferirsi ad una attitudine morale, tesa ad una perfezione, sempre in fieri, sempre progrediente verso una conformità al volere di Dio, anzi alla stessa santità di Dio:
« Siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro celeste » ( Mt 5,48 ), dice Gesù; e San Paolo aggiunge: « Siate imitatori di Dio, come figli carissimi » ( Ef 5,1 ); per cui religione e santità diventano - insegna Maestro Tommaso ( II-II 81,8 ) - la stessa cosa, solo concettualmente distinte.
Il che sembra autorizzarci a pensare la santità, sì, come cosa altissima, ma nello stesso tempo, per un cristiano, sempre doverosa e possibile.
L'esortazione perciò, che vi rivolgiamo, non è fuori luogo, non è iperbolica; e non è anacronistica rispetto allo stile di vita, che il costume moderno impone a tutti; la santità non è cosa né di pochi privilegiati, né di cristiani dei tempi antichi; è sempre di moda; vogliamo dire è sempre programma attuale ed impegnativo per chiunque voglia chiamarsi seguace di Cristo.
E qui potremmo enunciare la Nostra seconda domanda che riguarda le ragioni, che suggeriscono il richiamo alla esortazione apostolica: siate santi!
E tacendo le ragioni intrinseche ( vi abbiamo tuttavia accennato ) ne indichiamo alcune, rapidamente, estrinseche, cioè suggerite da certe condizioni spirituali proprie del nostro tempo.
E sono chiare.
È palese a tutti che oggi si vive in un periodo di profonde trasformazioni di pensiero e di costume; ed è perciò spiegabile come siano spesso messe in questione certe norme tradizionali, che facevano buona, ordinata, santa la condotta di chi le praticava.
Spiegabile, ma non lodevole, non approvabile, se non con grande studio e cautela, e sempre secondo la guida di chi ha scienza ed autorità per dettare legge del vivere cristiano.
Oggi, pur troppo, si assiste ad un rilassamento nell'osservanza dei precetti, che la Chiesa ha finora proposto per la santificazione e per la dignità morale dei suoi figli.
Uno spirito di critica e perfino di indocilità e di ribellione mette in questione norme sacrosante della vita cristiana, del comportamento ecclesiastico, della perfezione religiosa.
Si parla di « liberazione », si fa dell'uomo il centro di ogni culto, si indulge a criteri naturalistici, si priva la coscienza della luce dei precetti morali, si altera la nozione di peccato, si impugna l'obbedienza e le si contesta la sua funzione costituzionale nell'ordinamento della comunità ecclesiale, si accettano forme e gusti di azione, di pensiero, di divertimento, che fanno del cristiano non più il forte e austero discepolo di Gesù Cristo, ma il gregario della mentalità e della moda corrente, l'amico del mondo, che invece d'essere chiamato alla concezione cristiana della vita è riuscito a piegare il cristiano al fascino e al giogo del suo esigente e volubile pensiero.
Non certo così noi dobbiamo concepire « l'aggiornamento », a cui il Concilio ci invita: non per svigorire la tempra morale del cattolico moderno è da concepirsi questo « aggiornamento », ma piuttosto per crescere le sue energie e per rendere più coscienti e più operanti agli impegni, che una concezione genuina della vita cristiana e convalidata dal magistero della Chiesa ripropone al suo spirito.
E ciò tanto più dobbiamo tenere presente se vogliamo che davvero il cristianesimo, quale la Chiesa cattolica interpreta e vive, abbia funzione di luce, di unità, di rigenerazione, di prosperità, di pace, di salvezza nel mondo moderno.
Chi non sa che solo un cristianesimo autentico merita d'essere vissuto, e che, solo se vissuto in pienezza, esso acquista virtù di salute per la nostra umanità?
Il che significa che di santi ha bisogno la Chiesa ed ha bisogno il mondo; e che pertanto la Nostra umile esortazione: siate santi! merita che voi la accogliate e la ripensiate; e merita che Noi la accompagniamo con la Nostra Apostolica Benedizione.