3 Novembre 1965
Diletti Figli e Figlie!
Noi parlavamo della fede ai Nostri Visitatori della scorsa settimana; della fede che qui, sulla tomba dell'Apostolo Pietro, è quasi da lui stesso ridestata e confermata.
Chi sta in ascolto in questo luogo benedetto non tarderà a sentire sorgere dentro di sé il ricordo di quelle parole semplicissime e straordinarie, che Pietro disse a Gesù, dopo il discorso a Cafarnao, sul pane del cielo, quando Gesù medesimo affermò: « Il pane che Io darò è la mia carne per la vita del mondo » ( Gv 6,52 ), volendo preannunciare sia il suo sacrificio sulla croce, sia il sacrificio eucaristico.
Ricordate che allora vi fu un abbandono di Gesù da parte dei suoi ascoltatori, prima entusiasti poi sconcertati, tanto che solo il gruppo dei discepoli rimase vicino al Maestro, il Quale francamente chiese loro: « Volete andarvene anche voi? ».
Ed è a questo punto che Simone Pietro conserva e riafferma il vincolo che i discepoli, immagine di tutta la Chiesa, avevano con Gesù, quando alla decisiva domanda di Lui egli rispose: « Signore, a chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna » ( Gv 6,69 ).
Ecco: questa affermazione di Pietro, questo suo atto di fede, che sintetizza la fede di tutta l'umanità credente in Cristo, questa parola forte e profonda, che certamente lo Spirito Santo ha fatto scaturire dalla coscienza dell'Apostolo della fede, ciascun pellegrino alla sua tomba sente sorgere nell'interno della sua anima, come se San Pietro gliela suggerisse per farne professione coraggiosa e risolutiva a Cristo Signore: « A chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna ».
Carissimi Figli: Noi vi auguriamo di fare questa esperienza salutare: è quella della fede che nasce dal cuore; è quella della fede facile e gioiosa, che solo i veri seguaci di Cristo possono sperimentare.
Ma osservate: questa professione di fede, a un dato momento, può diventare testimonianza, cioè può esprimersi davanti a chi non la condivide, e forse la osteggia, può diventare pericolosa.
È ciò che è avvenuto a Pietro, il quale non fu soltanto apostolo; fu anche martire.
Così capitò a San Paolo: sulla sua tomba sono scolpite queste semplici parole: Apostolus et Martyr.
E così a tanti seguaci di Cristo, che furono insigniti di questo titolo tragico e glorioso di martire.
Che vuol dire martire?
Martire vuol dire testimonio; ma nella nomenclatura cristiana questo termine ha assunto il significato specifico di testimonio col sangue per la fede di Cristo.
È il titolo privilegiato di colui che ha dato la vita lasciandosi uccidere per causa di Cristo.
È un titolo che suppone un dramma esterno, violento e crudele, un episodio estremamente interessante dell'urto fra due forze, quella disarmata, ma invincibile dello spirito, e quella del potere armato, vittorioso in apparenza, sconfitto in realtà.
È un titolo che suppone un dramma interiore, nel cuore del martire, che mette a confronto sulla bilancia d'una scelta suprema: la fede o la vita; e decide che la fede vale più della vita; egli sa che questa scelta gli farà perdere tutto, lo renderà agli occhi altrui impopolare, fanatico e solitario, forse vilipeso e ridicolo; forse privo anche di quella dignità esteriore, che darebbe grandezza al suo silenzioso e disprezzato eroismo.
Così che la visita alla tomba dell'Apostolo-Martire non solo conforta la fede, ma la scuote; e ci fa sentire altre cose, che non la sola gioia del credere.
Ci fa sentire che la fede è cosa al sommo seria ed impegnativa; ci fa sentire che la professione cristiana non è cosa superficiale e facilmente adattabile a tutte le circostanze; essa caratterizza, essa esige fedeltà, essa comporta rischio e sacrificio, essa vuole animo forte, se occorre fino all'eroismo, fino all'amore supremo: « Non vi è amore più grande - ha detto il Signore - che il dare la vita per chi si ama » ( cfr. Gv 15,13 ).
Così che il visitatore che pensa queste cose, sul sepolcro del martire, rimane scosso e qualche volta turbato.
Vogliamo dirvi, Figli carissimi, che bisogna, sì, avvertire la lezione grave e potente, che parte dalla memoria locale e spirituale del martirio dell'Apostolo primo della fede; ma non per esserne intimiditi e impauriti; ma piuttosto confortati da due aiuti spirituali, che hanno sempre reso glorioso e attraente nella storia della Chiesa il culto dei martiri: l'esempio e l'intercessione.
L'esempio del martire è quanto di più eloquente, di più convincente possa essere proposto ad anime libere e avide di verità per avvicinarle alla verità per cui il martire si immola.
Egli ci ricorda che accanto all'« apertura » dell'apostolo vi è la fermezza del martire; ci ricorda che la verità è una sola ed ha, alla fine, diritti assoluti; ci ricorda che alla verità, alla fede, è dovuta una testimonianza non solo convenzionale, collettiva, in via di massima, ma personale, precisa e, se del caso, costosa, intrepida; e ci ricorda infine che il martire di Cristo non è un eroe a noi estraneo, ma è per noi, è nostro. «L'esempio della morte dei martiri - scrive Pascal - ci riguarda; perché essi sono nostre membra. Noi abbiamo un legame comune con essi: la loro risoluzione può formare la nostra, non solamente con l'esempio, ma perché essa ha forse meritato la nostra » ( Pensées, 481 ).
E questo si riferisce al secondo aiuto che i martiri ci danno: la loro intercessione: È stata la certezza di questa loro azione presso Dio in nostro favore, che ha dato origine nella Chiesa al culto dei Santi.
Essi ci possono ottenere in dono ciò che noi in essi ammiriamo: la loro fede, il loro coraggio, il loro amore a Cristo.
E voi allora, cari Pellegrini e Visitatori, alla tomba di San Pietro, Apostolo e Martire di Cristo, presente l'umile successore del Pescatore diventato Vescovo di Roma, raccogliete le voci stimolanti e i favori incoraggianti, che da lui ci vengono, perché la vostra fede cattolica abbia, per suo esempio e per suo merito, la pienezza e la fortezza che le convengono.
Questo vuole ottenervi, a ricordo di questa udienza, la Nostra Benedizione Apostolica.