10 Novembre 1965
Firenze! Abbiamo presente Firenze a quest'udienza generale; Firenze, qui rappresentata dal suo insigne Pastore, da Noi tanto venerato, il Signor Cardinale Ermenegildo Florit, Arcivescovo di quella insigne Arcidiocesi.
Egli guida a Noi un Pellegrinaggio grande nel numero, sono circa cinquecento persone, più grande nel significato: è il Pellegrinaggio dei Dirigenti e del Personale del celebre Arciospedale di Santa Maria Nuova e degli Stabilimenti sanitari riuniti di Firenze.
Presiede al Pellegrinaggio l'illustre e bravo Dottor Enzo Pezzati, appunto come Presidente dell'Arciospedale, lo accompagnano circa quaranta Medici, quattrocento fra Impiegati ed Infermieri, e sono con loro dieci Cappellati e quarantacinque Religiose della Congregazione delle Oblate di Santa Maria Nuova.
Di gran cuore accogliamo e salutiamo una visita tanto preziosa.
Non possiamo non ricordare la storia ed il merito di questa Istituzione.
A Firenze tutto è storia, tutto è gloria!
Ecco qui un'opera che si collega a memorie dantesche: fondata da quel Folco Portinari, che fu padre alla Beatrice di Dante, ci porta nel cuore d'un prodigioso secolo fiorentino: il Duecento, celebre non solo per le sue travagliate vicende e per gli albori della sua arte - e primo più che albore, meriggio, quello della Divina Commedia -, ma altresì per le sue testimonianze di pietà e di santità cristiana.
Ecco questa che, sorta allora per iniziativa di carità privata, può ben dirsi uno dei più antichi grandi Ospedali europei.
Un'altra istituzione, quella delle Oblate fiorentine, fondata da Monna Tessa, nutrice di Beatrice, s'innesta nella prima, forma una delle prime famiglie religiose dedicate all'assistenza agli infermi, e rinomata anch'essa per esempi di mirabile carità, vive tuttora perpetuando una tradizione di silenziosa bontà, di pia gentilezza, di fiorentina e cristiana umanità.
Piccole origini, ma sempre viva la radice, ora l'albero è cresciuto fino a diventare uno dei maggiori e migliori Ospedali italiani.
Come non Ci diremo felici ed onorati per questo incontro, che Ci dà modo di esprimere la Nostra ammirazione e la Nostra affezione per la Città di Firenze?
Come non diremo a questi Fiorentini, che stanno celebrando il settimo centenario della nascita di Dante, che Noi siamo spiritualmente presente a così importante e significativa rievocazione?
E come non augureremo Noi a questi Fiorentini, e con loro a tutti i loro concittadini, di essere ancor oggi fedeli alle loro meravigliose tradizioni?
E prima fra esse quella che li fa figli della Santa Chiesa, credenti in Cristo, devoti alla Madonna Santissima, e bravi sempre a tradurre la loro fede religiosa in opere di carità e di bellezza?
L'augurio viene dal cuore del Papa, ultimo certamente nel valore, come lo è per ora nel tempo, ma pur sempre Vicario di Cristo, e legato perciò a Firenze da innumerevoli titoli di amicizia e di venerazione; e mentre per voi, qui presenti, Egli auspica ogni migliore prosperità, per le vostre persone e per la grande vostra istituzione ospedaliera, per tutti i Fiorentini, voi compresi, invoca la divina protezione e la chiama dal Cielo con una speciale Benedizione Apostolica.
A tutti i Gruppi e fedeli presenti l'Augusto Pontefice rivolge quindi la sua Esortazione paterna che riassume poi in varie lingue.
A voi, che venite a trovarci in questo periodo di grande tensione operativa e spirituale per la prossima conclusione del Concilio ecumenico, Noi ripeteremo l'invito che, scrivendo ai Vescovi, abbiamo rivolto in questi giorni a tutta la Chiesa, a tutti i fedeli, a quelli specialmente, come voi, che vogliono tenersi col cuore vicino al Papa e condividere con Lui i grandi momenti della vita della Chiesa, come quello che stiamo trascorrendo certamente è.
E l'invito è quello solito: pregate.
L'invito solito, cento volte ripetuto, cento volte conosciuto.
Vi sarà forse qualcuno che penserà ad una mancanza di novità, di originalità, mormorando fra sé: il Papa non sa fare altra raccomandazione che quella di pregare; ottima cosa, ma è sempre la stessa cosa.
Ebbene Noi invertiamo questo facile commento: è sempre la stessa cosa, ma è ottima cosa.
E se è ottima, è, sotto certi aspetti, sempre nuova, non mai esaurita nella sua profonda totalità.
E non può esaurirsi.
Bisogna riflettere alla funzione della preghiera nel grande disegno delle causalità, che reggono l'ordine del mondo; l'ordine, diciamo, teologico-umano, la realtà superiore della nostra vita, il governo della nostra storia, della nostra salvezza.
Ora, sappiamo - per dire le cose con estrema semplicità - che in questo ordine tutto dipende da Dio e tutto dipende da noi, ma per diverso motivo.
Tutto dipende da Dio, perché Lui è la sorgente prima ed unica d'ogni cosa, anche nel regno della libertà umana; e tutto dipende dall'uomo in quanto egli liberamente sceglie la posizione che vuole rispetto all'azione di Dio; cioè Dio è causa, l'uomo condizione.
Perché l'azione di Dio si svolga nel campo dei nostri interessi in maniera a noi favorevole, dobbiamo metterci in condizione - in fase, direbbe il linguaggio meccanico moderno - per agevolare, per rendere possibile l'intervento divino misericordioso.
Questo studio, questo sforzo di metterci in condizione d'essere favoriti dall'operazione di Dio in noi, si chiama preghiera.
La preghiera fa parte cioè del sistema generale dei nostri rapporti con Dio e dell'economia essenziale della nostra salvezza.
Perciò il Signore tanto l'ha a noi raccomandata, come se Egli l'aspettasse da noi per concederci le sue grazie; essa è la causa dispositiva della sua misericordia verso di noi.
« Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto.
Perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova; e a chi picchia sarà aperto » ( Mt 7,7-8 ).
Questo ci fa pensare che Dio è estremamente buono, e che veglia continuamente sopra di noi per vedere se siamo almeno capaci di desiderare, non fosse di meritare, i suoi favori.
Ci ricorda che non viviamo in un mondo governato da un determinismo impersonale, cieco e insensibile, da un fatalismo spietato e inflessibile; ma viviamo sotto lo sguardo amoroso d'un Padre, che come Padre - cioè come sommo Principio sovrano, ma buono, ma accessibile, ma vicino e nostro - vuole essere trattato.
Questo è semplice; ma fondamentale e sublime; e sarebbe facilmente da noi dimenticato, da noi che ci illudiamo tanto facilmente d'essere autosufficienti, se non fossimo continuamente richiamati al dovere, anzi al bisogno della orazione.
Il bisogno dell'orazione cresce in proporzione dell'importanza e della difficoltà di ciò che vogliamo conseguire.
Adesso a Noi preme di conseguire una conclusione felice del grande Concilio ecumenico in atto; ed ecco perché invitiamo i buoni a pregare.
E qui potremmo fare un'altra osservazione molto comune, ma molto interessante, circa l'efficacia impetrativa, dell'orazione; e cioè: questa efficacia vale non solo per colui che prega; vale altresì ( in misura a noi non calcolabile, ma effettiva ) per altri, per coloro per cui si prega.
È trasmissibile.
Vale a dire che la preghiera può assumere proporzioni immense; quelle delle cause buone per le quali a Dio è rivolta.
Il che significa che la preghiera può essere carità per il prossimo, può essere - come sapete - apostolato.
E significa ancora che la preghiera è una buona ginnastica per la dilatazione del cuore; essa allarga la sfera ristretta degli interessi personali e spesso egoisti, e la distende ai grandi interessi del prossimo, a quelli della Chiesa e del mondo.
È un'arte di amare, la preghiera; è carità spirituale; è il mezzo per cui tutti sono resi idonei all'amore del prossimo, alla partecipazione personale alle grandi cause del regno di Dio.
Ecco perché ancora una volta abbiamo esortato tutti alla preghiera; il Concilio ha bisogno d'essere benedetto dal Signore, soprattutto al suo epilogo; non deve venir meno all'ultima ora la ricchezza di grazie, che lo ha finora accompagnato.
E Noi speriamo che la Nostra esortazione troverà ascolto in voi qui presenti, per primi; e poi in tante anime buone, pie e generose; in tante case religiose votate all'orazione; in tanti luoghi di sofferenze, dove il dolore può essere preghiera.
Anche perché la fine del Concilio vuol essere il principio di quella rinascita cristiana, alla quale esso è indirizzato.
Un nuovo periodo della vita della Chiesa comincia con la chiusura del Concilio: bisogna che il Popolo di Dio vegli fin d'ora per quel grande momento.
Noi lo incoraggiamo con la Nostra Benedizione Apostolica.