7 Dicembre 1966
Diletti Figli e Figlie!
Voi sapete che la Chiesa, in questo periodo successivo al Concilio, sta compiendo uno sforzo di rinnovamento, in ogni senso:
nella conoscenza dei testi conciliari, cercando di studiarli, di capirli, di divulgarli, progredendo così nella conoscenza e nella coscienza di se stessa e cercando di meglio comprendere il disegno di Dio in ordine alla nostra vocazione cristiana, in ordine al modo di vivere questo nostro passaggio nel tempo e nel mondo, e in ordine al destino finale della nostra esistenza;
Cristo, la Chiesa medesima, la Parola rivelata di Dio, il contenuto e lo stile del nostro colloquio con Dio, i rapporti del fedele cattolico con i cristiani disuniti e con i seguaci d'altre religioni, anzi col mondo profano e non credente;
tutto il nostro ordinamento religioso, in una parola, è messo sotto studio al fine di dare nuovo incremento alla nostra fede, alla nostra speranza, alla nostra carità.
E sapete che Noi, in questi familiari incontri settimanali, cerchiamo di destare l'attenzione dei Nostri visitatori sopra questo presente atteggiamento della Chiesa: di ricerca, di risveglio, di rinnovamento, di progresso.
Abbiamo scelto un'immagine scritturale per indicare tale attitudine della Chiesa, atteggiamento che deve essere d'ogni figlio della Chiesa stessa, dev'essere anche il vostro.
L'immagine è quella della costruzione: bisogna, diciamo, costruire la Chiesa; bisogna restaurarla, bisogna edificarla, bisogna ampliarla.
Il disegno completo della sua costruzione non è ancora stato eseguito.
Abbiamo davanti alla mente una parola espressiva di San Paolo ai Corinti, avidi di penetrare nella conoscenza e nell'esperienza del primo annuncio cristiano: « Voi, poiché siete amanti dei doni spirituali, cercate di averne in abbondanza per l'edificazione della Chiesa » ( 1 Cor 14,12 ).
Qui sorge una domanda: chi ha ricevuto la fede, e si trova vitalmente inserito nella Chiesa, non è già in possesso di quanto occorre per salvarsi?
La tentazione sorge, variamente assecondata dal cattolico e dal protestante: non basta la fede?
Riflettiamo ora sopra il cattolico, sopra di noi figli della nostra santa Chiesa.
Non è forse vero che noi siamo spesso accusati d'essere così soddisfatti di saperci nella verità e di sentirci così bene guidati ed assistiti dal magistero e dal ministero della Chiesa da esimerci dal fare altri sforzi nella ricerca della verità stessa?
Abbiamo la felice impressione d'essere imbarcati sulla nave della salvezza, e non pensiamo ad altro: essa ci porta da sé al porto finale; basta che il fortunato viaggiatore si mantenga tranquillo e compia qualche modesta osservanza abituale per essere a posto e per non provare altri tormenti spirituali: sul mistero di Dio, sul destino della nostra vita, sulla profondità delle verità e dei problemi religiosi.
La sicurezza di appartenere alla Chiesa cattolica si risolverebbe in una pigrizia spirituale, in un'illusione di tutto conoscere e di tutto possedere circa quanto riguarda la religione, in una staticità facilmente inclinata al formalismo, al dogmatismo.
Il cattolico, si dice, non studia, non ricerca, non soffre, non sperimenta il sublime tormento del dubbio, del tentativo, del continuo movimento spirituale.
Non è più grande Ulisse, teso « a divenir del mondo esperto - e delli vizi umani e del valore » ( Dante, Inf. 26 ), che la tranquilla Penelope?
Non bisogna lasciarsi incantare da facili schemi del genere.
A Noi basterà ora dire che la sicurezza della fede garantitaci dalla Chiesa cattolica non deve rendere inerte lo spirito nella ricerca e nell'approfondimento delle verità, che la fede ci fa percepire.
Per due motivi: primo, perché non essendo le verità della fede di per se stesse evidenti, ma accettate per l'autorità di Dio rivelante e accolte dal nostro spirito mediante un atto di volontà, esse esigono un continuo esercizio dell'anima credente per tenere vivo e sincero l'atto di fede; e ciò si dica del fedele studioso e contemplativo, che esercita e adatta le sue facoltà per meglio abilitarle all'atto di fede, come pure si dica dell'uomo moderno, la cui educazione mentale è tutt'altro che incline a credere, mentre è tutta rivolta al vedere, al sapere per via di evidenza e di prove razionali.
E secondo, perché le verità della fede sono abissi, che non avremo mai finito di esplorare.
Approfondire la conoscenza di ciò che la fede ci presenta in modo oscuro, implicito, iniziale, resta sempre un dovere da compiere; dovere tanto più urgente e tanto più grato, in quanto non parte per noi dall'incertezza, non cammina senza direzione e senza guida, ma è gioiosamente e continuamente rivolto a rispondere alla esortazione dell'Apostolo Paolo, che vuole che noi « progrediamo nella scienza di Dio » ( Col 1,10 ), e dell'Apostolo Pietro, che ci ripete la stessa parola: « Crescete nella cognizione di Dio » ( 2 Pt 3,18 ).
Potremmo aggiungere una terza considerazione: « La fede è la base di ciò che si spera » ( Eb 11,1 ), cioè è tutta rivolta ad una prossima rivelazione, è resa vigilante da una continua attesa escatologica; e se davvero è accolta nello spirito del credente, lo obbliga ad uno stato d'animo di perenne aspettativa, di insonne ricerca.
Tutto questo ci ricorda che per essere veramente fedeli dobbiamo vigilare sempre nella ricerca e nell'attesa di Dio, e per essere veramente cattolici dobbiamo sempre aspirare al progresso spirituale e apostolico della Chiesa di Dio.
Questi pensieri si possono adattare al presente periodo dell'Avvento, che sempre ci pone nella ricerca e nell'attesa di Cristo.
E voglia il Signore che anche a ciò servano, con la Nostra Benedizione Apostolica.