31 Maggio 1967
Diletti Figli e Figlie!
Per visitarci voi venite a questa Udienza, per vederci, per sapervi da Noi accolti e benedetti; ma anche, Noi pensiamo, per ascoltare qualche Nostra parola; e codesto desiderio rende per Noi preziosa la vostra visita, anche se non è per Noi lieve difficoltà il soddisfarlo come si deve.
Voi venite per ascoltarci: che cosa vi può essere da parte vostra di più gentile, di più filiale; e che cosa vi può essere da parte Nostra di più ambìto, di più fortunato?
Perché la Nostra missione, la prima: è quella di parlare, di annunciare quel messaggio di Cristo, del quale siamo depositari e del cui insegnamento siamo maestri responsabili.
Che cosa può far maggior piacere ad un maestro, che il vedersi circondato da discepoli avidi di udire la sua voce e d'imparare la sua lezione?
Noi qui, carissimi Figli, vi consideriamo, per un momento almeno, tutti Nostri discepoli, e vi ringraziamo del piacere che questo Ci reca.
Perché dovete sapere che Noi, come quanti con Noi, Vescovi, Sacerdoti, Insegnanti, Genitori, hanno il dovere di trasmettere agli altri la dottrina della fede, la dottrina che salva, proviamo grande pena nel vedere come la gente del nostro tempo ben poco si cura di ascoltare la Nostra voce, ben poco le importa dell'istruzione religiosa, tanto che alle volte pare a Noi di parlare al vento.
Il turbine della vita moderna tanto attrae e travolge gli uomini d'oggi, tanto li impressiona, li riempie d'immagini, di pensieri, di passioni, di desideri, di godimenti, di movimenti, che essi non hanno tempo né modo, pare, di ascoltare l'annuncio di Cristo; e se qualche cosa di esso hanno ascoltato, a scuola o in chiesa, si tratta per loro di un tema così difficile, così sconnesso, e apparentemente così inutile, che spesso più ne riportano noia, che gioia, più idee strane, che luce di guida per l'anima e per la vita.
E questo, carissimi Figli, costituisce il primo ostacolo a quella fede cristiana, che a Noi preme soprattutto insegnare e diffondere.
Ecco pertanto ciò che in questo breve incontro vi diremo per vostro ricordo e per vostro, ammonimento: la fede ha bisogno del maestro.
Cioè d'un insegnamento e di uno studio.
Se non si riesce a stabilire un rapporto normale e sufficiente tra il maestro della fede e il discepolo, la fede o non nasce o non resiste nel cuore e nella vita del discepolo.
Fides ex auditu, la fede deriva dalla ascoltazione, dice l'Apostolo ( Rm 10,17 ).
L'insegnamento religioso è indispensabile; tante volte si ripete questo principio; bisogna prenderlo sul serio.
E qui è bene ricordare il duplice significato della parola « fede »: essa può indicare il sentimento religioso, soggettivo, interiore, l'attitudine cioè dello spirito ad accogliere pensieri, principi, verità religiose; e per noi tale è la virtù della fede, che inizialmente riceviamo col battesimo; e in secondo luogo, essa, la fede, può indicare le dottrine religiose, le cose a cui si presta fede, gli articoli del « Credo », ad esempio.
Vi è infatti una fede personale, « credente », e vi è una fede oggettiva, « creduta ».
Dice bene, con la consueta incisiva chiarezza, San Tommaso: « La fede nasce principalmente per via di infusione; e ciò avviene mediante il battesimo; ma per quanto riguarda la sua determinazione, essa viene mediante l'ascoltazione; e così l'uomo è istruito nella fede dal catechismo » ( in 4 Sent. 4, 2, sol. 3, ad 1; cf. ROUSSELOT, Les yeux de la foi, Recherches de Sc. Rel., 1910 ).
Alla fede concorrono due fattori, ben diversi, e diversamente operanti, ma entrambi necessari:
lo Spirito Santo, cioè l'azione dello Spirito Santo nell'anima, la grazia con le virtù infuse, tra cui la fede;
e il magistero autorizzato da Cristo, e commesso agli Apostoli, ai maestri della fede, al Papa ed ai Vescovi, come riafferma il Concilio, e, come si diceva, alla Chiesa docente, a cui fa eco, come testimonio ispirato, tutto il Popolo di Dio ( cf. Lumen Gentium, n. 12, n. 25 ).
È facile incontrare persone, che dicono d'avere la fede, perché hanno qualche buon sentimento spirituale, o perché da sé ( come tanti Fratelli cristiani da noi divisi ) cercano nella Sacra Scrittura la Parola di Dio, ma con interpretazione personale, sovente libera e arbitraria, e alla fine con significati diversi e contrastanti; non è più la « una fides » ( Ef 4,5 ), l'unica fede voluta da Cristo e predicata dagli Apostoli.
Ed è purtroppo facile incontrare persone dotte e sempre gelose di professarsi cattoliche, che facendo minor conto dell'indispensabile funzione magisteriale della Chiesa, cercano incautamente di adattare le dottrine della fede alla mentalità del mondo moderno, non solo con lo sforzo lodevole di far accogliere e in qualche modo capire tali dottrine, ma con la reticenza, l'alterazione, la negazione altresì di quelle medesime dottrine, secondo le teorie o i gusti delle opinioni oggi correnti.
La fede è libera nell'atto che la esprime; non è libera nella formulazione della dottrina che esprime, quando questa è stata autorevolmente definita.
Ecco perché Noi profittiamo di questo incontro per ripetere a voi la raccomandazione, che avrete tante volte da altri ascoltata: amate l'istruzione religiosa della Chiesa cattolica, nei suoi dogmi, nelle sue espressioni liturgiche, nei suoi libri d'autorevole insegnamento.
Non pensate di avere la fede senza aderire al contenuto della fede, al « Credo », al simbolo della fede ( cioè alla sintesi schematica delle verità di fede ).
Non pensate di ravvivare la vita religiosa, o di avvicinare i lontani, minimizzando o deformando l'insegnamento preciso della Chiesa.
Non crediate che la docile adesione a tale insegnamento mortifichi il pensiero, paralizzi la ricerca, chiuda le vie del sapere e del progresso cristiano!
Si parla tanto oggi del « Kérygma », cioè l'annuncio delle verità evangeliche portatrici della salvezza cristiana.
Sappiate vedere la parentela fra questo annuncio e il catechismo del vostro Parroco, fra la rivelazione divina ed il simbolo della fede; e siate a questa formulazione didattica e liturgica della dottrina della Chiesa gelosamente e gioiosamente attaccati ( cf. Jungmann, Catechetica, pp. 336-337; ed. Paoline ).
Ve lo diremo con la parola d'un Santo, incomparabile figura di Vescovo, di Dottore e di Pastore, S. Ambrogio, pronunciata quando egli spiegava, come un buon catechista qualsiasi, il « Credo » ai suoi neofiti: « Nulla dobbiamo togliere, nulla aggiungere.
Questo infatti è il simbolo che la Chiesa Romana tiene, dove sedette il primo degli Apostoli e dove trasmise il comune pensiero » ( CSEL, 73, Explanatio Symboli, p. 10 ).
Fecondi in voi, Figli carissimi, queste riflessioni la Nostra Apostolica Benedizione.