7 Giugno 1967
Diletti Figli e Figlie!
Questo nostro familiare discorso settimanale sulle cose del regno di Dio è oggi interrotto dall'improvviso e sinistro fragore d'una nuova guerra, che ha per teatro il Paese, per noi sacro e diletto, dove Gesù, il nostro Maestro, il Redentore del mondo, nacque, visse, predicò il Vangelo, fondò la sua Chiesa, fu crocifisso e morì vittima per la salvezza dell'umanità; e dove Egli risuscitò, inaugurando la nuova vita, che deve rigenerare gli uomini nel tempo, facendoli buoni e fratelli, e dispiegarsi in pienezza beata nell'eternità.
Una nuova guerra!
Avremmo creduto di non mai più vedere una simile tragedia nella storia presente e futura dei Popoli, dopo le terrificanti ( e, a giudizio dei saggi, inutili e assurde ) esperienze, che, sempre più gravemente, già ben due volte in questo secolo gli uomini hanno inflitte a se stessi!
Non sapevamo che cosa è la guerra?
Ci vengono alla memoria le parole di Erasmo, il grande umanista del Cinquecento, incise sulla stele a lui dedicata in un parco dell'Aja: la guerra, amata solo da chi non la conosce.
La nostra generazione doveva ben sapere che cosa è la guerra, e che cosa può essere la guerra moderna; ed ecco che pare dimenticata la sua terribile realtà, se ancora si mette fiducia nella sua cieca e micidiale violenza presumendo con essa di mettere ordine e giustizia fra gli uomini.
E da oltre un ventennio si va predicando pace e pace; e questo è il risultato?
Oltre il dolore amarissimo di assistere ad un nuovo conflitto, pesa sull'animo la delusione per l'insincerità, o per l'inanità dello sforzo umano verso l'instaurazione della pace nel mondo: parole, propagande, speranze, istituzioni, promesse, statuti, previsioni, nulla vale dunque a distogliere dal cuore degli uomini, e dalla loro politica, il dèmone dell'odio, della violenza, della vendetta, della crudeltà?
La cinica definizione antica dell'uomo feroce: « homo homini lupus » resta ancora valida dopo secoli di civiltà e dopo la luminosa aurora dei tempi nuovi?
Ecco, Figli carissimi: Noi invece non dispereremo mai della pace, perché non vogliamo disperare degli uomini, e perché sempre vogliamo sperare nella ineluttabile, se pur lenta e contrastata, forza del Vangelo, e nell'aiuto misericordioso di Dio.
Non vi attendete che Noi, in questo momento e in questa sede, pronunciamo un qualsiasi giudizio di merito sul conflitto in corso.
Una sola parola faremo Nostra fra le più sagge e le più autorevoli, che abbiamo udito in questo frangente sovrastare sopra il dramma ormai scatenato:
si sospendano i combattimenti;
alla salvaguardia delle vite umane il Nostro pensiero;
e poi si riprenda il dibattito delle parole eque e ragionevoli;
si dia fiducia agli Istituti promotori dei pacifici rapporti fra le Nazioni;
e Dio voglia che Uomini responsabili di grande spirito sappiano vigorosamente orientare gli animi di tutti verso soluzioni equilibrate, nella giustizia e nella concordia, risparmiando all'umanità lo strazio di tante vittime e di tante rovine, non che il disonore d'un nuovo generale conflitto.
Ed un'altra parola aggiungeremo, ripetendo il Nostro vivissimo voto per l'incolumità dei Luoghi Santi; è infatti di sommo interesse per tutti i discendenti della stirpe spirituale di Abramo, ebrei, musulmani. cristiani, che Gerusalemme sia dichiarata città aperta, e, sgombra di ogni operazione militare, rimanga immune dalle causalità belliche, che già la colpiscono e ancor più tanto facilmente la minacciano.
Noi ne facciamo implorante appello in nome di tutta la cristianità per ciò trepidante, anzi Ci facciamo a tal fine interpreti di tutta l'umanità civile presso i Governanti delle Nazioni in conflitto e presso i Capi militari degli eserciti combattenti: sia risparmiato a Gerusalemme il regime di guerra, e resti la santa città rifugio agli inermi ed ai feriti, simbolo per tutti di speranza e di pace.
Ma parlando a voi, in questa aula di fraternità cattolica e di cristiana preghiera, più che alle turbate condizioni del mondo esterno, al mondo interno dei vostri spiriti e di quelli, a cui giunge l'eco di questa Nostra religiosa esortazione, rivolgiamo l'attenzione per raccomandare alla vostra carità e alla vostra pietà i due doveri, che crediamo principali in quest'ora angosciosa.
Il primo è appunto quello della carità; della carità nel profondo dei cuori, nei sentimenti, nei giudizi, nelle speranze, sembrassero pur queste ingenue e utopistiche.
Dobbiamo amare gli uomini, tutti gli uomini quali sono, anche in questa agitata contingenza, ed anche quando il giudizio su di loro fosse di biasimo e di condanna.
Non ceda il nostro proposito di ecumenica carità alle facili emozioni delle passioni della pubblica opinione; rimanga in noi, come un sogno profetico, la visione d'una umanità composta in un ordine via via più giusto e più umano; e non lasciamo che il tossico dell'antipatia e dell'odio paralizzi i cuori cristiani, che il recente Concilio ha così fortemente iniziati all'universalità dell'amore.
Se lo stato di guerra produce tanto male, fisico e morale, nel mondo, produca per noi tanto più forte proposito di bene e tanto maggiore capacità di desiderarlo e di operarlo.
Ed il secondo dovere, voi lo indovinate, è la preghiera, una preghiera profonda e soave per la riconciliazione degli uomini fra loro;
una preghiera forte, pér ottenere il sopravvento del senso della giustizia;
una preghiera umile, per meritare la virtù del perdono e della ripresa dei buoni desideri;
una preghiera ardente di fede, che meriti il soccorso dell'onnipotenza misericordiosa del Padre celeste.
Sarà questo il modo con cui noi tutti possiamo concorrere al ritorno della pace e al progresso verace dell'umanità.
Così amate e così pregate, Figli carissimi, con la Nostra Benedizione Apostolica.