12 Luglio 1967
Diletti Figli e Figlie!
Uno dei risultati del Concilio, forse il più diffuso, e, sotto certi aspetti, il più importante, è la persuasione che la Chiesa deve accostarsi al mondo, in cui essa vive e noi tutti viviamo.
Il Concilio, con la sua ormai celebre Costituzione pastorale Gaudium et spes circa i rapporti che intercedono e che bisogna instaurare fra la Chiesa e il mondo contemporaneo, ha dato alla Chiesa una grande e difficile consegna, quella di ristabilire il ponte fra lei e l'uomo moderno; e questo impegno suppone e richiede, come ognuno sa, molte cose.
Suppone intanto che il ponte ora non vi sia, o sia poco comunicativo, o che sia addirittura caduto;
e, a ben pensarci, questo stato di fatto è un dramma storico, sociale e spirituale di tremende proporzioni;
vuol dire che la Chiesa, stando così le cose, non sa più offrire Cristo al mondo in modo e in misura sufficienti;
e vuol dire che il mondo non apprezza più la Chiesa quanto dovrebbe, non vede abbastanza Cristo in lei, non ha più in lei la fiducia ch'ella merita;
vi è insomma una distanza, e talora un'ostilità, che fa della Chiesa una straniera, una sopravvissuta, una nemica della società e dello spirito dei tempi nuovi.
Come ricuperare la fiducia dell'uomo, si domanda la Chiesa; come persuaderlo ch'ella gli è madre, gli è amica, gli è necessaria?
Due parole riassumono la psicologia della Chiesa davanti a questo problema: salvezza e servizio.
La Chiesa cercherà di riavvicinarsi all'uomo offrendogli la salvezza, di cui è depositaria, ed il servizio, di cui l'uomo ha bisogno, e che, in un certo senso, solo la Chiesa gli può prestare.
Andare al mondo, ecco dunque la missione che la Chiesa, dopo il Concilio, si propone con nuova lucidità di visione e con nuovo spirito di carità e di sacrificio.
Ma questa missione solleva una serie di problemi interni per la Chiesa, ai quali non si potrà lasciar mancare una risposta, se si vuole che la Chiesa non smentisca se stessa e fallisca subito nella rinnovata missione, ch'ella si propone; e ciò è tanto più opportuno, se pensiamo che la Chiesa siamo noi, ciascuno di noi, quando vogliamo far nostro il programma che il Concilio propone appunto a ciascuno di noi.
Accenniamo appena, e solo a titolo di esempio.
Possiamo noi avvicinarci al mondo, quando il carattere, non solo morale, ma sacramentale, che ci definisce cristiani, ci distingue dal mondo, anzi ci obbliga a certe radicali rinunce, che sembrano separarci in maniera irriducibile dal mondo?
Le promesse battesimali significano ben qualche cosa, e quale cosa!
Esse cercano d'immunizzarci da uno spirito mondano, cioè da una concezione incompleta ed errata della vita; e perciò lo stile del nostro pensiero e della nostra condotta deve nettamente qualificarsi diverso da quello che la vita profana, quando non è illuminata dai principi superiori del Vangelo, offre ai suoi seguaci.
Come potrà il fedele accomunarsi alla gente del mondo, se l'impegno verso Cristo tanto lo possiede e lo governa?
E ancora: anche se vivono insieme, il cristiano e l'uomo del mondo, non camminano in senso inverso?
L'uno cerca il regno di Dio, l'altro il regno della terra.
Non sono incompatibili queste due posizioni, queste due direzioni?
E possiamo aggiungere un'altra obiezione, ch'è forse la più grave.
Un avvicinamento della Chiesa al mondo contemporaneo non esige dalla Chiesa un rivolgimento profondo di tutto il suo essere?
di tutta la sua dottrina?
di tutta la sua legge morale e canonica?
Si è parlato di « aggiornamento »: dunque è consentito l'abbandono della tradizione, dei dogmi, della disciplina filosofica?
delle strutture ecclesiastiche?
Si può dunque modellare a piacimento una concezione nuova della costituzione della Chiesa, e si può sottoporre la sua dottrina ad un'interpretazione nuova e ricavarne una « teologia moderna », che tenga maggiormente conto della mentalità corrente e della sua ripugnanza ad ammettere verità superiori al suo spontaneo intendimento, che non dell'insegnamento definito autorevolmente dalla Chiesa, anzi, talora, della stessa parola scritturale?
Per andare al mondo non è più facile accettare il suo modo di pensare?
o dobbiamo almeno offrirgli un modo originale e punto impegnativo di concepire le cose della religione?
E potremmo aggiungere anche un altro modo di pensare e di agire, che sembra, ma non esattamente, uniformarsi in pieno all'indicazione conciliare, quello cioè di concepire la missione della Chiesa come rivolta primiera,mente e principalmente al servizio dell'uomo, piuttosto che al culto di Dio e all'apostolato religioso.
Voi forse saprete come questa concezione della missione della Chiesa, e del sacerdozio in particolare, abbia interessato ed anche turbato le discussioni nel campo cattolico.
Sarà bene aver presente questa molteplice problematica per risolvere nel senso giusto, voluto dal Concilio, e solo idoneo a quell'avvicinamento della Chiesa al mondo contemporaneo, solo dal quale la Chiesa può avere conferma della sua funzione salvifica e dal quale solo il mondo può trarre luce, forza, rinnovamento, elevazione e salvezza.
Faremo Nostre le parole d'uno scritto recente: « La Chiesa adempirà il suo compito con tanto maggiore fedeltà ed efficacia, quanto più profondamente e più autenticamente ella sarà se stessa » ( Dumont ).
E le rivolgeremo ad ogni singolo cattolico: cerchi egli d'essere se stesso, cioè un vero e buon cattolico, e saprà essere sale e luce nel mondo, come Gesù ci ha detto.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.