24 Gennaio 1968
Diletti Figli e Figlie!
Anche noi, in questa settimana dedicata alla preghiera e alla riflessione per l'unione dei Cristiani nell'unica Chiesa di Cristo, vi diremo una parola, breve e modesta, su questo problema dell'ecumenismo, che ha preso immense proporzioni negli studi, nelle parole, nell'attività dei Cattolici e degli altri Fratelli.
Una parola Nostra, attinta dall'intimità della Nostra personale vita spirituale; una confidenza di padre a figli, quali voi, con codesta presenza alla Nostra udienza settimanale, dimostrate di essere.
Vi diremo che questo movimento ecumenico è stato per Noi uno stimolo molto forte e, speriamo, molto benefico alla carità, alla virtù regina di tutto il sistema morale cristiano, alla virtù che compendia la missione pastorale verso tutta la Chiesa e verso tutta l'umanità, secondo il carisma e secondo il mandato, che Cristo a Pietro e quindi anche a Noi, che gli siamo indegni, ma autentici successori, ha affidati.
Non si creda che parlare d'un aumento di carità nel cuore del Papa sia altruismo retorico, o sia far torto a quella presunta pienezza di carità, ch'è reclamata dal suo stesso ufficio di « praesidens in caritate », che S. Ignazio d'Antiochia all'inizio del secondo secolo riconobbe alla Chiesa di Roma.
Noi abbiamo sempre meditato sul fatto che Cristo abbia non una, ma tre volte domandato a Simon Pietro, nel famoso colloquio dell'ultimo capitolo del Vangelo di San Giovanni, se lo amava, anzi se lo amava più degli altri discepoli ( Gv 21,15ss ), quasi ad indicare la capacità e la necessità d'un progresso nell'amore, che l'Apostolo prescelto a pascere il gregge del Signore a Lui doveva.
Nessuno può mai dire di amare Gesù Cristo abbastanza; e meno di tutti lo può dire chi più di tutti è da Lui invitato, stimolato, con misterioso tormento, ad amarlo.
Ecco perché crediamo di dar lode al Signore dicendo che è parso a Noi di crescere nella carità studiando e sperimentando qualche pò l'ecumenismo, quale il recente Concilio ci ha insegnato.
È noto a tutti che l'ecumenismo nostro è innanzitutto una questione di carità.
Di carità verso quei Fratelli, già insigniti del nome cristiano e già a noi uniti dalla comune rigenerazione mediante uno stesso battesimo e dalla professione di alcune fondamentali verità della fede, ma tuttora distinti e distanti per la mancanza d'identità completa e indispensabile nell'integrità d'una medesima fede e quindi della partecipazione unitaria e perfetta alla comunione dell'unica Chiesa voluta da Cristo.
Le origini di questi distacchi e separazioni, le controversie dottrinali e pratiche che ne derivarono, il timore che una assuefazione alla convivenza e alla conversazione generasse confusione di idee e acquiescenza all'indifferenza religiosa, e tante altre ragioni accrebbero talmente la vigilanza, la diffidenza, la polemica da una parte e dall'altra, ch'era diventata impossibile, se non nel cuore e nel desiderio, certamente nella manifestazione pratica e nello sforzo di conciliazione collettiva, la carità.
Le posizioni rispettive dei Cattolici e dei Fratelli separati sono state per lungo tempo vigilate più per difendersi e per distinguersi, che non per avvicinarsi e per ricongiungersi.
Mancava la carità.
E mancava anche per la convinzione ch'essa, la carità, non basta a produrre quella completa unione, che deve avere per fondamento una fede eguale e un'adesione concreta alla comunità visibile ed organica, che realizza in pieno il nome di Chiesa di Cristo.
Necessaria, non per sé sola sufficiente, la carità per ricomporre l'unione, resta spesso ancora timida ed incerta nelle sue espressioni ecumeniche verso i Fratelli, con cui vorremmo ristabilire sinceri rapporti unitari e completi.
Ma necessaria, diciamo, ma primaria, ma essenziale, la carità per avviare sul buon sentiero la soluzione, sempre complessa e difficile, della questione ecumenica nel senso che Noi crediamo unico e doveroso.
Ed ecco perciò che intendiamo fare dell'ecumenismo conciliare un esercizio nuovo, originale e magnanimo di carità.
Parola facile; in realtà quale superamento di posizioni interiori acquisite e credute normali, quale umiltà, quale generosità, quale castigo al proprio egoismo, quale rinuncia al proprio prestigio, quale forza d'amore esige tale esercizio!
Diciamo questo per Noi; lo diciamo per tutti, pastori e fedeli, che abbiano a cuore l'avvicinamento di questi Fratelli separati, a cui diamo finalmente il titolo di carissimi.
Risuonano senza posa all'orecchio interiore le parole di San Paolo: « La carità è longanime, è benigna; la carità non è invidiosa, non agisce di traverso; non si gonfia, non è ambiziosa, non si irrita, non pensa male, ecc. » ( 1 Cor 13 ).
Parole belle, ma forti; esigono un rifacimento della nostra psicologia e un rinnovamento della nostra energia morale.
Ma a questo punto Noi dobbiamo dire che cominciamo a provare il gaudio che la carità porta con sé.
Quale gaudio per Noi sollevare lo sguardo sui campi sterminati delle Chiese e sulle Comunità cristiane da noi separate, e poterle oggi più che mai contemplare con amore, col nuovo amore che lo Spirito Santo infonde ora alla umanità credente in Cristo; e poter dire a tutti questi Fratelli che Noi, sì, Noi, il Papa di Roma, li amiamo; cioè li stimiamo, cioè li benediciamo.
E quale gaudio vedere che da ogni parte di questi campi, « che già biondeggiano per la messe » ( Gv 4,35 ), giungono a Noi messaggi di amicizia, di bontà, di speranza, che Ci fanno balzare il cuore di commozione e di riconoscenza!
Carità, carità!
Che sia questa la tua ora?
O figli carissimi, procuriamo tutti d'essere degni di prepararle le vie.
Preghiamo, amiamo, operiamo perché la carità sia nei nostri cuori, e possa operare il prodigio del suo trionfo.
Diamo all'ecumenismo cattolico l'attenzione e l'adesione ch'esso si merita; rileggiamo e meditiamo l'ultimo capo del Decreto conciliare sull'Ecumenismo ( n. 24 ) e facciamone nostro programma; e che il Signore tutti ci benedica.