22 Maggio 1968
Diletti Figli e Figlie!
Noi Vi dobbiamo ancora parlare dell'apostolato, cioè della missione propria della Chiesa, e perciò di tutti coloro che alla Chiesa appartengono, rispetto alla salute del mondo, cioè di tutti gli uomini.
La Chiesa, che è al tempo stesso il mezzo e lo scopo dell'apostolato, si pone, specialmente dopo gli insegnamenti che il Concilio ci ha dati sulla natura e sulla missione della Chiesa stessa, questo problema come primario; non lo possiamo dimenticare.
Molti cristiani hanno ancora un concetto troppo individualista della loro religione; la Chiesa viva li richiama non solo al senso comunitario proprio della società dei credenti e dei seguaci di Cristo, ma altresì all'indole e all'obbligazione diffusiva della vocazione cristiana risultanti dal battesimo e dalla partecipazione della vita storica, sociale e dinamica del Popolo di Dio.
Avremmo ancora molte cose da dire sull'attività che ogni fedele deve prestare all'interno della comunità ecclesiale; i bisogni, ch'essa denuncia continuamente, i servizi di cui essa abbisogna per rendere degna, autentica, efficiente la sua compagine, la pluralità di forme d'azione consentite in seno alla famiglia dei credenti, il suo dovere di ringiovanirsi continuamente, sia traendo dal proprio genio apostolico nuove espressioni d'attività benefica alla propria e all'altrui salute, sia cercando di valersi dei mezzi moderni efficaci alla diffusione delle idee e alla formazione degli animi, darebbero materia di parlare di tante attività apostoliche, che attendono sempre dai buoni figli della Chiesa gli operai della sua pratica e effettiva costruzione, tanto nel campo della vita propriamente religiosa, come l'insegnamento della religione, gli esercizi ed i ritiri spirituali, l'apostolato della sofferenza, la propaganda missionaria, l'azione liturgica, l'educazione al canto sacro … come in molti altri campi, primo tra essi la scuola cattolica, e con essa la stampa cattolica, la letteratura e la cultura cattolica, la carità nelle sue cento forme di assistenza, di cura sanitaria e di beneficenza, l'arte cristiana, la promozione sociale delle classi meno abbienti, per arrivare anche alle forme, che per sé si potrebbero dire profane, come il turismo, lo sport, lo spettacolo, il credito, ecc. se non venissero anch'esse spiritualizzate e poste al servizio, più o meno diretto, del regno di Dio, della formazione delle anime, della carità; in una parola, della vita stessa della Chiesa.
Tutta questa attività, che oggi assurge alla dignità e al merito dell'apostolato, si suole classificare, almeno per il suo fine principale, interna alla Chiesa medesima.
Ma all'esterno? la cittadinanza ecclesiale segna il confine dell'attività apostolica, ovvero l'azione della Chiesa va anche al di là del proprio perimetro sociale?
è una religione ecclesiastica la Chiesa, un « ghetto » privilegiato, o è un disegno universale, cattolico?
Nessun dubbio nella risposta: l'azione della Chiesa trascende il suo proprio preciso confine istituzionale; essa deve arrivare alla società intera; deve perciò tradursi in apostolato esterno; tutti lo sanno.
Perché la Chiesa non è istituita solo per se stessa; non è una società chiusa; Cristo le ha aperto tutte le vie del mondo; San Paolo rappresenta l'apostolo « delle Genti », colui che intenzionalmente e effettivamente ha posto il mondo intero come oggetto dell'apostolato cristiano; e la Chiesa dei nostri tempi, quella del Concilio in modo esplicito e categorico, si è non solo definita missionaria, ma si è proclamata al servizio del mondo, di questo nostro mondo, a cui tutti apparteniamo, e di cui tutti avvertiamo il disinteresse, la distanza, l'indifferenza, l'ostilità verso il mondo religioso in genere, e verso quello cristiano e cattolico in specie.
Forse non tutti hanno avvertito l'aspetto paradossale e drammatico della posizione assunta dalla Chiesa cattolica a riguardo del mondo, proprio nell'ora in cui il mondo, nelle parole o nei fatti, dichiara di non aver bisogno di lei, anzi di considerarla istituzione storicamente e culturalmente sorpassata, per di più ingombrante e nociva.
Il laicismo, cioè il proposito di fare a meno di Dio, è la formula oggi di moda.
La sufficienza del mondo a risolvere da sé i suoi problemi, a generare un umanesimo proprio, a darsi il proprio equilibrio, la propria morale, la propria interpretazione dei destini dell'uomo, della sua storia e della sua civiltà, si afferma oggi con caratteri così sicuri e perentori da rendere paradossale, per non dire vano e anacronistico l'inserimento della Chiesa nel processo della vita moderna.
Donde forme di radicale opposizione alla Chiesa, diffuse in varie Nazioni, e soprattutto in vari settori del pensiero e della politica: la Chiesa, si dice, non c'entra.
L'ateismo poi si afferma come la forma religiosa, cioè assoluta, se così si può dire, del laicismo.
E proprio di fronte a questo stato di cose, la Chiesa, con l'audacia, che si potrebbe dire ingenua, se non fosse ispirata, si presenta al mondo, badate bene, come apostolica, cioè intenzionalmente determinata a esercitare la sua missione di « sale della terra », di « luce del mondo » ( Mt 5,14-15 ).
Figli carissimi, bisogna prendere coscienza di questa posizione militante, quasi temeraria, in cui oggi la Chiesa tutti ci pone.
Quando ella limitava la sua predicazione ai suoi figli di separarsi dal mondo, usava parole moleste ( come sempre è la concezione liberatrice del cristianesimo dall'esclusivo godimento del regno della terra ), ma usava, in fondo, parole più facili; ora ella integra, evangelicamente, la sua predicazione, e ci esorta ad essere apostolicamente nel mondo e nello stesso tempo non del mondo ( cfr. Gv 17,15 ); ciò ch'è più difficile, com'è più difficile ad un medico vivere fra ammalati, per guarirli, senza contrarre le loro malattie; o ad un amministratore maneggiare denaro altrui senza indebita appropriazione; cioè per ciascuno di noi essere in mezzo alla nostra società, qual è, piena di seduzione e spesso di corruzione, amandola molto e servendola con dedizione, senza essere assimilati alla sua mentalità, alla sua profanità, alla sua immoralità.
L'apostolato pastorale sa bene queste norme basilari dei suoi contatti con la vita secolare.
Ma i Laici, come si devono comportare?
La domanda esigerebbe non una, ma molte risposte differenziate.
Contentiamoci per ora di una osservazione generale e preliminare: la Chiesa odierna, quella della Costituzione Gaudium et Spes, non teme riconoscere i « valori » del mondo profano; non teme di affermare quello che Pio XII, Nostro predecessore di venerata memoria, già apertamente riconosceva, e cioè una « legittima sana laicità dello Stato », come « uno dei principi della dottrina cattolica » ( A.A.S., 1958, p. 220 ); così la Chiesa oggi distingue fra laicità, cioè fra la sfera propria delle realtà temporali, che si reggono con principi propri e con relativa autonomia derivante dalle esigenze intrinseche di tali realtà - scientifiche, tecniche, amministrative, politiche, ecc. -, e il laicismo, che dicevamo l'esclusione dell'ordinamento umano dai riferimenti morali e globalmente umani, che postulano rapporti imprescrittibili con la religione.
E perciò la Chiesa, mentre riconosce ai Laici, a quelli che vivono nella sfera secolare, cioè senza uffici di ministero religioso, il diritto di svolgere liberamente e validamente la loro attività naturale e profana, non li abbandona, là dove la loro attività si ripercuote nelle loro coscienze; cioè non li lascia senza il duplice lume dei principi e dei fini, che devono orientare e sorreggere la vita umana in quanto tale.
Ed è lo sguardo lucido e docile a questo duplice lume, che può fare della vita secolare, dell'attività profana, un tipo degno di osservazione e di imitazione; un apostolato cioè, che traspare, in esempio specialmente, dallo stile morale e spirituale della condotta del Laico cattolico, e che lo guida ad un costante tentativo di imprimere anche alla sua attività temporale una dignità, una rettitudine, una onestà, un'intenzione di dovere e di servizio, un orientamento, insomma, che vi fa, quasi tacitamente, risplendere un ordine superiore, quello voluto da Dio anche nella sfera delle realtà temporali.
Il Laico cosciente e fedele offre così la sua testimonianza cristiana; la sua probità è il suo silenzioso messaggio; è il suo servizio all'ordine temporale e al bene comune, al quale tale ordine dev'essere rivolto; è il suo apostolato.
L'autonomia della sfera temporale è sottratta alla competenza della Chiesa ( « date a Cesare … » ricordate? ); non è, come ironicamente si dice, clericalizzata; ma nello stesso tempo non è avulsa dall'armonia con le esigenze superiori e complesse della visione integrale dell'uomo e dei suoi superiori destini.
Discorrere di queste cose è delicato e senza fine; ma oggi tanto se ne parla, che nessuno è del tutto ignaro di questa conclamata distinzione del sacro e del profano; mentre molti non sanno quale equilibrio, quale rapporto, quale mutuo ausilio possano risultare da un loro reciproco e riguardoso riconoscimento; e quale temperanza, quale discrezione, quale rispetto all'altrui libertà, e insieme quale ardore di bene, quale provvido aiuto possa apportare il cristiano, che varcando il confine ecclesiale esce nel mondo con intenzione di dilatarvi la luce del regno di Dio.
Vada a quel coraggioso cristiano, con tutti voi, la Nostra Benedizione Apostolica.