5 Giugno 1968
Diletti Figli e Figlie!
Mentre ci avviciniamo alla conclusione di quest'anno, che per la memoria centenaria dei due grandi Apostoli e Martiri della testimonianza originaria del messaggio cristiano, Pietro e Paolo, abbiamo intitolato alla fede, possono in noi sorgere tante domande: se abbiamo, ad esempio, preso sul serio l'invito a riflettere su tale tema capitale, qual è la fede, per l'orientamento della nostra vita, per il dilemma fatale d'un sì o d'un no, che si pone al nostro destino non solo religioso, ma esistenziale ( ricordate le parole di Cristo, registrate dall'evangelista San Marco: « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi invece non crederà sarà condannato » [ Mc 16,16 ] ); e se abbiamo chiarito a noi stessi qualche idea su questa così elementare, ma insieme così profonda e complessa questione; e se qualche proposito in ordine alla nostra fede, di fronte alla rievocazione commemorativa del centenario menzionato, e ancor meglio, di fronte alla formidabile e caotica problematica del presente momento storico, noi siamo stati capaci di formulare.
La fede, dono di grazia, atto di pensiero in cerca di verità e gesto decisivo della nostra volontà, rimane sempre sorgente di problemi vitali; e poi, la fede, complesso obiettivo di verità sublimi e soverchianti la nostra capacità intellettiva, sembra così diversa e così lontana dal campo delle nostre comuni cognizioni; non è acquisita una volta per sempre e non è esaurita nelle poche notizie che noi abbiamo del suo contenuto; esige da noi una continua presenza di spirito, una indefessa professione interiore, un'avvertenza della sua graduale conquista ( ricordate ancora l'esclamazione tanto umana e caratteristica di quel padre implorante per il figlio un miracolo da Cristo, che ne condizionava la concessione alla fede di lui: « Io credo, sì, o Signore; ma Tu aiuta la mia incredulità » [ Mc 9,23 ] ): ci siamo noi un po' allenati a questo faticoso, ma corroborante esercizio?
La nostra religiosità, oggi, dipende in gran parte da una coscienza vigilante ed operante in ordine all'adesione alla fede; essa è il piedistallo su cui montando contempliamo il panorama del mondo sotto la luce di Dio; ovvero è la pietra d'inciampo, che arresta il nostro passo nella regione crepuscolare delle idee personali e delle facili apostasie dottrinali.
Cioè la fede solleva una quantità di questioni e di obiezioni, che non sarebbe onesto, né utile, eludere, se vogliamo essere vittoriosi in lei e per lei: « Questa è la vittoria - scrive l'evangelista Giovanni - che vince il mondo, la nostra fede » ( 1 Gv 5,4 ).
E ciascuno di noi dovrebbe per proprio conto, con l'aiuto di buoni libri, o buoni maestri, con la riflessione paziente e pronta a cogliere i segni dello Spirito, e con la preghiera che invoca la luce, prospettare a se stesso le difficoltà maggiori e persistenti, ch'egli incontra sul sentiero, spesso difficile, spesso misterioso, della fede.
Noi, in questo breve e modesto colloquio, vi presentiamo una fra le tante obiezioni, che la mentalità contemporanea oppone alla fede; e cioè: a che serve la fede?
Abituati come siamo a giudicare le cose sotto l'aspetto della loro utilità, e non già della loro intrinseca realtà, facilmente ci domandiamo, anche in ordine alla fede, quale vantaggio essa ci reca: essa non ammette certo una valutazione economica, che le sarebbe offesa radicale.
E quali altri vantaggi produce, se essa costituisce, nell'ordine intellettuale, un ostacolo, un'anomalia allo sviluppo del nostro pensiero abituato ai metodi positivi, propri delle scienze fisiche e naturali, considerate come norma fondamentale di verità?
Allo spirito scientifico moderno la fede appare priva del rigore proprio delle scienze esatte; la sua natura stessa di conoscenza fondata sulla testimonianza sembra sconcertare e mortificare l'autonomia dell'intelligenza, persuasa di scoprire da sé e da sé controllare le verità che possiede.
E all'azione che cosa giova la fede?
L'uomo moderno è tutto proteso verso l'azione, l'azione pratica, il lavoro.
Anche a questo riguardo non è la fede un ostacolo, una sorgente di dubbi e di scrupoli, una perdita di energia interiore e di tempo esteriore?
Obiezione questa del tutto empirica ed ingiusta; ma quanto forte, se allontana facilmente dalla concezione e dalla pratica religiosa tanta gente, che afferma di non avere né mente, né tempo disponibile per darsi conto della validità, e quindi delle esigenze, che la Parola di Dio, risuonata nella storia e tuttora risuonante nel mondo delle coscienze e degli avvenimenti, fa sorgere davanti all'uomo e alle sue responsabilità.
Vi è un'altra categoria di obiezioni, che hanno avuto nella letteratura contemporanea espressioni vivacissime, le quali respingono la fede proprio per certi vantaggi, ch'essa reca agli spiriti.
Queste obiezioni accusano la fede di offrire illusori rimedi, che favoriscono la mollezza, la debolezza degli animi desiderosi di sogni confortevoli; i così detti conforti della fede rendono deboli e incantati gli animi che li ricevono; la stessa bellezza della fede, di cui tanto si è valsa l'apologia del secolo scorso, è respinta, perché troppo seducente; la fede, secondo questa critica, è presentata come troppo bella per essere vera; il coraggio spregiudicato di certo umanesimo moderno respinge la seduzione d'una fede consolatrice.
E così via.
Questo genere di difficoltà, che impugnano l'utilità della fede, ha un repertorio molto ricco, tanto ch'è ora impossibile farne l'inventario; ve ne sarete forse accorti anche voi vivendo nel tempo nostro.
Ma Noi vogliamo confidare, Figli carissimi, che anche in virtù della vostra esperienza e della vostra riflessione, avrete trovato le risposte alle obiezioni su accennate, e alle altre consimili incontrate sul vostro cammino intellettuale e spirituale.
Tali obiezioni peccano di solito di semplicismo.
Mancano di rispetto alla verità, e le preferiscono l'utilità.
Senza dire che la fede presenta aspetti di reale utilità per la vita integrale dell'uomo da doverla considerare davvero una fortuna.
Non è vero, ad esempio, che la fede sia una paralisi del pensiero e che le sue formulazioni dogmatiche arrestino la ricerca della verità; è vero il contrario.
Il dogma non è una prigione del pensiero; è una conquista, è una certezza, che stimola la mente alla contemplazione e all'esplorazione, sia del suo contenuto, di solito profondo fino all'insondabile, sia del suo sviluppo nel concerto e nella derivazione di altre verità.
Intellectus quaerens fidem, l'intelligenza esercita nella fede la sua ricerca, diceva il teologo medievale e tuttora degno d'esserci maestro, S. Anselmo; e aggiungeva: fides quaerens intellectum, la fede ha bisogno dell'intelletto.
La fede infonde fiducia all'intelligenza, la rispetta, la esige, la difende; e per il fatto stesso che la impegna allo studio di verità divine, la obbliga ad un'assoluta onestà di pensiero, e ad uno sforzo che non la debilita, ma la conforta, tanto nell'ordine speculativo naturale, quanto in quello soprannaturale.
Come non è vero che la fede sia un ceppo all'azione; anche a questo riguardo il contrario è vero: la fede esige l'azione; è un principio dinamico di moralità ( iustus ex fide vivit, l'uomo giusto trae la propria vita dalla fede, è un'espressione sintetica del pensiero di San Paolo [ Eb 10,38 ]; e San Giacomo precisa: « La fede, senza le opere, è morta » [ Gc 2,17 ] ); la fede è un'esigenza di azione, che sfocia nella carità, cioè l'operosità, mossa dall'amore di Dio e del prossimo.
Così non si sostiene lo sdegnoso rifiuto alla fede, quasi essa fosse un artificioso soporifero del dolore umano e un mito fallace, che aliena l'uomo dalla realtà della vita: essa è una verità, sì, splendida e consolante, perché ci rivela disegni mirabili della bontà divina, ma non per addormentare l'uomo nei suoi pericoli e nei suoi travagli; sì bene per dargli coscienza ed energia a sostenerli con virile fortezza.
Ecco: toglie la disperazione, lo scetticismo, la ribellione, di cui l'uomo moderno, non più sostenuto dalla fede, oggi è pervaso; ma gli dà piuttosto il senso della vita e delle cose, la speranza nell'opera saggia ed onesta, la forza di soffrire e di amare.
Si, serve a qualche cosa la fede, e quale cosa!
La nostra salvezza.
Siatene sicuri, Figli carissimi, con la Nostra Benedizione.