23 Ottobre 1968
Diletti Figli e Figlie!
Un'impressione singolare, sebbene non insolita, commuove il Nostro spirito guardando voi, così numerosi, così devoti, così differenziati e insieme così uniti, davanti a Noi, in questa Basilica eretta sulla tomba dell'apostolo San Pietro, che Cristo volle al centro della sua assemblea, dell'umanità raccolta d'intorno a Lui, cioè della sua Chiesa; l'impressione d'un panorama immenso, grande come tutta la terra, come se le pareti della Basilica fossero trasparenti, o quasi scomparissero, e ci lasciassero vedere tutta la Chiesa, fino alle sue estremità, fin dove arriva il nome cattolico, anzi fin dove esso ambisse arrivare, mediante il suo paradossale significato di universale, come avente titolo per abbracciare tutti gli uomini, tutti i popoli, tutto il mondo.
Questa visione spirituale nasce proprio dal significato di questo tempio, costruito con esagerata grandezza, quasi a dimostrare una sua fondamentale ambizione, quella di ospitare le moltitudini e, se fosse possibile, l'umanità intera, con dimensione appunto intenzionalmente cattolica.
Ma state a sentire: questa stessa visione assume al Nostro sguardo interiore una configurazione precisa; mentre si allarga fino ai confini degli orizzonti umani, si contiene in una linea profondamente marcata; e questa linea, che determina una inconfondibile nuova dimensione, percorre il medesimo tracciato cattolico, che prima abbiamo osservato nella sua ampiezza estensiva; questa invece distintiva, contenutiva.
Cioè: appare davanti a Noi la Chiesa intera nel duplice significato del suo gloriosissimo titolo di cattolica; cattolica, vogliamo dire, di estensione potenzialmente universale, e cattolica di intrinseca esigenza unitaria e di inequivocabile definizione ortodossa, cioè piena e autentica.
Cattolico vuole infatti significare, al tempo stesso, universale e ortodosso.
Voi Ci domandate nel silenzio dei vostri animi: perché oggi il Papa ci parla di questi aspetti della Chiesa?
E perché tali aspetti si rispecchiano ai suoi occhi guardando l'assemblea di questa Udienza?
Vi rispondiamo subito: perché domenica, all'inizio di questa settimana, abbiamo celebrato la Giornata Missionaria.
Certamente voi lo sapete.
La Giornata Missionaria pone davanti allo spirito d'ogni credente l'immagine reale, concreta, storico-geografica, etnico-statistica, folcloristica, potremmo dire, della Chiesa, sovrapposta alla immagine ideale che la Chiesa stessa, nell'intenzione misteriosa e misericordiosa di Dio Padre, nell'opera redentrice di Cristo, nella diffusione dinamica e vivificante dello Spirito Santo, dovrebbe assumere e assumerebbe, se la coscienza e l'attività dei fedeli e dei Pastori riuscisse a fare coincidere la realtà storica della Chiesa con il disegno trascendente e invitante del Signore.
La disparità fra le due immagini, per chi comprende qualche cosa dei destini dell'umanità, costituisce un grande tormento e un grande amore; il tormento missionario, che vede in tale disparità il lato negativo, quello della cattolicità limitata, mortificata; e l'amore missionario, che dalla disparità stessa trae lo stimolo alle più nuove, instancabili, coraggiose iniziative per la cattolicità da realizzare effettivamente.
Qui la meditazione incontra due altri principi:
primo, la cattolicità è voluta dal disegno divino della salvezza: Dio, afferma San Paolo, « vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità » ( 1 Tm 2,4 ); e,
secondo, la cattolicità è condizionata ad un servizio umano; la carità salvatrice di Dio per realizzarsi e diffondersi ha bisogno ( nel piano a noi rivelato e prefisso da Cristo ) d'una carità apostolica, ministeriale degli uomini, d'una carità missionaria ( cfr. Rm 10,14-15; 1 Cor 3,9 ).
Fra la cattolicità di diritto e la cattolicità di fatto esiste ancor oggi un abisso.
Un mistero certamente, che solo nelle profondità del pensiero divino ha il suo segreto e la sua spiegazione.
Un dramma parimente, che riguarda innanzi tutto chi nella Chiesa ha responsabilità d'iniziativa apostolica e pastorale, e investe poi tutta la Chiesa stessa, ch'è di natura sua, come segno, come strumento e come termine della salvezza, missionaria, e impone ad ogni suo membro l'obbligo di riconoscere e di assecondare la funzione diffusiva della Chiesa in ordine alla fede e alla grazia.
Questo dramma, cioè questa vocazione e questa obbligazione, spesso nella storia si rallenta, e quasi si addormenta;
e nella coscienza dei Fedeli spesso si attenua, con pretesti che ben conosciamo: non tocca a me; che cosa posso fare io? v'è chi ci pensa, eccetera;
quando tale dramma non si deformi con teorici sofismi: perché darsi tanto da fare? una fede vale l'altra;
ovvero: perché turbare la buona fede di tanti popoli privi del Vangelo, quando il Signore li può egualmente salvare?
non basta essere cristiani, perché esigere che tutti siano cattolici?
oppure: la Chiesa non deve pretendere alla conquista del numero, dell'universalità; non è forse sufficiente che sia il « pusillus grex » ( Lc 12,32 ), il piccolo gregge degli eletti?
Figli carissimi ! Benediciamo il Signore che ci ha concesso di vivere in un periodo della vita della Chiesa, nel quale la sua coscienza missionaria s'è ridestata, e tanto si va sviluppando ch'essa trova, da un lato, una teologia ( l'« economia » si direbbe nella terminologia della dottrina orientale ), che la illumina e la corrobora con i più alti e centrali dogmi della rivelazione ( si veda il capitolo primo del Decreto conciliare sull'attività missionaria della Chiesa ); dall'altro, una vocazione a una prassi non prima sperimentate in seno alla Chiesa, con un'insistenza, caratteristica in tutti gli insegnamenti del Concilio, circa la partecipazione integrale del Popolo di Dio, circa la testimonianza comunitaria, circa l'invito e l'impegno per ogni singolo Fedele a collaborare alla causa missionaria.
La conoscenza, che Noi abbiamo della rispondenza delle Chiese locali, delle Famiglie religiose, delle Associazioni cattoliche, di tante persone pie e benemerite all'invito missionario, Ci riempie il cuore di edificazione, di ammirazione e di gioia; vorremmo aver voce per far giungere il Nostro plauso e il Nostro ringraziamento dovunque questo consolantissimo fenomeno si produce e cresce di fervore e di segni di pratica testimonianza.
Oh! benedica Iddio tutti coloro che infondono nella Chiesa del nostro secolo energia spirituale e mezzi materiali per essere quanto è possibile fedele e valente nella sua vocazione missionaria.
E ancor più Noi vorremmo che la Nostra voce, umile voce di uomo debole e manchevole, ma forte e consolatrice, perché quella del Successore del Primo Apostolo, giungesse nel cuore di quelle anime generose che nel loro colloquio interiore ascoltano il Maestro in cerca di seguaci: con l'invito: « Vieni e seguimi » ( Mt 8,22 ), e suscitasse la pronta risposta di Francesco Saverio: « Pues, sus! Heme aqui »: « Eccomi qui … io sono pronto! » ( cfr. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, 11,1,336 ); arrivasse, soggiungiamo, ad ogni Missionario e ad ogni Missionaria, a tutti i Fedeli delle nascenti, o fiorenti comunità cattoliche delle lontane Missioni, e confortasse tutti e ciascuno con la sicurezza della scelta da loro operata, con l'incoraggiamento a proseguire nella vita intrapresa, e con l'infallibile promessa delle divine ricompense.
Ma intanto questa voce a voi, qui presenti, si rivolge amorosa e fiduciosa, e mentre tutti vi benedice, vi esorta: siate anche voi Missionari, comprendendo ed aiutando la causa sovrana della diffusione del Vangelo nel mondo.