11 Dicembre 1968
Diletti Figli e Figlie!
Sul tema più alto, più proprio, più fecondo, più gioioso della nostra professione di credenti e di religiosi non vi diciamo ora che pochissime parole, appena un cenno, quasi per ricordare che questo tema esiste ed ha una ragione d'essere fondamentale; ma non di più, perché troppo vi sarebbe da dire, e perché oggi non se ne vuole sentire parlare.
Qual è questo tema? Questo tema è Dio.
Sì, Dio stesso; Che quando noi affermiamo che esiste, e che possiamo e dobbiamo conoscere essere Egli la prima, la somma, l'assoluta, l'infinita Realtà, dobbiamo subito soggiungere che non sappiamo bene Chi Egli sia, se non con uno sforzo discorsivo, non con una intuizione adeguata e immediata, del nostro pensiero, il quale, arrivando al termine della sua ascensione, si sente come accecato dal Sole divino, e deve balbettare definizioni negative su Dio, dicendo ciò ch'Egli non è, non potendo dire che in termini di sublimazione analogica qualche cosa su di Lui, al Quale è pur obbligata a tendere la nostra intelligenza ( cfr. S. Th. I, 1, 7, ad 1 ).
Dio è mistero.
Ed allora non solo l'Oggetto stesso del nostro atto religioso rimane infinitamente ineffabile ( cfr. Garrigou-Lagrange, Dieu, p. 712, ss. ), ma la nostra intelligenza umana, la nostra educazione scientifica della conoscenza, la nostra mentalità moderna resta perplessa, e facilmente ripiega sopra un complesso d'inferiorità, rinunciando facilmente a porsi la questione della fede in Dio e facendo un atto di fede nel rifiuto di Dio ( cfr. Maritain, La signification de l'athéisme contemporain, p. 16 ).
Se noi consideriamo questo secondo aspetto della questione religiosa, quello cioè soggettivo, entriamo in un campo, oggi facilmente ingombro dalle varie negazioni ateiste, ma immensamente interessante, perché riguarda quello dell'esperienza religiosa, piuttosto che quello propriamente teologico: quello pedagogico, quello pastorale; e ci si presenta un difficile, ma inevitabile, e non insolubile problema: come può oggi l'uomo trovare Dio?
Quali sono le disposizioni d'animo necessarie, affinché la mentalità odierna possa stabilire un rapporto autentico e vivo con Dio?
… Quale problema!
Lo possiamo considerare principalmente - e per ora almeno - un problema di coscienza.
Di coscienza psicologica, innanzi tutto.
Sia detto subito: disporre la propria coscienza ad avvertire Dio, la sua vivente Realtà, la sua incombente Presenza, la sua tacita Azione, non vuol dire spegnere il nostro occhio critico e raziocinante, per abbandonarci ad un incantesimo fabulista, ad una suggestione pietista, ad una debolezza miticizzante; vuol dire piuttosto acutizzare il suo senso percettivo della verità spirituale, la sua vigilanza purificata da distrazioni, da pregiudizi, da ignobili transigenze morali.
Non per nulla il Signore ci avverte che sono i « puri di cuore » quelli che « vedranno Dio » ( cfr. Mt 5,8 ).
Anche la nostra vita umana può diventare luce ( cfr. Gv 1,4 ), riflesso di Dio, specchio dove tutto fa allusione a Lui ( cfr. R. Guardini, Le Dieu vivant, p. 79-93 ) …
Il problema diventa, come vedete, di coscienza morale, e si distende su l'immensa gamma delle sue esigenze: dalla onestà del pensiero ( e non è, ad esempio, interdire al pensiero di arrivare alla conoscenza essenziale delle cose, cioè metafisica, una frode, oggi tanto diffusa, alla sua virtù conoscitiva? ), e arriva alla rettitudine della ricerca, alla pazienza della verifica, ecc., per giungere alla limpidezza dalle torbide ed opache ossessioni della sensualità.
Ricordate ciò che dice S. Paolo: « L'uomo animale non capisce le cose dello Spirito di Dio » ( 1 Cor 2,14 ).
Diviene problema di coscienza cristiana; e, ben sapendo come il Vangelo interessi tutta l'umanità, diciamo di coscienza umana.
Il primo e sommo precetto del Vangelo, quello che per Cristo riassume, con il precetto dell'amore del prossimo, tutta la legge e i profeti, è l'amore a Dio, in quattro espressioni superlative: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente » ( Mt 22,36 ) e « con tutta la tua forza » ( Mc 12,33 ).
Nessun volere di Cristo è espresso con pari energia.
Vi è quasi una tensione nelle sue parole, che sembra lottare con la difficoltà che gli uomini incontrano nell'osservanza di questa legge suprema, quasi che il Signore sapesse quanto essi sono deboli e ambigui amatori, più portati all'amore di sé, che a quello di Dio ( cfr. S. Agostino, De civ. Dei XIV, 28: « fecerunt itaque civitates duas amores duo … ».
Ed è strano come si possa ai nostri giorni spingere l'interpretazione naturalista del messaggio evangelico fino a parlare d'un cristianesimo senza religione, tutto proteso in linea orizzontale, cioè umana e sociologica, e quasi dimentico della linea verticale, cioè teologica e soprannaturale.
Ciò che invece, a questo riguardo, può presentare difficoltà è la questione se sia possibile amare Dio senza prima conoscerlo; la questione si presenta in termini pratici assai frequenti, quando la ignoranza religiosa spegne ogni pensiero di Dio.
Ed è ovvia la risposta ( evitando i tanti problemi qui insorgenti ), la quale riconosce in noi ( anche se profani o peccatori ) l'esistenza innata d'una tendenza naturale « che precede ogni conoscenza e s'identifica con la inclinazione naturale della nostra volontà » ( cfr. Garrigou-Lagrange, Dieu, 61, 306 ) verso il Bene, della quale la nostra conoscenza profitta, sia applicandosi alla ricerca di Dio, sia gustando e godendo di quanto su Dio, tanto per la via normale d'intelligenza speculativa, che per via di amore, del dono di sapienza, può conoscere di Lui ( cfr. S. Th. II-II, 45, 2; Contra Gentes, III, 19; e cfr. S. Agostino, Soliloquiorum 1. I ).
E questi profondi e ardui aspetti del nostro tema, si fanno pratici e concreti se consideriamo la coscienza comunitaria, o sociale, in cui la vita religiosa, sia individuale, che collettiva, si svolge.
E cioè l'ambiente esteriore, in cui è immersa e in cui trascorre la nostra vita, può avere un influsso assai importante, se non rigorosamente determinante, circa la nostra conoscenza e la nostra credenza in Dio.
Per questo esiste una storia religiosa dei Popoli, e per questo tanto si esercita la propaganda pro e contro il nome di Dio.
L'educazione può moltissimo in questo senso.
La cultura assai.
L'apostolato a questo mira.
E aggiungiamo la liturgia, cioè la professione religiosa vissuta nell'autenticità dei suoi dogmi, nel linguaggio sensibile e spirituale dei suoi riti, nella consonanza corale delle voci e degli animi della comunità inneggiante a Dio; può dare tale genuina esperienza, tale interiore testimonianza della verità di Dio, tale sincerità di gaudio, da costituire l'efficacia di una scuola di divinità, e da infondere in chi degnamente la celebra e vi partecipa la certezza ed insieme l'attesa, il senso di Presenza e di Speranza, di cui la nostra religione sola conosce il segreto e dispensa la ricchezza ( cfr. S. Ambrogio, Contra Auxentium, 34 ).
La preghiera e la fede si fondono insieme e segnano il momento di pienezza della nostra vita pellegrinante verso l'eternità.
Siatene sicuri, Figli carissimi, con la Nostra Apostolica Benedizione.