29 Gennaio 1969
Diletti Figli e Figlie!
La vostra presenza pone a Noi il problema della parola.
Una Udienza generale, come quella che ogni mercoledì è offerta al Nostro animo e al Nostro ministero ( un incontro sempre nuovo, sempre caro, sempre vario, sempre unico ), solleva una prima domanda nel Nostro spirito; a chi parliamo?
La parola dovrebbe essere proporzionata al genere delle persone che ascoltano; e, come di solito, il Nostro uditorio è composito, eterogeneo; gruppi di persone molto diverse d'età, di formazione, di provenienza, di lingua, sono per un'ora tutti insieme d'intorno a Noi, tutti qua arrivati con intenti differenti: chi per semplice visita, chi per qualche particolare motivo spirituale, chi per devozione …
Come trovare un elemento uniforme che renda facile il Nostro discorso?
Lo troviamo così: considerando in voi quel denominatore comune, ch'è proprio del Popolo cristiano; voi siete fedeli, siete perciò fratelli e figli, i quali tutti Ci portano un'offerta preziosa, e a Noi carissima, quella della loro buona volontà, Non è così?
Non siete tutti e ciascuno desiderosi di ascoltare dal Papa una parola, che tenga conto di codesta eccellente disposizione?
Non venite forse a questo appuntamento per sentirvi confortati e un po' illuminati a camminare sulla via della vita cristiana?
Non siete forse pronti a dare qualche peso a ciò che qui ascoltate, e a dare alle Nostre esortazioni qualche seria applicazione?
Voi non siete qui con la pretesa di ascoltare una conferenza o una lezione; Noi lo sappiamo: vi accontentate d'una semplice parola.
Voi non siete qui in attitudine critica, o diffidente, ma serena e fiduciosa, come ad un colloquio di famiglia; forse voi siete venuti qua portando in fondo al cuore la speranza di uscire da un certo stato d'animo d'incertezza e di perplessità, ch'è abbastanza diffuso in alcuni ambienti ecclesiali, ed ancor più in larghi strati dell'opinione pubblica.
Se è così, come crediamo, la Nostra parola trova subito il suo stile ed il suo tema.
Ci riferiamo infatti alla vostra buona volontà.
Noi la supponiamo cosciente e sincera, e quindi pronta a impegnarsi in quella causa e in quella forma del bene, a cui sia bello e sia degno far dono di sé.
La causa è quella di Cristo, la quale si presenta a noi in coincidenza con quella della Chiesa, che di Cristo è la continuazione, è il piano misterioso e visibile, è il regno, è il segno e lo strumento, come con esuberanza di immagini rivelatrici ci ha insegnato il Concilio ( cfr. Lumen Gentium, nn. 1,2,3,4,5 etc. ); e la forma è il Concilio stesso, nel suo testo e nel suo spirito, come il Popolo di Dio intravede ed esprime, e come il magistero e il ministero della Chiesa, i quali hanno carisma e responsabilità di farlo, vengono autorevolmente proponendo e attuando.
In altre parole, il Concilio è la risposta alla buona volontà di quanti auspicano vivere e far vivere Cristo nel nostro tempo.
Esso non è soltanto un grande insegnamento dottrinale; è anche un grande impulso morale.
Offre al pensiero uno splendido quadro delle verità della fede, sebbene non pretenda di esporne una sintesi organica e completa, perché in moltissime parti si riferisce alle fonti scritturali e alle autentiche tradizioni; ma in altre parti le spiega e le sviluppa; ed insieme, ed è ciò che ora a Noi preme notare, costituisce un energico impulso operativo.
Esso è dottrina ed è per l'azione.
È dogmatico, ed è morale; è per la luce delle anime, ed è per il rinnovamento della loro attività pratica, sia personale, che comunitaria.
Così è nelle intenzioni della Chiesa conciliare; ma è poi in tutti e dappertutto nella realtà?
Che cosa osserviamo?
È soddisfatta la vostra buona volontà, e quella della grande comunità ecclesiale?
Ecco una grave domanda.
Notiamo due risposte negative.
La prima è quella dell'impazienza, che vorrebbe subito effettuato ciò che il Concilio ha auspicato.
L'impazienza si esprime talora in insofferenza, quando ritiene che occorra ricorrere ad applicazioni immediate, più rivoluzionarie che riformatrici, senza riguardo alla coerenza storica e logica delle innovazioni da introdurre nella vita cattolica: e questo atteggiamento arriva talvolta all'imprudenza, alla superficialità, alla smania della novità per la novità, al mimetismo di moda della contestazione e all'arbitrio della disobbedienza.
Bisogna, a questo proposito ripensare all'economia cronologica del Vangelo, la quale non è quella folgorante e, in fondo, comoda del fuoco dal cielo ( cfr. Lc 9,54 ), che annienta ogni resistenza, ma è quella del seme che produce frutto « in patientia » ( Lc 8,15; cfr. Mc 4,27-28; Mt 13,29 ); e che spesso nella gradualità del suo svolgimento nasconde il rispetto alla libertà, il metodo della carità e la fiducia, non fatalistica, ma saggia e lungimirante nell'azione di Dio combinata con quella umana.
L'altra risposta negativa è parimente complessa, ed esigerebbe un'analisi psicologica accurata ed interessante.
Perché, sotto certi aspetti, la Chiesa dopo il Concilio non si trova in condizioni migliori di prima?
Perché tante insubordinazioni, tanto decadimento della norma canonica, tanti tentativi di secolarizzazione, tanta audacia nell'ipotizzare trasformazioni di strutture ecclesiali, tanta voglia di assimilare la vita cattolica a quella profana, tanto credito alle considerazioni sociologiche in luogo di quelle teologiche e spirituali?
Crisi di crescenza, si dice da molti; e sia.
Ma non è anche crisi di fede?
Crisi di fiducia di alcuni figli della Chiesa nella Chiesa stessa?
Vi è chi, scrutando questo allarmante fenomeno, parla d'uno stato d'animo di dubbio sistematico e debilitante in mezzo alle file del Clero e dei Fedeli; e chi parla di impreparazione, di timidezza, di pigrizia; e chi addirittura accusa di paura sia l'autorità ecclesiastica, che la comunità dei buoni, quando l'una e l'altra lasciano prevalere, senza ammonire, senza rettificare, senza reagire, certe correnti di manifesto disordine nel campo nostro, e cedono, quasi per un complesso d'inferiorità, al dominio affermato nell'opinione pubblica, mediante poderosi mezzi di comunicazione sociale, di tesi discutibili, e spesso punto conformi allo spirito del Concilio stesso, per timore del peggio, si dice; o per non apparire abbastanza moderni e pronti all'auspicato aggiornamento.
Ma Noi sappiamo che si tratta di fenomeni limitati, anche se reali e non irrilevanti.
Sappiamo che la Chiesa, nel suo insieme, mostra oggi una vitalità straordinaria, che colloca l'epoca presente in quelle più feconde della sua storia.
Non c'è dubbio che in questa nostra Chiesa, tanto « contestata » dal di fuori e travagliata all'interno, c'è un'immensa riserva di buona volontà e un'immensa riserva di amore, di cui Ci piace ravvisare in voi, carissimi Figli, dei valorosi esponenti.
Voi siete volonterosi e fedeli; voi non volete rimanere inerti e passivi nell'azione che la Chiesa post-conciliare ha intrapreso per rinnovarsi nella migliore adesione alla sua origine evangelica e alla sua ispirazione dottrinale, e per meglio rispondere alle esigenze della sua missione nel mondo contemporaneo.
Voi volete crescere, fino alla tensione del fervore e della generosità, la buona volontà che portate nel cuore, ed avete fiducia che chi guida la Chiesa, ad ogni livello, non deluderà la vostra silenziosa e preziosa disponibilità.
Il Signore sia con voi!
E mentre Noi gustiamo il conforto di cotesto autentico spirito ecclesiale, lo incoraggiamo con la Nostra promessa ( il Signore la custodisca! ) di riconoscerlo, di assecondarlo, di servirlo, e lo offriamo all'effusione dello Spirito Santo con la Nostra Apostolica Benedizione.