7 Maggio 1969
Diletti Figli e Figlie!
Nostro desiderio sarebbe di confermare e di accrescere in voi l'amore alla Chiesa, alla santa Chiesa di Cristo, che è, come voi sapete, il corpo mistico di Cristo, l'estensione nell'umanità e nel tempo del mistero dell'Incarnazione; segno e strumento, per un verso, dell'economia della salvezza; termine e pienezza, per un altro verso, dell'opera redentrice di Cristo medesimo.
La Chiesa è mezzo e la Chiesa è fine rispetto al regno di Cristo.
Il Concilio ci ha richiamato allo studio e alla coscienza della Chiesa.
I figli buoni e fedeli della Chiesa hanno esultato di questo avvenimento, che ha dato a loro una più ricca e più profonda conoscenza della famiglia spirituale, a cui hanno avvertito la fortuna di appartenere, e hanno meglio compreso come in essa si compia la loro unione con Cristo e con Dio; come in essa prenda espressione e sicurezza la rivelazione della verità; come in essa la speranza sia in parte raggiunta, in parte promessa, ma fin d'ora piena di gaudio e di pace ( cfr. Rm 15,13 ); come in essa la carità abbia la sua circolazione meravigliosa, da Dio a noi, da noi agli altri uomini, diventati perciò fratelli; e come dalla comunione così generata la carità risalga, con amore nuovo, nostro perché personale, e più che nostro, perché animato dallo Spirito Santo alla sua divina sorgente.
La Chiesa è apparsa ai suoi membri coscienti quello che veramente è: la fortuna, la beatitudine, la formola della vita vera, nel tempo, in cammino per l'eternità.
Ma che cosa è avvenuto?
Che nel momento stesso in cui la visione della Chiesa è apparsa ai nostri giorni nella sua verità ideale, ed anche reale, si è tanto di più acuito il senso e il disagio delle sue imperfezioni concrete ed umane.
La Chiesa è composta di uomini imperfetti, limitati, peccatori; è un'istituzione sacra e santa, ma costruita con materiale umano, sempre inadeguato e caduco; ed è inserita nel fiume della storia che passa, e perciò è soggetta nelle sue esplicazioni contingenti ai cambiamenti propri del tempo.
E allora si è pronunciato un grande e autorevole desiderio di « aggiornamento », di riforma, di autenticità, di « ringiovanimento nella Chiesa » ( cfr. Card. Siri, Ed. Paoline ); ma insieme si è diffusa in tanti ambienti un'inquietudine, che ha turbato, dopo il Concilio, la conversazione all'interno stesso della Chiesa, e d'intorno a lei il clamore dei pubblicisti.
Si è posto così, in termini nuovi e spesso aggressivi, il grande problema della riforma della Chiesa, nella Chiesa.
Questo è uno dei temi più interessanti, più gravi e più urgenti del nostro tempo; e Noi, che non meno d'alcun altro desideriamo la giusta riforma della Chiesa ( cfr. Encicl. Ecclesiam suam ), pensiamo che sia « un segno deii tempi », una grazia del Signore, la possibilità che oggi è offerta alla Chiesa di attendere alla sua propria riforma.
Opera questa che deve sempre essere in atto di riconoscere la fragilità degli uomini, anche se cristiani, e di correggere le loro eventuali debolezze e le deformazioni del corpo ecclesiastico; inteso nel suo senso genuino, possiamo far nostro il programma d'una continua riforma della Chiesa: Ecclesia semper reformanda ( cfr. Congar, Vraie et fausse Réforme dans l'Eglise, 2ª ed. p. 409 ss. ).
Ma che cosa avviene nella pubblicità dell'opinione pubblica, pur troppo spesso tanto superficiale, maligna e golosa di scoprire e di creare impressioni sensazionali, e altrettanto irresponsabile quanto asseverante nel sentenziare sui doveri e sulla contumacia della Gerarchia?
Avviene che l'osservazione della grande e misteriosa realtà della Chiesa si ferma sugli aspetti esteriori, fenomenici, contingenti di essa, e scoprendovi con dottorale gravità, ma frettolosa facilità gli evidenti difetti, si compiace di trarne scandalo, e di rinfacciare all'autorità della Chiesa l'abbandono della fede di tanti che, a buon diritto, la vorrebbero degna e perfetta, spirituale e sublime in ogni suo tratto, ma trovandola invece inferiore all'ideale che essa non riesce sempre a personificare degnamente, si fanno un pretesto, anzi talvolta un merito di professare un cristianesimo a loro modo e, in pratica, senza impegni di alcuna sorte, dottrinali, disciplinari, cultuali, comunitari che siano.
Se poi sono parecchi a coincidere in questo atteggiamento di libera critica, si uniscono e si affermano in gruppi particolari, che finiscono per dare tendenziale preferenza ad altre ideologie, sia religiose ( cfr. modernismo vecchio e nuovo ), sia sociali ( cfr. marxismo ), che non alla autentica fede cristiana.
Una parola ricorre continuamente in questo polemico riformismo: « le strutture », che nel presente fenomeno di contestazione illuministica assumono il significato di organismi canonici, di istituzioni giuridiche, di enti ecclesiastici tradizionali, di autorità gerarchiche responsabili, di sistemi arcaici determinati, che formano l'ossatura del corpo ecclesiale, di dottrine dogmatiche stabilite, di magistero autorevole, di Curia romana, eccetera.
Le strutture corrispondono alla così detta « Chiesa istituzionale », in confronto, e anche in opposizione, alla Chiesa libera e spirituale.
Prendono cioè un significato negativo, e contro di esse il nuovo cristianesimo sedicente carismatico o di libera interpretazione biblica lancia deleterie insinuazioni e rivendica arbitrarie facoltà, sia di giudizio, che di azione.
Se la religione si spegne, se la Chiesa è disertata, la colpa, si dice, è delle strutture, l'ostacolo è nelle strutture; le strutture sono sclerotizzate, le strutture non derivano da Cristo; liberiamoci dalle strutture, e riavremo un cristianesimo giovane e autentico.
Che cosa diremo? quale atteggiamento prenderà il nostro amore alla Chiesa?
Faremo innanzi tutto un atto di riflessione su questo termine « strutture », dal significato polivalente, per distinguere così le strutture costituzionali della Chiesa, alle quali dobbiamo rimanere, e non solo per rassegnazione, fermamente attaccati, da quelle derivate, per via di tradizione storica o di sviluppo esplicativo, dalla radice originaria ed essenziale del messaggio evangelico ed apostolico.
In queste strutture vi possono essere elementi non necessari alla vera figura e alla permanente vitalità della Chiesa; vi potrebbero essere anche enti o costumi abusivi, o non più idonei al contatto della Chiesa con situazioni storiche e sociali cambiate.
Qui la riforma può, e in certi casi deve, essere innovatrice: ma a chi spetta il giudizio, a chi l'autorità e la responsabilità di profondi interventi innovatori?
E i facili promotori della abolizione di usi, di forme, di linguaggio, ereditati come « strutture » del passato, hanno sempre il senso storico e psicologico per sostenere certe trasformazioni arbitrarie e iconoclaste, e sanno sostituire al vuoto ch'esse producono nella legittima consuetudine del popolo qualche cosa, che moralmente e religiosamente le equivalgano?
Sono poi sempre davvero prive di significato spirituale e di vitalità cristiana alcune istituzioni e costumanze ecclesiali, che la febbre d'una modernità astratta vorrebbe senz'altro distruggere?
non potrebbero alcune di esse, sì, ammodernarsi, e conservando, non foss'altro, il valore d'una testimonianza storica, rifiorire in nuova e benefica attività?
Non vogliamo farci avvocati dell'immobilismo e del giuridismo, ché anzi Noi stessi cerchiamo di dare alla Chiesa il volto nuovo, lo spirito vivo, l'autenticità provata alle sue istituzioni; la revisione delle « strutture » vigenti è in pieno e coraggioso, ma meditato sviluppo in tutta la Chiesa responsabile; ma vogliamo porre in guardia i fautori di improvvise semplificazioni chirurgiche e talora sovversive del patrimonio tradizionale della vita ecclesiale, ricordando che la modernità della Chiesa non sempre dipende dal ripudio delle sue « strutture » tradizionali, specialmente se queste sono collaudate da secolari esperienze e tuttora capaci di continua reviviscenza ( come la parrocchia, per fare un esempio ); e che la autentica giovinezza della Chiesa non si avrà secolarizzando e liberalizzando la vita ecclesiale stessa, cioè affrancandola dalle sue strutture esteriori, fossero pur queste ormai bisognose di intelligenti riforme, quanto piuttosto ravvivando in seno alla Chiesa la corrente dello Spirito vivificante, la vita di preghiera e di grazia, l'esercizio della carità e dell'obbedienza, la santità.
La voce del Profeta che abbiamo udito nella passata Quaresima risuona ancora: « Squarciate i vostri cuori e non i vostri vestimenti » ( Gl 2,13 ).
Ascoltiamola sempre.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.