14 Maggio 1969
Diletti Figli e Figlie!
Abbiamo altre volte parlato, nelle Udienze generali come questa, di alcune locuzioni, che, dopo il Concilio, hanno avuto particolare fortuna nel linguaggio corrente; una di queste locuzioni è « il pluralismo ».
Non l'ha inventata il Concilio questa parola, sebbene essa faccia la sua apparizione testuale in alcuni documenti conciliari ( cfr. Grav. educ. n. 7; Gaudium et spes, n. 76 ); ma si può dire che ne ha favorito l'uso mettendone in evidenza il concetto e la realtà, e quindi autorizzandone l'applicazione ai campi più vasti e più diversi del sapere e della vita.
Lo incontriamo questo pluralismo nell'inesauribile varietà del cosmo,
nella proteiforme molteplicità degli aspetti del mondo contemporaneo,
nella parità di dignità e di diritti fondamentali di ogni popolo, anzi di ogni essere umano, di ogni coscienza,
nel principio della libertà, a tutti riconoscibile, di professare la propria religione senza indebita ingerenza della potestà civile e fuori dalla sopraffazione razzista o ambientale,
nella convenienza di autorizzare ogni lingua ad esprimersi con la sua propria voce liturgica,
nella positiva valutazione della molteplicità di fatto delle differenti confessioni cristiane sulla via dell'ecumenismo,
nell'onore tributato ad ogni Vescovo, ad ogni Chiesa locale, ad ogni saggia attività del Laicato cattolico,
nella legittimità delle diverse enunciazioni delle dottrine teologiche relative ad un'unica verità rivelata e definita dal magistero della Chiesa; e così via.
Il mondo è complesso; ogni sua visione contiene una ricchezza di realtà e presenta una molteplicità di aspetti che esigono un pluralismo di concetti, di valutazioni, di comportamento.
Un pluralismo scientifico, politico, linguistico, organizzativo, eccetera.
Anche nel campo ecclesiale la complessità delle sue componenti dottrinali, gerarchiche, rituali, morali non può esprimersi che in forme e in parole pluralistiche.
Il riverente rispetto poi che la nostra religione dà ad ogni momento, ad ogni porzione, ad ogni atto delle sue componenti sia divine, che umane obbliga ad evitare ogni semplicismo livellatore e mortificante.
La nostra vita spirituale si svolge in un intreccio molto complicato e molto delicato di realtà, di verità, di doveri, di vibrazioni psicologiche e sentimentali, di cui bisogna tenere conto.
La civiltà si misura dalla capacità pluralistica dell'uomo.
La santità, si può dire, si svolge in un tessuto sempre più complesso di rapporti spirituali e morali.
Tutto è complesso, tutto è profondo, tutto porta le tracce dell'indefinito, ch'è quasi un riflesso dell'Infinito dal Quale tutto ha origine.
Chi vede, chi osserva, chi pensa, chi prega si sente sopraffatto dalla moltitudine, dalla grandezza, dalla esplorabilità, dal mistero delle cose.
Il pluralismo è nelle cose; poi nei concetti, e nelle parole.
E nello stesso tempo ( anche questa è realtà meravigliosa ) tutto è da un non meno evidente principio d'unità.
L'essere stesso, in ogni sua espressione, è rivolto ad una misteriosa e pur palese unità.
È stupendo.
Ma lasciamo ai maestri del pensiero inoltrarsi in questo sentiero affascinante e tormentoso.
Ci basti un cenno a ciò che interessa il nostro spirito in questo luogo e in questo momento; luogo e momento di fede; di confronto cioè delle nostre anime con quel mondo religioso, che chiamiamo cristianesimo, anzi, nella sua concretezza, la Chiesa cattolica.
Siamo pluralisti noi?
La risposta a questa stessa domanda non può essere che plurale.
E cioè: sì, che lo siamo, come dicevamo testé; lo siamo proprio perché cattolici, cioè universali; nessuno schermo pone limite alla considerazione della realtà, della verità.
La nostra vocazione è per il Tutto; siamo totalitari nella visione dell'universo, dell'umanità, della storia, del mondo.
Per quanto riguarda l'esperienza umana ripetiamo la celebre frase di Terenzio: « Homo sum, et nihil humani a me alienum puto »: sono uomo, e nulla di ciò ch'è umano mi è precluso.
Chi teme di perdere la visione completa della vita e il possesso di ciò che vale la pena d'essere posseduto professando sinceramente la religione cattolica, cede ad un pregiudizio inconsulto.
Potremmo anzi dire che solo la religione cattolica possiede la visione del tutto, la sapienza superiore del mondo, dell'essere umano, dei destini del tempo e della vita.
Ma ciò che ora preme qui ricordare è la legittimità e il limite del nostro pluralismo religioso.
Una parola soltanto, più ad esempio che a spiegazione.
Si è fatto da alcuni obiezione al pluralismo introdotto dalla Chiesa dopo il Concilio nella Liturgia, che con Sant'Agostino, in un suo commento al Salmo 454, potremmo paragonare alla veste sontuosa della regina biblica: « La veste - si chiede Sant'Agostino - di questa regina ( la Chiesa ) qual è?
È preziosa e varia: i misteri della dottrina in tutte le diverse lingue.
V'è una lingua africana, un'altra siriaca, un'altra greca, un'altra ebraica, ed altre ancora: fanno queste lingue il tessuto variopinto della veste di questa regina.
Ma siccome tutta la varietà della veste si accorda in unità, così anche tutte le lingue in una sola fede.
Vi sia pure varietà nella veste, ma non scissura » ( Enarr. in Ps. 45,24 ).
Così potremmo dire del pluralismo teologico.
Ma qui il discorso dev'essere molto più prudente, per le leggi stesse della verità rivelata, dell'interpretazione della Parola di Dio.
Si può sostenere l'inadeguatezza d'ogni parola umana a esprimere la profondità insondabile del contenuto teologico d'una formola dogmatica ( cfr. Rm 11,33ss; Denz.-Schoen. 806, 432 ); e sostenere la virtuosità interpretativa di una medesima verità dogmatica nell'annuncio cherigmatico, cioè apologetico, catechistico, oratorio, parenetico, e cioè la legittimità delle varie scuole teologiche e spirituali; ma non saremmo fedeli all'univocità della Parola di Dio, al magistero, che ne deriva, della Chiesa, se ci arrogassimo la licenza d'un « libero esame », di un'interpretazione soggettiva, d'una subordinazione della dottrina definita ai criteri delle scienze profane, e tanto meno alla moda dell'opinione pubblica, ai gusti e alle deviazioni ( oggi tanto pronunciate ) della mentalità speculativa e pratica della letteratura corrente.
Sappiamo quanto sia esigente la Chiesa cattolica su questo punto decisivo dei nostri rapporti con Cristo, con la tradizione, col destino relativo alla nostra salvezza.
La fede non è pluralistica.
La fede, anche per quanto riguarda l'involucro delle formole che la esprimono, è molto delicata ed esigente; e la Chiesa vigila ed esige che la parola enunciante la fede non ne tradisca la verità sostanziale.
Dovremmo farle rimprovero d'essere osservante della lineare esigenza del Vangelo: « Che la vostra parola sia: si, sì, no, no », come dice Gesù ( Mt 5,37; Gc 5,12 ); cioè chiara, diritta, onesta, univoca, senza sottintesi, senza reticenze, senza incoerenze, senza errori?
Figli carissimi, siate aperti a tutta la verità, immensa, ricchissima, sempre capace di approfondimenti e di applicazioni nuove; a quella che lo Spirito Santo Lui stesso c'insegna ( Gv 15,13 ), e di cui la Chiesa maestra è custode ed interprete autorizzata ( cfr. Gal 1,8 ); ma siate voi stessi fieri e gelosi e felici dell'unità perenne e feconda della fede in cui solo è verità e salvezza.
A ciò vi conforti la Nostra Benedizione Apostolica.