5 Novembre 1969
Diletti Figli e Figlie!
La meditazione, che attira l'opinione pubblica nella Chiesa, oggi riguarda il carattere comunitario della Chiesa stessa.
La Chiesa è il corpo mistico di Cristo, è stato detto; la Chiesa è il Popolo di Dio; la Chiesa è una comunione; comunione vitale, mediante lo Spirito Santo, anima della Chiesa, con Cristo e con la società dei fedeli.
È una meditazione teologica fondamentale.
Faremo bene a coltivarla.
Essa risponde, anticipandola e integrandola, alla mentalità moderna, tutta imbevuta di sociologia, e sul piano religioso ci mostra ancora una volta la superiorità e la validità della fede anche in campo di socialità, mentre sul piano morale, pedagogico e pratico questa meditazione circa la solidarietà, che fa dei veri cristiani « un Cuor solo ed un'anima sola ( At 4,32 ), pone dei doveri più urgenti, specialmente nell'esercizio della virtù regina, la carità, che tendono a modificare non poco la nostra maniera di pensare, sempre tentata dall'egoismo interiore, e il nostro contegno, sia ecclesiale, che sociale.
Questo « vivere insieme », nella preghiera, nel sentimento comunitario, nel dialogo con i nostri simili, nell'interesse per il bisogno altrui e per il bene comune, questa convivenza spirituale, questa « societas spiritus », comunanza di spirito ( Fil 2,1 ), come la chiama San Paolo, è molto bella, ma non è molto facile.
Anzi trova nelle correnti ideali del nostro tempo altre concezioni, anch'esse importanti, che la contraddicono, e che solo la sapienza del nostro, sistema cristiano ( chiamiamolo così ) riesce ad armonizzare, come il culto della libertà, la riabilitazione della personalità e della dignità umana, il relativo primato della coscienza, la preferenza data all'esperienza religiosa nel confronto con l'osservanza della norma canonica, e finalmente, e forse prima fra le altre, la concezione rivoluzionaria, applicata ad ogni tipo di progresso, di riforma, di rinnovamento, di aggiornamento: il termine « rivoluzione » ha ormai libero corso anche nel commercio delle idee generatrici di ordine e di pace.
Due forme, più accentuate delle altre, di questo spirito di indipendenza e perfino di ribellione, penetrato non poco anche nel concerto della vita ecclesiale, sembrano a Noi esigere una menzione particolare, perché maggiormente opposte a quello spirito di comunione, che l'ora nuova della Chiesa presenta alla nostra coscienza come il soffio vivificante ed attuale della Parola di Dio: la rottura con la tradizione e la vanificazione dell'obbedienza ( ma di questa ora non parleremo ).
La tradizione!
Essa non dice più nulla ai novatori, anche buoni, dei nostri giorni.
I giovani purtroppo ( e in parte, proprio perché giovani, li comprendiamo ) hanno in uggia tutto quello che precede l'attualità, la loro vita di oggi e la loro corsa verso la novità e verso l'avvenire.
Ma non solo i giovani; anche i saggi parlano di rottura col passato, con le generazioni precedenti, con le forme convenzionali, con l'eredità dei vecchi.
Una fraseologia superficiale e alquanto imprudente è entrata anche nel comune linguaggio ecclesiale;
si parla di età costantiniana per squalificare tutta la storia secolare della Chiesa fino ai nostri giorni;
ovvero di mentalità preconciliare per svalutare arbitrariamente un patrimonio cattolico di pensiero e di costume, che avrebbe ancora tanti valori degni di apprezzamento;
si arriva a espressioni e a comportamenti talvolta così negativi da generare confusione e dissociazione in seno alla comunità ecclesiale, e tali da lasciar credere che la norma vigente e la pacifica consuetudine non tengono più.
Il discorso potrebbe purtroppo continuare; ma ciascuno lo può fare da sé.
E diventa poi difficile là dove si deve distinguere ciò ch'è irrinunciabile nella vasta eredità della tradizione, da ciò ch'è prezioso, ma per sé non necessario alla consistenza costituzionale della Chiesa e alla sua autentica vitalità; e da ciò ch'è abituale, ma di discutibile valore, e infine da ciò che proviene dal passato, ed è vecchio superfluo, nocivo, e quindi meritevole di rinuncia e forse di coraggiosa riforma.
Questo inventario del retaggio antico esige competenza e autorità; in una comunione, com'è la Chiesa, nessun privato lo può fare pubblicamente o praticamente da sé; né tanto meno, fatto l'inventario, può di proprio arbitrio, dichiarare la scelta di ciò che deve rimanere da ciò che si può lasciar decadere.
La Chiesa, nei suoi organi autorizzati, in seguito al Concilio, sta facendo questo inventario; e chi le è fedele non deve arrogarsi la licenza d'anticiparne, o di contraddirne il giudizio.
Nulla nella Chiesa dev'essere arbitrario, temerario, tumultuario.
La Chiesa è come un concerto musicale; nemmeno uno strumento aristocratico può suonare in un'orchestra come e ciò che gli piace.
Noi ora vorremmo piuttosto raccomandare ai figli coscienti e fervorosi di rivedere l'istintiva antipatia per la tradizione ecclesiastica.
Essa, innanzi tutto, è il veicolo che ci porta la dottrina e la successione apostolica: non si può avere Cristo presente oggi senza il riconoscimento del canale storico e umano, che ci riconduce alla sorgente della sua apparizione evangelica.
La tradizione inoltre è la ricchezza, l'onore, la fortezza della nostra casa, la Chiesa cattolica.
La tradizione, nel suo complesso storico, contiene, sì, molti elementi caduchi e anche riprovevoli; ma il giusto giudizio da darsi su questi elementi discutibili o negativi dovrà essere appunto « storico », cioè valutato in ordine alle circostanze dei tempi e alle esperienze contemporanee e successive degli avvenimenti, ricordando che la Chiesa, santa nella sua istituzione e nella sua virtù santificatrice, di parola, di grazia, di ministero, è composta di uomini impastati dall'argilla di Adamo, deboli e fallaci e peccatori, anche nel campo della divina agricoltura.
Una conoscenza intelligente, una critica equanime, una valutazione sagace della tradizione non saranno di freno, ma di guida ai promotori del rinnovamento ecclesiale, auspicato per il nostro tempo; e ispireranno loro quella amorosa simpatia, quasi una simpatia dinastica, per le vicende passate della Chiesa e per quanto da questo fiume è trasmesso al nostro presente possesso, che li può abilitare a guadagnare arte e prestigio per il colloquio apostolico con la nostra generazione, privata dalle ricorrenti rivoluzioni, di una sua cultura collaudata dai secoli e impavida nella tempesta della storia, com'è quella che la tradizione a noi gratuitamente regala.
Ricordiamo che la comunione ecclesiale, di cui vuol vivere la nostra odierna spiritualità, comporta una solidarietà con i fratelli « che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono nel sonno della pace ».
E per loro che noi siamo vivi e siamo qui, pellegrini noi stessi verso il Cristo venturo.
Nel nome del quale tutti vi benediciamo.