14 Gennaio 1970
Diletti Figli e Figlie,
Nessuno sfugge in quest'ora della nostra storia alla vertigine dell'incertezza.
Lo sappiamo: troppe cose cambiano intorno a noi; il senso del mutamento passa dalle cose agli spiriti.
Il bisogno d'aderire alla realtà mette in dubbio le nostre idee acquisite, le nostre posizioni interiori, le nostre abitudini; perché la realtà esteriore è in continuo cambiamento, il mondo in progressiva trasformazione.
L'esperienza delle cose nuove, dei fatti in movimento, delle idee originali ci attrae, e diventa spesso criterio di verità.
Crediamo d'essere liberi, perché ci affranchiamo da ciò che abbiamo imparato, perché ci sottraiamo all'obbedienza e alla normalità, perché ci fidiamo del nuovo e dell'ignoto; e spesso non ci accorgiamo di diventare seguaci delle idee altrui, imitatori delle mode imposte dagli altri, gregari di chi più osa e più si distacca dal senso comune.
Chi definisce teoricamente questo, oggi tanto diffuso, atteggiamento,
parlerà di relativismo: cioè noi diventiamo relativi a ciò che fuori di noi ci circonda e ci condiziona;
parlerà di storicismo: cioè noi ci arrendiamo alla fugacità del tempo e non abbiamo più il gusto delle cose che restano e che conservano la loro ragione d'essere;
parlerà d'esistenzialismo: cioè troverà in ciò che esiste o in ciò che si fa il criterio superiore di valutazione, senza cercarne la misura nella verità e nell'onestà.
E così via.
Ma parlando col linguaggio semplice del senso comune dovremo riconoscere che un fenomeno di debolezza c'investe tutti; un'inquietudine abituale e interiore ci toglie la sicurezza, la soddisfazione di ciò che siamo e di ciò che facciamo; poniamo la nostra speranza nella trasformazione, nella rivoluzione, nella metamorfosi radicale del patrimonio, che la tradizione e il progresso stesso ci hanno procurato.
Vero è che noi oggi abbiamo anche molte buone ragioni per tendere a qualche innovazione: noi abbiamo ora, più che in passato, l'avvertenza delle tante cose imperfette e ingiuste, che esistono, resistono e alle volte crescono d'intorno a noi; e ci facciamo dovere di rimediare e d'inventare cose migliori.
Ma in questo turbamento spesso si resta disorientati.
Non si sa più che cosa sia bene pensare e fare.
Dobbiamo essere riconoscenti a quelli che studiano, pensano, vedono, insegnano e guidano con vero senso umano.
Si riabilita dinanzi a noi la ragione: il bene dell'uomo non può essere che ragionevole ( Cfr. S. TH., IIª-IIæ, 123, 1 ).
E si riabilita il magistero di chi con responsabilità e con sapienza insegna agli altri il valore delle cose e il senso dei fini.
Possiamo aggiungere: si riabilita l'autorità, cioè la funzione di chi legittimamente presta agli altri il servizio della guida e dell'ordine.
Ma ancora aggiungiamo: dobbiamo stima ed appoggio a chi, personalmente, o nell'esercizio dei propri doveri si mantiene forte.
La fortezza non è virtù oggi abbastanza onorata: suppone principi, suppone logica, suppone libertà personale, suppone spesso impopolarità e sacrificio, suppone fedeltà a qualche impegno irreversibile, a qualche scelta irrevocabile, a qualche legge indiscutibile.
Figli carissimi, non vogliamo fare in questo momento né l'analisi, né la critica del nostro tempo.
Accenniamo appena alla confusione, che invade tante zone del pensiero moderno e dell'attività odierna, per ricordare come purtroppo una certa confusione penetri anche nella vita religiosa e nello sforzo stesso, che la Chiesa, dopo il Concilio, sta facendo per ritrovare se stessa, per migliorare se stessa.
L'esame di coscienza, provocato dal Concilio, sta producendo, noi crediamo, ottimi frutti: tutto, si può dire, è sottoposto a riflessione, e molte cose sono in via di revisione; voi lo sapete, voi lo vedete; e se lo Spirito Santo assiste la Chiesa nel suo duplice intento fondamentale d'essere cioè quale Cristo la vuole, e di abilitarsi sempre meglio, facendo uso delle sue tradizioni istituzionali e delle sue esperienze spirituali, a infondere nel mondo moderno le energie della fede e della grazia, il suo volto apparirà tutt'oggi giovane e sereno, con lo sguardo che tutto vede, la storia passata, il dramma presente, la speranza, e con la bellezza della santità e della conformità al suo divino prototipo, il Figlio di Dio fattosi Figlio dell'uomo ( Cfr. Rm 8,29 ).
Questa è la base: il Concilio.
Dovere nostro è di attenerci a questa grande parola, che la Chiesa, nella pienezza della sua coscienza e della sua autorità, nell'invocazione e nell'obbedienza al carisma dello Spirito Santo, che l'assiste e la fiancheggia, nella visione del mondo, in cui vive e per cui vive, ha pronunciata per questa ora della storia.
Nel Concilio è la chiarezza; nel dopo-Concilio sia la fortezza.
Perché, voi lo sapete, voi lo vedete, il risveglio, non solo autorizzato, ma promosso dal Concilio, tende ad assopirsi in molti cristiani e in molte forme di vita cristiana; l'indolenza ci vince, la pigrizia sembra togliere e sciogliere ogni questione; ovvero il risveglio si traduce in spirito critico corroditore e demolitore; impugna l'obbedienza, e lascia all'arbitrio modellare a piacimento una comoda concezione della Chiesa, più conforme allo spirito e al costume del mondo, che non alle esigenze del suo genio soprannaturale e della sua missione apostolica.
Per questo vi diciamo: stiamo al Concilio.
Esso ci deve togliere quel senso d'incertezza, che tanto turba oggi l'umanità.
Pellegrini nel tempo, noi abbiamo la nostra lampada che rischiara il cammino.
Noi vorremmo infondere in voi quel conforto che viene dalla sicurezza di sapere che si cammina per la buona strada.
Lo diciamo a voi, Sacerdoti, assaliti da tanti dubbi sul vostro essere, nella Chiesa e nel mondo; non temete, rileggete la pagina del Concilio, che vi riguarda, e andate avanti con fiducia e con coraggio.
Lo diciamo a voi, Religiosi; anche voi aggrediti dalle critiche alla scelta magnanima, che qualifica la vostra vita: avete scelto «l'ottima parte», e se voi siete fedeli e forti nella vostra singolare vocazione, « nessuno ve la toglierà » ( Cfr. Lc 10,12 ); non temete.
A voi, giovani, militanti per la contestazione: le ragioni di giustizia e di libertà, che vi fanno aspirare ad una nuova, più vera e più fraterna vita sociale, non saranno eluse ed inoperanti, solo che le tante energie, di cui disponete e di cui molte volte alcuni fra voi più animosi fanno forse inconsciamente sperpero fuori e contro il nome di Cristo, le vogliate convogliare nell'alveo della autentica vita ecclesiale; non temete che la Chiesa non vi sappia accogliere e comprendere, e che la fermezza dei suoi principi possa paralizzare la vostra vivacità; essi sono cardini e non ceppi; non temete!
Voi tutti, fedeli fervorosi e pensosi del Popolo di Dio: sappiate aderire con fermezza alla santa Chiesa, di cui voi siete membra vive e sante; e non temete; ascoltate, sopra il frastuono oggi circostante, la voce sicura e ineffabile, perché divina, di Cristo: « Abbiate fiducia, Io ho vinto il mondo » ( Gv 16,33 )
Con la Nostra Apostolica Benedizione.