11 febbraio 1970
Diletti Figli e Figlie,
Oggi, primo giorno di Quaresima, quale rito abbiamo noi compiuto?
Un rito, che trae le sue origini dalla più lontana antichità; il Vecchio Testamento ce lo ha insegnato, le origini cristiane lo hanno praticato, la liturgia, fin dall'alto medioevo, lo ha fatto proprio, lo spirito religioso cristiano del nostro tempo lo ha conservato; è il rito della imposizione delle ceneri sul capo dei membri della comunità ecclesiale, ministri o fedeli che siano.
Parla da sé: un linguaggio impressionante e esuberante di significati circa la caducità della nostra vita, come ineluttabile verità, che rovescia la nostra illusoria ed abituale opinione della sua stabilità;
circa la coscienza spietatamente realistica, che dobbiamo avere della nostra miseria morale;
circa il bisogno di confrontare questa inanità del nostro essere con il mistero di Dio, che in questa visione crudamente obiettiva, ma unilaterale, delle nostre condizioni fragilissime e colpevoli ci appare nella sua terribilità soverchiante ed inesorabile;
circa la necessità imperiosa di vincere la disperazione, che sembrerebbe essere la fatale conclusione del nostro disastroso bilancio umano, se uno scampo non ci fosse ancora offerto; uno scampo, che intuiamo ancora vicino e provvidenziale, la penitenza.
Una parola, estremamente severa, ma, in fondo, estremamente confortante, una parola di Gesù batte oggi alla porta della nostra coscienza; ed è questa: « Se non farete penitenza, voi perirete tutti » ( Lc 13,5 ).
Quale serie di pensieri inusitati per la nostra generazione, che si qualifica l'età del benessere!
Faremo cosa buona a riflettere su questa definizione della vita moderna, che sembra racchiudere la sintesi della saggezza pratica e che guida la filosofia popolare e la politica sociale del nostro tempo: il benessere, cioè l'uomo soddisfatto non solo in tutti i suoi bisogni fondamentali, ma gratificato altresì di quegli agi, di quelle comodità, di quei divertimenti, di quegli svaghi, di quei piaceri, che vorrebbero rendere felice la vita.
Questa sembra la concezione ideale della civiltà, questo lo scopo del progresso, questo il fine a cui tutti aspirano: il benessere, la felicità presente; uno stato dal quale la povertà, il dolore, la fatica, l'obbedienza, la rinuncia, l'abnegazione, e finalmente la penitenza siano assenti.
Stare bene, avere mezzi, essere liberi, godere la vita … ecco ciò che oramai tutti cercano, e in crescente misura tutti ottengono.
Come mai la Chiesa viene ancora a parlarci di penitenza?
Il quadro si fa largo, e la scena interessante.
Sarà da meditare.
Innanzi tutto per discolpare la Chiesa, anzi Cristo, dall'accusa di rendere triste la nostra esistenza, e di farle mancare ciò di cui ha bisogno, mettendo pure nel bisogno umano ogni sano progresso.
La Chiesa non solo non si opporrà al benessere legittimo e moderno, ma lo favorirà.
Tuttavia essa tradirebbe la sua missione, ch'è rivolta al vero bene dell'uomo, se lo lasciasse nell'illusione che il benessere basta a renderlo felice; e che la felicità, se pur è raggiungibile, del benessere è sufficiente al destino al quale è rivolta la vita dell'uomo, e che questa non comporta ben altre esigenze che quelle che il benessere culturale ed economico moderno può soddisfare.
Non ne daremo adesso la prova, che sarebbe facile e lunga: tutti sappiamo come l'edonismo conduce l'uomo a fermarsi entro i confini di se stesso, a non superarsi, come sarebbe suo radicale destino, e perciò ad accrescere senza fine i suoi desideri, anzi a soddisfarli a livelli gradualmente inferiori alla propria statura razionale, eretta verso la misteriosa trascendenza religiosa; a cercarne l'insaziabile compimento nelle degradanti passioni, nello smarrimento dei fini superiori, nel vizio e nell'angoscia.
La Chiesa non rinuncia a imputare all'uomo che cerca soltanto se stesso la sua fallacia, la sua bassezza, la sua necessità di purificazione e di elevazione.
Questo è il primo capitolo della penitenza: il risveglio della coscienza; come si legge nella parabola del figliuol prodigo: in se reversus, ritornato in sé ( Lc 15,17 ).
Poi viene quello delle scelte: l'uomo è un essere assai complicato; non può esplicarsi senza scegliere un piano libero e logico insieme, quello della ragione, della verità.
E ciò comporta abnegazione e sforzo; l'abstine et sustine, della saggezza stoica: occorre un dominio di sé, una gerarchia di operazioni, una moderazione di alcuni atti, e una promozione di altri, cioè occorre seguire un disegno, una legge, un modello di uomo vero e completo, che noi sappiamo essere Cristo, il vero Figlio dell'uomo, il Quale nella sua immensa stima per l'uomo, e nel suo immenso amore, ci dirà due cose: che nell'uomo vi è un disordine mortale, il peccato, e che solo Lui, Cristo, vale a ripararlo.
E allora la rispondenza dell'uomo, edotto da questa indiscutibile diagnosi, si porrà in un atteggiamento, qualificato da un corrispondente duplice sentimento, di intrinseco dolore e di implorante amore.
Tutto questo è la penitenza.
Comprendiamo come essa entri necessariamente nella psicologia, nella coscienza, nella verità dell'uomo; e quanto più egli è in grado di comprendere il dramma che lo riguarda, tanto più apprezzerà questa redentrice sapienza.
Vediamo, figli carissimi, di farla nostra, specialmente in questo tempus acceptabile, in questo periodo propizio, ch'è la Quaresima; e sperimenteremo ch'essa non dà né tristezza, né minorazione di vita; ma ci guida alla speranza e alla gioia della Pasqua di risurrezione.
Prima di concludere con la consueta benedizione queste poche parole, ci sembra opportuno aggiungerne un'altra, circa tema ben diverso, ma sempre collegato al bene spirituale di quanti ci ascoltano.
Noi infatti non potremmo dimenticare, oggi, 11 febbraio, una data che, se ha particolare significato per l'Italia e per la Chiesa di Dio che vive entro i suoi confini, ne ha uno di non minore importanza per questa Sede Apostolica, e quindi per l'intera grande famiglia cattolica sparsa in tutto il mondo: vogliamo dire la ricorrenza dell'anniversario della Conciliazione fra lo Stato Italiano e la Santa Sede, ossia dei Patti Lateranensi.
Essi - maturati i tempi che spiriti sinceri e generosi avevano previsti e preparati - misero fine, ormai sono 41 anni, al prolungato e dannoso conflitto che aveva contrapposto al Papa il Paese dove il Successore di Pietro, primo Vescovo di Roma, ha per disposizione della Provvidenza la sua residenza e dove si trova l'insieme degli organi che sono a lui necessari per poter esercitare adeguatamente la sua funzione di Vicario di Cristo al servizio della Chiesa universale.
E vi misero fine grazie, da una parte, alle rinunzie che la Santa Sede ha fatto dei suoi diritti su quelli che erano stati per secoli « gli Stati Pontifici », accontentandosi di quel minimo territorio che è sufficiente per dimostrare e umanamente garantire la sua sovranità e la sua indipendenza di fronte a qualsiasi potere statale; grazie, dall'altra, al solenne riconoscimento, nelle forme internazionalmente valide, di questa sovranità e di questa indipendenza da parte dell'Italia, ma grazie ancora, non meno, alla situazione fatta, mediante il Concordato, alla Chiesa ed ai cattolici nello Stato Italiano, in confronto a quella - insufficiente ed insicura - di prima.
La concordia così ristabilita - come più volte la Sede Apostolica ha riconosciuto - è stata fertile di buoni ed utili frutti per la Chiesa e per lo Stato, nella garantita possibilità di un'armonia di rapporti che non confonde e non subordina l'uno all'altro i rispettivi poteri, ma sottolinea e esalta l'indipendenza e la sovranità di ciascuno di essi nel proprio ordine.
Noi non possiamo se non augurare vivamente, alla Santa Sede e all'Italia, che simile equilibrio non conosca scosse, ancor meno ferite o rotture.
Senza difficoltà Noi abbiamo acceduto alla proposta di una revisione bilaterale, compiuta cioè con comune lavoro e di comune accordo, di quelle norme del Concordato che apparissero non più in armonia con la nuova situazione.
Vogliamo sinceramente sperare, e di tutto cuore auspichiamo - per amore della pace, per l'onore stesso dell'Italia e per il maggior bene di tutto il Popolo Italiano - che sia evitato qualsiasi passo, che con decisione unilaterale venisse a vulnerare ciò che fu di comune intesa solennemente stabilito.
Pensiamo in particolare, voi l'avete ben compreso, al punto tanto sostanziale del matrimonio cristiano, che il Concordato ha voluto circondare di stabili garanzie, e che il Nostro grande Predecessore di v. m. Pio XI considerava fra i risultati più preziosi della raggiunta Conciliazione.
E con questi voti diamo a voi ed a coloro che li vorranno condividere la Nostra Apostolica Benedizione.