18 Marzo 1970
Diletti Figli e Figlie!
La nostra riflessione sopra la concezione morale dell'uomo, quale ce la suggerisce il Concilio, ci porta ad una duplice osservazione, notissima l'una e l'altra, ma ora più che mai bisognose di revisione e di chiarezza; l'osservazione circa l'esistenza della legge naturale e l'osservazione circa l'esistenza d'una originale legge morale cristiana.
È chiaro che la legge dell'operare, la legge morale, deriva dall'essere umano; dall'essere dipende il dover essere.
Ora, chi è l'uomo? Chi è il cristiano?
Bisogna avere una nozione, almeno istintiva, intuitiva, della natura dell'uomo per sapere come egli deve agire; e bisogna avere un concetto, almeno generale, dell'uomo fatto cristiano per sapere come egli deve comportarsi da cristiano.
Sono parole elementari; ma esse si riferiscono a questioni molto difficili e complesse, alle quali in questa sede non possiamo certo dare soluzioni proporzionate e adeguate.
Vi accenniamo, affinché si sappia che le questioni morali, suscitate dal Concilio, e non solo dal Concilio, ma ancor più dal tumulto delle opinioni e delle esperienze moderne, meritano da chi vuol essere uomo vero e vero cristiano un esame nuovo e una coscienza lucida e forte.
Facciamo soltanto alcune domande: esiste davvero una legge naturale?
La domanda sembra ingenua, tanto facilmente se ne prevede la sicura risposta.
Ma ingenua non è, se si pensa alle obiezioni che oggi da tante parti si fanno circa l'esistenza d'una legge naturale; e in parte si capisce perché.
Confuso e alterato il concetto dell'uomo, si confonde e si altera quello della sua vita, quello del suo agire, della sua moralità.
Ma per noi, che crediamo di poter rispondere, per via di riflessione, illuminata, se volete, da qualche raggio di sapienza cristiana, all'antica massima: « conosci te stesso », il senso immanente della coscienza e ancor più il lume della ragione ci dicono che noi siamo soggetti d'una legge, diritto e dovere insieme, che nasce dal nostro essere, dalla nostra natura, legge non scritta, ma vissuta, non scripta, sed nata lex ( Cicerone ); quella legge, che San Paolo riconosce anche nei gentili, fuori della luce della rivelazione divina, quando dice che essi sono legge a se stessi, ipsi sibi sunt lex ( Rm 2,14 ).
Del resto nessuno meglio di noi, in questo tempo riformatore e « contestatore », avverte continuamente che la forza segreta dell'inquietudine morale nasce non di rado dall'appello, contenzioso rispetto ad un diritto superiore, più umano, non ancora codificato, ma potente e sorgente dalla scoperta interiore ( bene o male decifrata ) d'una legge che reclama esprimersi ed affermarsi, la legge naturale.
Noi siamo tuttora sensibili al classico e formidabile conflitto della tragedia greca riflesso nel fragile, ma umanissimo cuore di Antigone, che insorge contro l'iniqua e tirannica potenza di Creonte.
Noi siamo più che mai fautori della personalità e della dignità umana; e questo perché?
Perché riconosciamo nell'uomo un essere che reclama un « dover essere » in forza d'un esigente principio, che chiamiamo legge naturale.
Una seconda domanda: è sufficiente questa legge naturale a guidare la vita sociale dell'uomo?
Non è sufficiente, innanzi tutto, se non diventa legge espressa, in qualche modo codificata, sociale.
Essa ha bisogno d'essere formulata, d'essere conosciuta e riconosciuta, sancita da una legittima autorità.
Per questo vi sono i legislatori, che devono essere appunto gli interpreti d'un diritto naturale ( vero, o presunto ) e ne sono i suoi traduttori in pubbliche norme civili.
Ma per noi, edotti dalla dottrina divina circa il destino soprannaturale dell'uomo, circa le tristi conseguenze da lui ereditate a causa del peccato originale, circa la rigenerazione a noi ottenuta e conferita da Cristo per l'integrazione e la pienezza della nostra vita nella sua, la legge naturale non basta; occorre la legge della grazia, che ha una sua propria economia, un suo « regno », al quale normalmente la Chiesa ci introduce, ci educa.
Cristo è necessario.
Vivere secondo la sua Parola e secondo il suo Spirito è la nostra salvezza.
Allora sorge un'altra domanda: in quale rapporto sono le due leggi quella della natura e quella della grazia?
Si ignorano a vicenda? Sono in contrasto?
Ovvero si integrano l'una l'altra?
Troppe cose sarebbero da dire a questo proposito.
Riteniamo per ora buona una prima risposta, che risulta da tante pagine dei documenti conciliari: la concezione cristiana della vita riconosce come valide e impegnative le leggi naturali e anche le leggi civili, che in quelle sono fondate e che pertanto diciamo giuste.
Contentiamoci d'una citazione: « Molti nostri contemporanei sembrano temere che, se si stabiliscono troppo stretti legami tra l'attività umana e la religione, sia impedita l'autonomia degli uomini, della società, delle scienze.
Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo deve gradualmente scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma è altresì conforme al volere del Creatore.
Infatti è in virtù della creazione stessa che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, la loro verità, la loro bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine.
L'uomo è tenuto a rispettare tutto ciò, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza, o arte » ( Gaudium et spes, 36 ).
Donde una seconda risposta: la legge propria dell'uomo, cioè la legge naturale, e la legge propria del cristiano, cioè la vita della fede e della carità, la vita della grazia, possono e devono integrarsi nella prassi e nella crescita delle virtù cristiane, per dare all'uomo la sua perfezione ( Cfr. Schüller, La théologie morale peut-elle se passer du droit naturel? in Nouv. Rev. Théol., mai 1966; Fuchs, Teologia e vita morale alla luce del Vaticano II, 1968 ).
E qui due altre domande.
Non dovrebbe il cristiano distinguersi nella professione delle fondamentali virtù naturali, quali sono, ad esempio la sincerità e la giustizia?
Oh, sì, che lo deve!
Anzi dobbiamo augurarci che l'educazione cristiana sia sempre e maggiormente improntata alla coscienza e alla professione di queste virtù naturali, quali sono appunto il rispetto alla verità nella parola e nella condotta, e la fedeltà alla giustizia specialmente nei rapporti sociali ( Cfr. Gaudium et spes, 30 ); e lo stesso si dica delle altre virtù naturali, che la tradizione classifica quali virtù cardinali ( Cfr. S. Ambr., De officiis, 1, 27 ).
E siamo lieti di riscontrare nei giovani d'oggi un forte e fiero richiamo a quei principii morali fondamentali che conferiscono alla vita la sua autentica e diritta statura umana.
E dobbiamo anche osservare come questo sforzo di realizzare l'uomo vero può trovare nelle esigenze del Vangelo, in quelle specialmente relative all'austerità personale e ai rapporti umani, uno stimolo potente, una vocazione sovrumana.
È questo uno dei fenomeni più belli della nuova generazione, una delle speranze d'un migliore avvenire.
E l'altra domanda ( l'ultima, per ora ) pone il quesito del dinamismo della legge morale, naturale e cristiana, cioè il suo possibile continuo progresso.
Sì, il progresso morale è sempre possibile, anzi è sempre doveroso, ma sempre fermi restando i principii e le norme fondamentali.
L'applicazione della legge morale è sempre perfettibile.
L'uomo è sempre « in fieri », in divenire, sia per diventare uomo nel senso crescente della sua definizione, sia per diventare perfetto secondo il Vangelo, cioè santo.
La vera storia dell'uomo è quella della sua educazione, della sua emancipazione, come dice il Tommaseo, della sua liberazione, come spesso ambiguamente dice il mondo d'oggi.
Tutto sta a vedere qual è la liberazione che conferisce all'uomo la sua pienezza.
E ciò che dice della singola persona lo possiamo dire della società umana, della civiltà: essa dev'essere continuamente in via di sviluppo morale, cioè umano e cristiano, che vuol poi dire culturale, sociale, economico, eccetera.
Questo significa alla fine che il motore vero della nostra esistenza è il dovere, il quale per noi cristiani prende un nome ancora più forte e più intimo, l'amore; come disse Gesù, « amerai Dio con tutto il cuore, e amerai il prossimo come te stesso; questa è tutta la legge » ( Mt 22,37-40 ).