25 Marzo 1970
Diletti Figli e Figlie, Mercoledì Santo: pare a Noi che non sia possibile parlare d'altro, in questo preludio del dramma pasquale, che della nostra posizione, come uomini e come cristiani, di fronte al mistero ch'esso, il dramma pasquale, contiene, significa e rinnova, il mistero della nostra salvezza.
Mistero divino ed umano; mistero profondo fino alle insondabili ragioni della giustizia e della bontà divina; mistero di Cristo, « che non conosceva peccato e ( Dio ) lo fece peccato, affinché noi diventassimo in Lui giustizia di Dio » ( 2 Cor 5,21 ); mistero, nel quale il dolore, che sembra inutile nemico della nostra esistenza, è trasformato nel valore prezioso del nostro riscatto, mistero della morte vittoriosa e sconfitta per il trionfo d'una nuova e superiore forma di vita.
In questo mistero è il nodo in cui si stringe ed in cui si scioglie ogni questione delle sorti umane, lo sappiamo o no, lo crediamo o no; noi tutti vi siamo coinvolti.
Ora un'affermazione fondamentale s'impone: tutti abbiamo bisogno di salvezza ( Lumen gentium, 53; 1 Tm 2,4 ); nascendo, noi siamo naufraghi in questa inevitabile avventura; dimenticarla è cecità; rifiutarla è perdizione.
Dobbiamo salvarci.
Ed allora un'altra logica conclusione: noi dobbiamo avere coscienza di questo bisogno; e cioè, dobbiamo avere coscienza del male; del male nostro, del male che è nel mondo.
Non è pessimismo disperato, è realismo; e per noi credenti nella salvezza, che ci viene da Cristo Salvatore, è la diagnosi sincera e salutare, che precede la terapia della salute.
Sopra questo aspetto della verità umana faremo bene a chiarire le nostre idee, le quali risentono i disordini d'una duplice confusione, quella generata da un ingenuo e aprioristico ottimismo, al quale ci ha abituato il naturalismo moderno; e quella da un angoscioso pessimismo, di cui ci è triste maestro certo esistenzialismo, che ha spietatamente svelato la radicale miseria dell'umana esperienza, senza sapervi portare altro conforto che quelli d'un rassegnato fatalismo, o d'un drogato edonismo.
Noi che cosa faremo per entrare nel cono di luce della salvezza cristiana?
Accetteremo la luce.
La quale, proiettando i raggi dello sguardo divino sopra di noi, svela a noi stessi la nostra multiforme rovina; ci dà una previa e salutare, come dicevamo, coscienza del male.
Il nostro bene comincia dalla conoscenza del nostro male.
Il quale, ahimé!, è come un oceano inondante: « un'ondata dilagò sovra il mio capo; ho detto: sono perduto! », è la voce di Geremia, che ascolteremo gemere in quelle Lamentazioni, che fanno vibrare l'officiatura della Settimana Santa d'incomparabili emozioni; sarà bene che i loro fremiti di desolata verità vengano a pulsare, in questi giorni, nei nostri animi.
Ma noi ora condensiamo in due capitoli questa scienza del male, la quale deve predisporci a partecipare al mistero della salvezza pasquale.
Il primo capitolo ci riguarda tutti personalmente.
È quello del male supremo, il peccato.
Anch'esso ha una storia grandiosa.
La quale ci travolge tutti nell'infausta eredità del famoso peccato originale, causa prima della morte e degli squilibri psico-etici che turbano la nostra vita morale ( Cfr. Rm 5 ).
Il battesimo ci ha redenti da questo fatale malanno, ma non ci ha del tutto guariti dalle sue conseguenze, da cui derivano quegli altri mali, dei quali noi stessi siamo stolti fautori; e sono i nostri peccati, attuali, nemici anch'essi mortali della nostra vera vita, ch'è l'unione con Dio, sorgente unica e prima della vita.
Discorso difficile, ma inevitabile.
Noi moderni stiamo perdendo il senso del peccato.
Pio XII, nostro venerato predecessore, ebbe a dire che « forse il più grande peccato del mondo oggi è che gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato » ( Discorsi e Radiomessaggi, VIII, p. 288 ).
Ed è spiegabile come.
Perduto il senso di Dio e la percezione del nostro rapporto con Lui, rapporto continuamente urgente ( la legge morale ) nel campo del nostro agire e perciò del nostro comportamento responsabile in ordine a Lui, cade anche il senso del peccato; l'uomo pensa d'essersi liberato, ma s'è in realtà liberato dalla bussola direttiva del proprio divenire cosciente e vitale; rimane solo e senza principi assoluti per distinguere il bene dal male e per dare al dovere il suo vigore trascendente; senza Dio, tutto può diventare lecito ( Cfr. Dostoevskij ).
Ma un senso oscuro ed inestinguibile d'indegnità e d'incapacità subentra nello spirito di chi agisce senza più riferirsi a Dio; e tanto dovrebbe bastare per non disdegnare, anzi per accogliere con ineffabile gioia l'incontro con Cristo, che dà simultaneamente la coscienza del peccato e quella della sua misericordiosa e vittoriosa riparazione.
Siamo in pieno e autentico cristianesimo; siamo alla prima fase della celebrazione della Pasqua; la penitenza, il pentimento, la dolorosa, ma benefica sincerità con se stessi, e con Dio, la confessione sacramentale; siamo, col figliol prodigo, sulle soglie della casa paterna: « Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te, non sono degno d'essere chiamato tuo figlio! » ( Lc 15,19-21 ).
Ecco una scienza del male, che apre la porta alla riconquista del bene.
Quanto, quanto vi sarebbe da dire; voi certo già lo sapete.
Secondo capitolo di questa dolorosa sapienza: l'avvertenza, e con l'avvertenza la deplorazione, e, per quanto possibile, la riparazione dei mali, che sono nel mondo.
Chi ne può mai fare l'elenco? chi misurare la estensione? chi si può dire innocente?
« Sappiamo - scrive l'apostolo San Giovanni - che … tutto il mondo è posto nel male » ( 1 Gv 5,19 ).
Anche di questo male, dalle mille facce, non dobbiamo essere ignoranti.
Come non possiamo consentire con quelli che denunciano fieramente soltanto i mali fuori delle loro persone e delle loro responsabilità, e dimenticano il « mea culpa » per i propri peccati e per le loro proprie corresponsabilità ( oggi questo atteggiamento è tanto frequente ), così non possiamo approvare quelli che circoscrivono la sensibilità morale al campo della loro personale coscienza, e si disinteressano dei mali, dei dolori, dei bisogni, di cui soffre la società, anche se tali elementi negativi riguardano la sfera temporale, piuttosto che quella strettamente religiosa.
La Pasqua ci obbliga a guardare anche questa scena dell'umanità.
Quei mali, che hanno annientato la vita terrestre di Cristo, l'empietà, l'ipocrisia, l'ingiustizia, la cattiveria, la delinquenza, la crudeltà, la viltà, la debolezza umana, ecc., sono ancora là; anch'essi, come sono messi in evidenza dalla Passione di Cristo crocifisso, così possono e debbono ricevere un flusso di resipiscenza, di redenzione, di rinascita dal mistero pasquale.
E il solo sguardo, che perciò siamo obbligati a posare sopra i disordini e le sofferenze, che sono nel panorama storico e sociale di questa ora della vita moderna, ci riempie d'immenso dolore, il quale però diventa per noi immenso amore per i nostri fratelli ed immensa fiducia nei carismi redentori della morte e della risurrezione del Signore Gesù.
Come rimanere insensibili a ciò che oggi avviene nel mondo?
Tanti sono questi stimoli dolorosi, che Noi rinunciamo a farne l'elenco ordinato e completo.
Diciamo soltanto che ci colpiscono specialmente i conflitti bellici, che nel Medio e nell'Estremo Oriente, invece di placarsi, si inaspriscono e si prolungano;
ci impressionano, come fenomeni irrazionali e come presagi sconfortanti per il futuro, gli armamenti crescenti, che talvolta costituiscono parte notevole del commercio tra grandi potenze industriali e nazioni più deboli, le quali di ben altre forniture avrebbero bisogno;
ci sembrano residui ignobili del passato le intransigenze razziste e le inique discriminazioni etniche e sociali;
né crediamo che valgono ideali di libertà e di giustizia a coonestare la violenza, la vendetta, la rappresaglia, gli atti di terrorismo e le guerriglie, spesso rivolte contro la legittima autorità, o inflitte a popolazioni inermi;
non possiamo che deplorare e auspicare che, per l'onore stesso di Nazioni a Noi care, siano smentiti dai fatti quei casi di torture poliziesche a loro attribuite, di cui s'è tanto parlato, e per cui Noi stessi, non senza positiva speranza, abbiamo interposto qualche doveroso intervento;
ci fa acutamente soffrire l'intollerabile e clandestino, ma sciaguratamente tanto organizzato contrabbando di droghe, velenose non meno per la salute fisica che psichica e morale, e diffuse perfino e soprattutto fra la gioventù;
ci sembra degradante per una società civile il sequestro di persone per farne prezzo d'acquisto di ricatti venali o vendicativi;
ci pesano sempre sul cuore le condizioni d'insufficienza economica e civile dei Popoli in via di sviluppo e di non pochi strati sociali;
e ci fa sempre soffrire, anche se la dobbiamo sopportare silenziosamente, la negata libertà religiosa, che, nonostante tanti declamati principi, non trova ancora in alcune regioni sufficiente cittadinanza, e talora nemmeno alcun civile e privato respiro, per la pacifica professione della fede cristiana.
Sono questi malanni tanto più dissonanti col mistero pasquale in quanto un fattore volontario li rende delittuosi e deplorevoli.
Dovrebbe questo penoso « giro di orizzonte » guardare anche all'area immensa dei dolori patiti, non voluti, da grande parte dell'umanità; vorremmo inviare agli infermi, ai poveri, ai carcerati, agli orfani, alle vedove … a quanti soffrono e piangono quel conforto, che la Croce offre al dolore umano: una utilità redentrice, una ragione valorizzatrice.
Ma qui fermiamoci; e con gli animi pieni della coscienza dei nostri mali morali, fisici e materiali andiamo verso la « spes unica », la Croce di Cristo, trofeo non più di morte, ma di vita risorta: questa sia la Pasqua, con la Nostra Benedizione Apostolica.