8 Luglio 1970
Un altro carattere del Concilio, dopo quelli che abbiamo in precedenti udienze considerati, ha dato al Vaticano Secondo una sua nota speciale, ed è il carattere pastorale.
Così lo ha voluto Papa Giovanni XXIII, il quale, fino dal suo discorso inaugurale, ha manifestato il proposito che il magistero del Concilio da lui convocato dovesse avere un'indole prevalentemente pastorale.
Cosi è stato.
Basta ricordare che uno dei documenti conciliari, l'ultimo ed il più diffuso, è intitolato « Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo »: è la Gaudium et spes, ormai famosa.
Così l'altra Costituzione principale, dogmatica questa: Lumen gentium circa la Chiesa, richiama continuamente le nozioni ed i doveri della funzione pastorale ( Lumen gentium, 26-27 ); come pure la Costituzione sulla sacra Liturgia ( Sacrosanctum Concilium, 33-36; 43-46 ); come è ovvio che il contenuto del Decreto Christus Dominus, sull'ufficio dei Vescovi, riguardi principalmente il carattere pastorale della loro funzione ( Christus Dominus, 16 ); e parimente quello sulla formazione sacerdotale Optatam totius ( Optatam totius, 12; 19-20); quello sulle Missioni Ad gentes ( Ad gentes, 5-6 ); e così via.
Sebbene questo vocabolo « pastorale » sia chiarissimo per l'uso continuo che se ne fa, giova ricordarne l'origine.
Deriva dal linguaggio antico e classico: Omero chiamò i re pastori di popoli; deriva specialmente dal linguaggio biblico ( Cfr. Ger 31,10; Ez 34 ); ma prende per noi il suo tipico significato nel Vangelo, sulle labbra di Gesù, che ama definire se stesso: « Io sono il buon Pastore » ( Gv 10,11.14; Mt 15,24; Lc 15,4-7; Eb 13,20; 1 Pt 2,25 ), e deriva dall'attribuzione della funzione pastorale, tre volte ripetuta, che Cristo risorto riferisce a Pietro, come conseguenza e come prova del suo amore per Lui ( Gv 21,15-17 ): se mi ami, sii pastore del mio gregge.
Dunque: la pastoralità non ha importanza soltanto nel Concilio, l'ha nel Vangelo; e questa coincidenza ci dimostra ancora una volta come sul Vangelo sia ricalcato il Concilio.
Ma che cosa comporta questo concetto di pastoralità? l'analisi di esso meriterebbe una lunga meditazione.
Riassumiamo.
È fuori dubbio che la funzione pastorale comporta l'esercizio di un'autorità.
Il Pastore è capo, è guida; è maestro, potremmo anche dire, se è vero ciò che dice Gesù, che il suo gregge ascolta e segue la sua voce di buon Pastore ( Gv 10,3-4 ).
Un'autorità, che non è conferita dal gregge; una prerogativa, una responsabilità, un'iniziativa, che lo precede: ante eas vadit ( Gv 10,4 ), e che non si fa condurre da lui, come vorrebbe certa concezione dell'autorità.
Ma subito una seconda nota, coesistente con quella dell'autorità, definisce il Pastore, nel disegno costituzionale evangelico; ed è quella del servizio.
L'autorità, nel pensiero di Cristo, non è a beneficio di chi la esercita, ma a vantaggio di coloro ai quali si rivolge; non da loro, ma per loro.
Questa concezione è ciò che la giustifica ( ricordiamo ancora una volta la celebre formula del Manzoni nel delineare il profilo ideale del Card. Federigo: « Non ci può essere giusta superiorità di uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio » ) ( Manzoni, I Promessi Sposi, c. XXII ).
Ne abbiamo già e spesso parlato: l'autorità è un dovere, è un peso, è un debito, è un ministero verso gli altri, per condurli alla vita, di cui Dio l'ha resa dispensatrice ( Tt 1,7; 1 Cor 4,1-2; 1 Pt 4,10; Lc 12,42 ), ed a cui Dio vuole che essi possano giungere.
È un canale; canale obbligato, necessario, ma salutare.
Si chiama « cura d'anime ».
Questa è la funzione pastorale.
E questo aspetto di « cura d'anime », nel quale si perfeziona il concetto della pastoralità, ci apre una nuova visione, ci indica una terza nota, oltre quelle dell'autorità e del servizio; la nota dell'amore: è un servizio compiuto per amore e con amore.
E l'amore, se davvero è tale, porta subito alla sua espressione assoluta, il dono totale di sé, il sacrificio; proprio come Gesù ha detto ed ha fatto di Sé e propone ad esempio di chi nell'ufficio di Pastore lo seguirà: « Il buon Pastore dà la vita per il suo gregge » ( Gv 11,10 ).
Qui vi è compresa una duplice somma di requisiti pastorali; una somma soggettiva di virtù proprie di chi esercita la cura d'anime; e quante sono!
La premura ( ricordiamo la sollicitudo di San Paolo ) ( 2 Cor 11,28 ),
il disinteresse,
l'umiltà,
la tenerezza ( cfr. ancora San Paolo nel commovente discorso ai Cristiani di Mileto ) ( At 20,19 );
e poi la somma oggettiva delle esigenze dell'arte pastorale, cioè lo studio e l'esperienza di quanto interessa la cura d'anime, fino a classificare la funzione pastorale fra le scienze derivate dalla teologia;
la teologia pastorale, nei cui tesori la psicologia ( si veda, ad esempio, il libro terzo della famosa Regala pastoralis di San Gregorio Magno ),
e la sociologia, oggi tanto in voga, figurano con legittima dignità.
Donde si conclude che la pastoralità non vuol dire empirismo e bonarietà nei rapporti comunitari, né tanto meno esclusione dal ricorso a principi dottrinali indispensabili per l'energia e la fecondità stessa dell'apostolato pastorale; ma significa piuttosto applicazione concreta, esistenziale delle verità teologiche e dei carismi spirituali all'apostolato, a quell'apostolato che arriva alle singole anime e alla comunità delle persone, e che, dicevamo, si chiama cura di anime.
Tutto questo riguarda, voi ci direte, la gerarchia, il sacerdozio ministeriale, i Pastori, che nel Popolo di Dio sono investiti della specifica funzione di procurare ai Fedeli i doni della parola, della grazia, della carità comunitaria.
È vero.
Ed è questa la nostra responsabilità, piena e diretta, tanto più impegnativa quanto più prossimo è il grado che ci unisce alla Persona di Cristo e alla sua missione della salvezza.
Ma ricordate che il Concilio ha richiamato in onore di memoria e di esercizio anche il Sacerdozio comune dei Fedeli ( Lumen gentium, 10-11 ), Sacerdozio regale, come proprio San Pietro lo chiama ( 1 Pt 2,5-9 ); ha svegliato in ogni cristiano il senso della sua responsabilità nel grande quadro della salvezza ( Cfr. Lumen gentium, 30-34 ); ogni Fedele dev'essere missionario ( Cfr. Ad gentes, 36 ); anzi ha riconosciuto che certe forme di apostolato non possono essere esercitate propriamente che dai Laici ( Lumen gentium, 31; Gaudium et spes ), dedicando all'apostolato dei Laici un intero Decreto ( Apostolicam actuositatem ).
Si direbbe che il Concilio ha fatto propria la parola biblica: ( Il Signore ) « diede comandamenti a ciascuno a riguardo del suo prossimo ( Sir 17,12 ).
Ha voluto creare un'atmosfera di pastoralità collettiva e scambievole; ha voluto stringere i vincoli operativi della carità che tutti ci unisce in Cristo; ha voluto ridare alla Chiesa, nelle sue moderne strutture, l'entusiasmo, la solidarietà, la sollecitudine della primitiva comunità cristiana ( Cfr. At 4,32ss ).
Operazione-cuore, potremmo dire in linguaggio pubblicitario, ha voluto essere il Concilio mettendo in tanta evidenza il suo carattere pastorale.
Operazione nostra, dica ciascuno di noi.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.