5 Agosto 1970
Le tentazioni dell'uomo moderno nei confronti di Dio e della religione sono molte e sono gravi.
Vi accenniamo appena, com'è Nostra abitudine in questi brevi momenti d'udienza generale, non tanto per rispondere dottrinalmente a queste tentazioni, quanto perché ne abbiate notizia, anche in questa sede, e sappiate difendervi, come si conviene, studiando, riflettendo purificando la vostra mentalità religiosa, se occorre, e fortificando con la preghiera e con la buona volontà la fede minacciata: ut possitis sustinere, affinché sappiate resistere ( 1 Cor 10,13 ).
Fra queste tentazioni eccone una formidabile: Dio e la religione sono concetti superati.
Appartengono ad altri tempi.
Il nostro tempo è diventato adulto.
Il pensiero moderno è progredito in misura tale da escludere ogni affermazione, che trascenda la razionalità scientifica.
Dio, si dice, è trascendente; dunque è fuori della sfera degli interessi dell'uomo del nostro tempo.
Appartiene al passato, non al presente, tanto meno al futuro.
Il movimento della civiltà va verso una secolarizzazione crescente e totale, cioè verso l'autonomia dei valori temporali e verso la liberazione del loro asserito rapporto religioso.
Avrete certamente sentito parlare di questa tendenza, che distingue dapprima le realtà terrene dal loro superiore e terminale rapporto col mondo religioso; e ciò legittimamente ( Cfr. Gaudium et spes, 36 ); ma poi arriva a restringere nell'ambito di queste realtà terrene tutto il sapere e tutto l'interesse dell'uomo, secolarizzando, laicizzando, desacralizzando ogni forma di vita moderna.
La religione non vi avrebbe più posto, né alcuna ragione d'essere, a meno che non sia reinterpretata in senso puramente umanista, così che essa proclami che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo ( Cfr. Marx, Nietsche, ecc. ).
Come vedete, l'obiezione è sovversiva rispetto alla nostra fede, ed è in questi anni assai forte e diffusa, giungendo perfino nel campo teologico, con qualche intenzione non sempre eversiva anche in quello cattolico.
Qual è la sua forza motrice? Essa sembra doversi identificare nel movimento, nell'evoluzione, nel cambiamento delle idee risultante dal progresso, dalla mutazione della vita moderna in confronto con quella dei tempi precedenti.
Noi siamo soliti a chiamare storia questo flusso di avvenimenti e di costumi, quando esso si riferisce alla vita dell'uomo.
La storia sarebbe la causa fatale della dissoluzione dell'idea religiosa.
Il senso di questo processo delle cose e degli uomini nel tempo ci tenta a classificare come antiquata, come oggi insostenibile, come abusivamente superstite la religione, e come mitico, cioè immaginario e irreale, lo stesso nome di Dio.
Un uomo religioso sarebbe un reazionario, un ingenuo fuori moda, un essere infelice, non ancora emancipato dai ceppi di una mentalità superata.
Superfluo che noi vi ricordiamo quale potere suggestivo abbia oggi questa tentazione.
I fatti lo dicono, i libri lo documentano.
I giovani specialmente subiscono il fascino di questa forma di ateismo per l'aspetto di attualità, che lo riveste, di spregiudicatezza, ch'esso autorizza e fomenta, di evidenza elementare, che sembra suffragarlo.
Questo genere di ateismo sarebbe un segno di progresso mentale, causa ed effetto del progresso scientifico, tecnico, sociale, culturale.
La storia, cioè l'evoluzione, è il segreto di questa metamorfosi del mondo moderno.
Su l'ateismo si potrebbero fare dissertazioni senza fine, specialmente nel campo speculativo; esiste nella letteratura cattolica una ricca produzione di opere di studio e di divulgazione, che faremo bene a conoscere e a valorizzare.
Ma noi ci limitiamo ora a considerare l'aspetto tentatore della negazione di Dio e dei nostri rapporti con Lui, causato dal così detto « nostro tempo ».
Vorremmo invitarvi ad esaminare questa espressione.
Essa farebbe torto alla vostra intelligenza, se da sé bastasse a formare in voi una certezza, specialmente in questione di tanta importanza.
Può, al più, fondare una presunzione di verità, quella dell'opinione pubblica, o quella di correnti filosofiche di pensiero, che si suppongono valide.
Ma di per sé l'attualità di una dottrina non basta a darle titolo di credibilità.
Chi si lascia condurre dalla moda del pensiero, dall'opinione di massa, spesso non si accorge della propria attitudine servile: si esalta nelle parole, nelle idee altrui, nelle opinioni comode, nella rinuncia ad uno sforzo mentale proprio, nel godimento d'essersi affrancato dalla mentalità del proprio ambiente, spesso non privo di sapienza e di esperienza, e di lasciarsi portare dalle idee trionfanti: e si crede libero!
E non si avvede d'un'altra debolezza: che le idee trionfanti nel tempo, col tempo possono mutare, e mutano di fatto; egli si espone perciò a smentite e a delusioni di domani; sorriderà forse allora di se stesso, o forse meglio rimpiangerà d'aver abbandonato il timone della propria personalità a mani e a cervelli altrui, d'essere un uomo mancato, d'aver camminato al buio.
Riflettano le persone intelligenti.
Riflettano i giovani.
Riflettano i lavoratori.
Tutti dobbiamo riflettere.
Oggi specialmente, quando l'idea di « progresso », di autosufficienza umana, subisce una crisi paurosa, e trova proprio nei suoi fedeli operatori i contestatori più neri e più disperati.
Che se altri fossero i motivi della ripugnanza al Dio della fede vogliamo parimente riflettere: l'analisi seria e paziente di questi motivi ne mostrerà alla fine la fallacia; e, non senza un immancabile aiuto di quel Dio che mettiamo in causa ( Cfr. S. Iren., Ad. Haer. IV, 5, 1: « non possiamo senza Dio conoscere Dio » ), troveremo ch'Egli non è il fantasma che l'uomo ignorante o emotivo s'è creato da sé; troveremo, come dice il Concilio, in una mirabile pagina, « che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo » e che, proprio in conformità alla tensione dell'uomo moderno a cercare nel tempo avvenire la pienezza della vita, « la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi, offre nuovi motivi a sostegno del compimento di essi » ( Gaudium et spes, 21 ).
Rileggiamo una pagina del P. De Lubac: « Si respinge Dio come colui che limita l'uomo, e non si vede che per rapporto con Dio l'uomo ha in sé "qualche infinità".
Si respinge Dio come quegli che soggioga l'uomo, e non si vede che è per rapporto con Dio che l'uomo sfugge a ogni servitù, in particolare a quella della storia e della società … » ( De Lubac, Sur les chemins de Dieu, p. 268 ).
Dio non è sorpassato.
E nemmeno l'idea di Dio, nella pienezza del suo Essere, nel mistero della sua esistenza, nella meraviglia della sua rivelazione, è sorpassata.
Solo bisogna rigenerarla nei nostri spiriti, che l'hanno deformata, profanata, rimpicciolita, espulsa e dimenticata; rigenerarla nella ricerca, nella fede cristiana, nella carità ambivalente: verso di Lui e verso i fratelli, per riscoprirla l'attualità per eccellenza, la luce del tempo, la promessa dell'eternità.
Il suo nome è « Sempre ».
Diciamo anche con il cantore biblico: « Benedirò il Signore in ogni tempo, e sempre avrò sulle mie labbra la sua lode » ( Sal 34,2 ).
Con la Nostra Apostolica Benedizione.