19 Agosto 1970
Noi vorremmo darvi segno dell'amore pastorale, proprio del Nostro ministero, verso l'uomo del nostro tempo, l'uomo considerato secondo un tipo comune, non per abbassare il suo livello, ma per allargare il raggio del nostro interesse, cercando d'invitare la vostra attenzione sulle tentazioni convenzionali circa la fede in Dio, o, in termini più generali, circa la religione.
Una di queste tentazioni è quella che insinua nella mentalità moderna la persuasione che, tutto sommato, si può fare a meno di Dio, e si può sostituire con altri valori.
Cioè, si precisa: della fede in Dio, e della pratica religiosa, che la fede richiederebbe.
Non è una negazione assoluta, non è un ateismo radicale o razionale; è un disinteresse pratico, e un tentativo di fondare la vita su altre basi, che non quelle religiose tradizionali.
È una conclusione, spesso, d'un ragionamento abbastanza empirico, ma complesso, che demolisce nell'interno dell'anima quel po' di certezza, che il primo catechismo aveva infuso nell'alunno ancora fanciullo, e che, con qualche dubbio nascente da un nascente sforzo intellettuale e con qualche attraente prospettiva di affrancamento da doveri molesti, sembra svanire: com'è difficile, si dice, questo problema su Dio!
com'è facile sottrarsi alle sue esigenze, sia speculative, che pratiche! com'è comodo!
E per taluni la tentazione si veste delle sembianze di Minerva, la dea della sapienza pagana, che fa pensare all'abbandono della religione come a un superamento liberatore da pseudo-idee infantili ( ricordate? non è Chantecler che fa sorgere il sole ): l'uomo adulto non ha bisogno di questo mondo religioso, che sembra immaginario e superstizioso; egli è soddisfatto d'altri pensieri, i suoi pensieri, che sono poi i suoi interessi, i suoi impegni, i suoi amori, le sue esperienze, la sua attività quotidiana, il suo « da fare », ch'egli chiama la vita reale.
Questa è la prima forma della tentazione, che dicevamo, della sostituzione di Dio: la possiamo riferire, ricordando la parabola del seme, a quello caduto fra cespugli di spine, che crescendo soffocano il grano nascente ( Mt 13,7.22 ): le sollecitudini temporali prendono tutto il posto che nell'anima dovrebbe essere riservato ai doveri e ai diritti della religione.
Questo è positivismo pratico.
L'inosservanza del riposo e della preghiera dei giorni festivi dimostra quanto sia forte e prepotente questa tentazione.
Oggi chi vi cede è legione, proprio quando l'importanza, sia personale che collettiva, della partecipazione festiva alla liturgia eucaristica è divenuta di più chiara evidenza, tanto per segnare sapientemente il ritmo del tempo e delle occupazioni profane, quanto per conservare allo spirito il suo respiro, il suo conforto, il suo livello, il primo.
La vita a-religiosa diventa facilmente insoddisfacente e insignificante.
L'uomo intelligente si accorge di camminare all'oscuro; senza la luce della verità e della pratica religiosa la sua esperienza perde risalto e significato, la sua personalità si fa mediocre, la sua libertà cade mancipio di passioni non buone e di influssi altrui.
Sente il bisogno di qualche idealità superiore, davanti e sopra di lui.
Le opinioni correnti, gli aforismi retorici, le filosofie di moda offrono facilmente l'idolo da mettere al posto di Dio.
Ma vogliamo riconoscere che spesso sono concezioni nobili ed alte, che sono innalzate a guida dell'uomo moderno in sostituzione della fede religiosa, come la scienza, la libertà, l'arte, il lavoro, il progresso, il dovere, l'amore …
Altre concezioni, non meno risonanti, non sono senza ambiguo significato: la ricchezza, la potenza, la gloria, la politica, la felicità, ecc.
Valori, certamente.
Ma possono essi forse assurgere a quel grado assoluto, che riconosciamo alla divinità, e che non postula d'essere giustificato in sede superiore?
E sono essi, se di essi soltanto ci accontentiamo, capaci di riempire nel nostro spirito il posto di Dio?
Non lasciano forse, presi da soli, un vuoto, che, a ben considerarlo, è la parte maggiore e migliore?
E se restringiamo la nostra capienza a questi valori isolati, mentre essi postulano d'essere riportati a sorgente e ad ordine di più alto grado, non abbiamo noi o compresso la loro vera misura, o rimpicciolito, piuttosto che dilatato, l'ampiezza dello spirito umano, ch'è senza limiti?
È questo il monito notissimo di S. Agostino ( Cfr. Conf. 1,1 ), che percorre, prima e dopo di lui, tutta la storia della spiritualità umana: il bisogno dell'insostituibile Iddio.
Non si tratta di qualificare questo insaziabile bisogno come « angoscia metafisica », di cui non vuol sentire parlare né il materialismo moderno, né, per altre ragioni, l'idealismo immanentista; ma si tratta di riconoscere una nativa e profonda esigenza dell'anima umana, aperta sull'infinito, la quale aspira a commisurarsi e quindi ad immedesimarsi con la conoscenza e l'amore con quel Dio, di cui porta in se stessa la misteriosa impronta.
La sostituzione, anche in questi casi, che riscontriamo talvolta in uomini di grande statura intellettuale e morale, è abusiva; abusiva per riguardo a Dio, che antepone al suo messaggio biblico il geloso e primo mandato: « Sono Io il Signore Dio tuo; non avrai altro idolo davanti a me » ( Es 20,2-3 ); e abusiva per riguardo all'uomo, che lo illude col bagliore di luci riflesse, o artificiali, privandolo della prima luce dell'abbagliante mistero di Dio.
Ma oggi è di moda un'altra forma di sostituzione di Dio, di Cristo, della fede e della religione; ed è quella che ci tenta non già a ripudiare i benefici della religione stessa, di quella cristiana specialmente, quanto piuttosto ad acquisire tali benefici per l'uomo moderno, distinguendoli e separandoli dalla loro radice, cioè dal rapporto col mondo divino.
Si usa dire: dalla sorgente verticale, per assegnarne l'origine ed il termine alla linea orizzontale, non più a Dio, ma all'uomo.
Nell'intento di dare al cristianesimo una formulazione gradita alla mentalità secolarizzata, laicista, ostile alla trascendenza e alla Realtà misteriosa del Dio vivente e del suo Cristo, Verbo incarnato e nostro Salvatore nello Spirito Santo, si è cercato d'interpretare il cristianesimo secondo misure puramente umane.
Ricorderanno ancora molti un celebre articolo, scritto subito dopo la guerra, d'un insigne filosofo idealista: « Perché noi non possiamo non dirci cristiani », nel quale si riconosceva acutamente il merito innegabile al cristianesimo d'aver assicurato alla dottrina dello spirito valori nuovi ed inestinguibili; ma il cristianesimo autentico è assorbito e quindi sostituito dall'immanentismo idealista.
Oggi si parla di pensatori, che offrono una re-interpretazione secolare della fede cristiana, come d'un cristianesimo senza religione, nel quale Cristo fa grande figura, ma come uomo.
Dio scompare.
Vi si dicono anche cose belle e profonde, che fanno l'incantesimo dei cristiani del nostro tempo, dottrinalmente secolarizzati e perciò negatori della verità religiosa quale la Chiesa perennemente difende e diffonde: sono spesso pagine impressionanti, come rose ammirabili, ma recise dalla pianta; vivono in bellezza, affermando valori etici apprezzabili, ma come si spiegano staccati dalla loro vera radice e ridotti a misura puramente umana?
e quanto potranno durare per salvare quell'uomo al cui livello sono fatalmente ridotti? l'espace d'un matin? ( Cfr. G. De Rosa, Civ. Catt., 1970, quad. 2877 e 2878 ) Dio, Cristo, la Chiesa, non si possono impunemente sostituire.
Procuriamo di superare questa tentazione, ritrovando nella nostra fede cattolica la certezza, la pienezza, la salvezza, che essa solo può dare.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.