30 Settembre 1970
« Non chiunque mi dice: Signore! Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi farà la volontà del Padre mio, Che è nei cieli ».
Questa è una celebre parola di Gesù Cristo, nostro Signore, che scegliamo oggi per tema della nostra breve riflessione, sempre intenti al grande avvenimento, il Concilio, il quale non deve essere passato invano ai nostri giorni, ma deve imprimere un rinnovamento morale nella nostra vita cristiana.
Era questo il pensiero dominante del Nostro venerato Predecessore, quando convocò il Concilio: « … dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l'insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero attende un balzo in avanti verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze, in corrispondenza più perfetta alla fedeltà dell'autentica dottrina, anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme dell'indagine e della formulazione letteraria del pensiero moderno ».
Per questo il Concilio volle assumere il carattere d'un magistero prevalentemente pastorale.
E il pensiero dell'intento morale del Concilio ritorna sovente nei suoi insegnamenti.
Così, ad esempio, nel Decreto sull'Ecumenismo, che sembrerebbe per sé remoto da scopi direttamente personali e morali, è detto: « Non vi è vero ecumenismo senza conversione interiore » ( Unitatis redintegratio, 7 ).
Così nella costituzione sulla Liturgia si parla di conversione e di penitenza come condizione per avvicinarsi al contatto con Cristo nella celebrazione dei santi misteri ( Sacrosanctum concilium, 9).
E questa simbiosi fra dottrina e condotta morale s'incontra in tutto il Vangelo.
Il Signore, ci è stato Maestro di verità e di vita ad un tempo; ci ha istruiti con la parola e con gli esempi; non ci ha lasciato libri, ma una forma di esistenza nuova, trasmessa e realizzata da una comunità guidata da un magistero e da un ministero ( l'uno e l'altro autenticamente continuatori della sua missione redentrice ), e consistente in una vivificazione soprannaturale nella grazia, cioè nello Spirito di Gesù.
Così che, se noi vogliamo accogliere l'influsso del Concilio, dobbiamo chiedere a noi stessi quale sia l'applicazione che ne vogliamo fare.
Non basta sapere, bisogna fare.
Vi sono due modi d'intendere questa applicazione:
la prima, possiamo dire, in estensione, cioè per via di deduzioni dottrinali e canoniche, delle quali ora non intendiamo parlare, anche perché questa via, se non guidata dal magistero della Chiesa, può portarci al di là degli insegnamenti e degli intenti del Concilio;
e la seconda, in profondità, cioè per via di riforme interiori alle nostre anime e alla vita ecclesiale, in modo che il Concilio abbia una sua efficacia rinnovatrice,
specialmente nella concezione della nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa,
nella partecipazione alla vita ecclesiale, sia di preghiera, che di azione,
nel ricorso alla nostra coscienza e all'uso responsabile della nostra libertà,
nell'impegno alla nostra personale santificazione e nella diffusione dello spirito e della vocazione cristiana,
nello sforzo di riavvicinare i nostri Fratelli cristiani separati,
nel confronto del cristianesimo col mondo moderno per riconoscerne i valori positivi ed i bisogni a cui noi possiamo prestare servizio, e, per tutto riassumere,
nell'accresciuto amore per la santa Chiesa, Corpo mistico di Cristo e sua storica e vitale continuazione, per la quale Egli profuse il suo Sangue redentore.
Potremmo distinguere in vari campi e varie forme questa applicazione del Concilio, cominciando a fare nostre con filiale fiducia le riforme esteriori, giuridiche, che da quello sono autenticamente derivate: la riforma liturgica per prima, senza critiche esitazioni e senza arbitrarie alterazioni.
Così le riforme strutturali della comunità ecclesiale.
Sarebbe già grande risultato del Concilio se noi tutti dessimo pronta ed esatta adesione a queste innovazioni esteriori, ma tanto strettamente collegate col rinnovamento nostro e della Chiesa.
Applicazione canonica.
Altra applicazione è quella spirituale.
Il volume delle Costituzioni e dei Decreti del Concilio può servire come libro di lettura spirituale, di meditazione.
Vi sono pagine bellissime, di densità sapienziale, di esperienza storica ed umana, che meritano questa riflessione suscettibile di convertirsi in cibo per l'anima.
La parola di Dio vi è così diffusa e così aderente ai bisogni umani nell'età nostra da invitarci tutti alla sua scuola.
Non dovrebbe andare perduta una tale lezione, sì bene educare i cristiani d'oggi alla vocazione del silenzio che ascolta, del cuore che concede alla Verità del Signore di diventare spirito e vita della nostra esistenza.
Anche la forma semplice, piana, autorevole, con cui procede l'insegnamento conciliare, è di per se stessa una formazione al temperamento evangelico, allo stile pastorale, all'imitazione del Signore, che ha proposto a modello: « Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore » ( Mt 11,29 ).
Applicazione spirituale.
E avremo un'altra applicazione, sempre in linea morale, quella teologica.
L'azione segue l'essere; e l'essere ci è noto dallo studio della verità.
La verità teologica presiede all'ordine morale.
La concezione della vita, quale ci è presentata dal disegno della salvezza, delineato dalla teologia del Concilio, contiene la legge superiore che noi dobbiamo seguire.
Dal concetto di ciò che siamo come cristiani nasce l'imperativo di ciò che dobbiamo essere per corrispondere alla nostra definizione.
Dall'essere deriva il dover essere, il fare; quel « fare la volontà del Padre celeste », di cui abbiamo citato il comando di Gesù, obbligante sopra la stessa espressione religiosa, quando questa fosse vacua di contenuto operativo conforme alla volontà divina.
Così che dovremo cercare le basi della vita morale, quali il Concilio, riflesso del Vangelo, ci espone, se vogliamo darvi la applicazione fedele e felice del rinnovamento, dell'aggiornamento.
Questo richiamo ai principi teologici subordina ad essi i precetti della vita morale, e li sottopone ad esame, per diversi titoli: quello della priorità: « bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini » ( At 5,29 ); donde il valore del martirio; ovvero quello della abrogazione, com'è avvenuto delle prescrizioni puramente legali della legge mosaica, come risulta dall'insegnamento della Chiesa primitiva e di S. Paolo specialmente ( Cfr. At 15; Gal 2,16 ); oppure della riforma possibile della legge civile, o canonica, quando essa non sia espressione della legge naturale, ch'è poi legge divina iscritta nell'essere umano ( Cfr. Mt 5,17-20; Rm 2,14 ), sempre rimanendo l'obbligo dell'obbedienza agli ordinamenti vigenti della società civile ( Rm 13,7 ) e della società ecclesiastica ( Eb 13,17; Lc 16,10 ).
Ma non ha detto il Signore: « La verità vi libereri »? ( Gv 8,32; Gal 5,1 ) Sì.
Ma questa verità, liberatrice dagli errori e dagli arbitri dell'insipienza e della prepotenza umana, vincola poi in coscienza, e in maniera più forte, più logica e più responsabile la volontà che la conosce, e obbliga l'uomo alla legge dello Spirito, cioè della grazia e della carità, da cui deriva l'impegno superiore all'unione con Cristo, alla sua imitazione, all'amor di Dio e del prossimo ( Mt 22,39; Rm 13,9; Gal 5,14 ), all'abnegazione di sé, al servizio del prossimo, fino al sacrificio, fino alla santità.
La riflessione su questo disegno dell'autentica vita morale del cristiano ci è assai raccomandata dal Concilio ( Cfr. Lumen gentium, 40; Optatam totius, 16; ecc. ); e sarà uno dei frutti migliori del Concilio, se la vorremo fare nostra.
Non sarà breve, ma sarà salutare.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.