28 Ottobre 1970
Noi vi proponiamo una riflessione, di cui ciascuno può trovare dentro di sé, nella propria coscienza e nella propria esperienza un motivo continuo.
E riguarda questa riflessione il grande fenomeno, che possiamo dire universale, dei mutamenti, ai quali noi assistiamo e dei quali noi stessi siamo partecipi, in ordine di cose.
Tutto si cambia, tutto si evolve sotto i nostri occhi, nel campo sociale, culturale, pratico, economico; in ogni campo possiamo dire.
La vita ordinaria è presa da questi cambiamenti, che riscontriamo negli strumenti consueti della casa e del lavoro, negli usi della famiglia e della scuola, nei rapporti col mondo per le notizie che oggi sono di tutti e da tutte le parti, nei viaggi, nei costumi, nei modi di pensare, negli affari e nella cultura, perfino nella vita religiosa; tutto si muove, tutto si cambia, tutto si evolve, tutto corre verso un avvenire, nel quale già sognamo di vivere.
Ce lo ha ricordato anche il Concilio ( Cfr. Gaudium et spes, 5ss ).
Questo è un fatto d'ordine generale, il quale desta in noi una quantità di pensieri, ciascuno dei quali può diventare una mentalità, filosofica o pratica, di grande interesse, e fondata su dati di fatto indiscutibili, e perciò ricca di una sua rispettabile saggezza.
Per esempio: non è forse vero che, se tutto si muta, tutto cade, tutto passa, tutto muore?
Il nostro tempo ci dà una magnifica e insieme desolante visione della precarietà delle cose e degli uomini; e perciò, dopo tanto orgoglio legittimo per le conquiste del progresso, non ci offre un'angosciosa lezione della vanità della vita?
Conoscete quel libro della Bibbia, che s'intitola « Ecclesiaste », cioè l'oratore?
È uno dei libri sapienziali, attribuito per vezzo letterario a Salomone, ma di fatto a lui posteriore.
Questo libro, senza arrivare ad un pessimismo assoluto, guarda le cose del mondo con occhio sinceramente spietato, riscontrando in tutte una deludente caducità, cominciando con le celebri parole: « vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale vantaggio trae l'uomo da tutta la sua fatica, con cui si travaglia sotto il sole? » ( Qo 1,2-3 ).
E avete mai considerato quanto la riflessione sul tempo e sulla storia, sia penetrata nel pensiero moderno, presentando una varietà di sistemi filosofici e scientifici, che interessano e tormentano la nostra cultura?
così, ad esempio, l'evoluzione, lo storicismo, il relativismo, e così via ( Cfr. J. Mouraux, Le mystère du temps ).
L'importanza data praticamente a questo valore primario e sfuggente, ch'è il tempo, mette in grande rilievo per l'uomo d'oggi l'attualità, la moda, la novità, il culto della velocità …
Si vive nel tempo; e il tempo genera e divora ogni suo figlio.
Il tempo è denaro, si dice.
Il tempo condiziona ogni cosa.
È il padrone di tutto.
Così pare, almeno.
Donde una conclusione eccessiva, riportata nel campo umano e religioso: dunque anche l'uomo cambia?
dunque le verità religiose, i dogmi, cambiano?
dunque niente esiste di permanente?
e chi ha la pretesa della stabilità vive nell'illusione?
la tradizione è vecchiaia?
e il così detto progressismo, gioventù?
Perciò una legge, che ci venisse trasmessa dal passato, foss'anche razionale e « naturale », si potrebbe abrogare e dichiarare decaduta?
e una fede, che ci presentasse dogmi, formulati nel tempo e nel linguaggio di antiche culture, dogmi a cui aderire come a verità indiscutibili, sarebbe intollerabile ai giorni nostri?
e strutture ecclesiastiche, che contano a secoli la loro età, potrebbero essere surrogate da altre di nuova e geniale invenzione?
Vedete quante questioni.
E vedete anche certamente come esse si ripercuotono nelle discussioni postconciliari, valendosi molti d'una parola, il famoso « aggiornamento », non come d'un criterio di rinnovamento coerente e costruttivo, ma come d'un piccone distruttivo, armato abusivamente della forza della libertà « con la quale Cristo ci ha liberati » ( Gal 5,1 ).
Non pretendiamo adesso rispondere a queste aggressive interrogazioni.
Noi osiamo porle dinanzi alla vostra riflessione semplicemente per stimolarla a cercare qualche adeguata risposta, non foss'altro per evitare le conseguenze catastrofiche che deriverebbero dall'ammettere che nessuna norma e nessuna dottrina ha titolo per rimanere nel tempo, e che ogni mutazione, per radicale che sia, può benissimo essere adottata per norma di progresso, di contestazione, o di rivoluzione.
Questioni estremamente complesse, ma non insolubili.
Noi tutti avvertiamo, noi credenti in modo particolare, che qualche cosa rimane nella successione del tempo, e che deve rimanere, se non vogliamo che la civiltà si trasformi in caos, e che il cristianesimo perda ogni ragione d'essere nella vita moderna.
Bastino ora due osservazioni.
Prima. Donde trae, ad esempio, il progresso umano e sociale la forza di attrarre a sé la convinzione degli uomini, del suoi promotori e fautori specialmente, se non da un appello ad un'esigenza di giustizia, di perfezione umana ideale, innata e superiore alla stessa legalità, esigenza che noi scopriamo iscritta nell'essere stesso dell'uomo, come un « diritto naturale », che bisogna tradurre in un'espressione giuridica, cogente per l'intera comunità?
Seconda. Possiamo noi prescindere dal Cristo del passato, dal Cristo storico, dal Cristo maestro, se vogliamo professare un cristianesimo autentico?
Il cristianesimo è ancorato al Vangelo, dove si legge, tra le altre parole di Cristo: « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno! » ( Mt 24,35 ).
E ancora, quasi tracciando sui secoli un arco, che si chiama tradizione, risuona la voce imperativa e profetica di Gesù: « Fate questo in memoria di me » …
Voi rammenterete così, aggiunge S. Paolo, la morte del Signore fino a che Egli ritorni » ( 1 Cor 11,25-26 ).
E che cosa è questa istituzione, che ricorda Cristo storico per attenderlo alla fine dei secoli avvenire, se non la Chiesa cattolica, pellegrina nel tempo, ma del tempo vittoriosa?
Cose grandi da pensare, per ritrovare stabilità e progresso per i nostri giorni.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.