20 Gennaio 1971
Oggi dobbiamo ricordarci che in questi giorni stiamo celebrando la « Settimana dell'unità », cioè quel momento convenzionale nel quale siamo tutti esortati a meditare il mistero profondo d'una proprietà essenziale e d'una nota esterna della Chiesa di Cristo, cioè dell'umanità vivente della fede e della grazia di Cristo, quella proprietà e quella nota caratteristica della Chiesa cattolica d'essere intimamente fusa in un solo corpo ( Cfr. 1 Cor 10,17 ), di formare una cosa sola, d'essere animati da un solo spirito ( 2 Cor 13,13 ), d'essere tutti-uno ( Cfr. Gv 17,21-22 ), oggi, nel tempo, mediante l'unione visibile e sociale nella Chiesa una e cattolica, cioè unica ed universale, domani, nell'eternità, nella mistica compagine del Cristo glorioso, sempre coscienti della nostra singola personalità, ma partecipi della totalità dell'unico Uomo-Dio, nostro Salvatore, il Christus-totus di S. Agostino, capo e corpo insieme ( In Ep. Io. 1, PL 3, 1979 ).
È una visione sublime, che comprende tutto il panorama dell'umanità e della sua storia, che tocca essenzialmente il destino di ciascuno di noi, e di noi tutti insieme, e che ci obbliga a definire il rapporto vitale fra Cristo e la Chiesa, un rapporto che non può essere né incerto, né equivoco, né molteplice, ma unico, quale Cristo lo ha iniziato e voluto, e che comporta una esigenza, resa drammatica da tremendi avvenimenti storici, un'esigenza insopprimibile di unione fra quanti compongono la sequela di Cristo, cioè la Chiesa.
Ci accorgiamo, noi Cristiani, noi credenti in Cristo, noi battezzati, noi componenti comunità insignite del nome cristiano, noi egualmente minacciati dalla irreligiosità moderna, noi in attesa d'un medesimo destino escatologico, ci accorgiamo di trovarci in una condizione strana, potremmo dire assurda: siamo ancora separati, siamo disuniti, siamo spesso tra noi diffidenti e rivali, intenti fino a ieri a fiere polemiche fra di noi, oggi desiderosi forse d'intenderci, di perdonarci scambievolmente, di comprenderci, di operare insieme, ma ancora distanti, ancora privi di alcuni principi essenziali alla perfetta unione, come l'accordo completo nella medesima professione di fede, e nella medesima coesione di carità; cioè siamo in comunione parziale, già profonda, e, se pensiamo alle venerabili Chiese ortodosse orientali, quasi piena, ma non ancora in comunione perfetta.
È questo uno dei problemi più gravi della cristianità, e possiamo dire dell'umanità; e noi fortunati, noi responsabili, che finalmente oggi ce ne rendiamo conto.
Ed è problema assai difficile; guai a quelli che credono potervi dare soluzioni facili e rapide, trascurando i dati che lo costituiscono, cioè la verità, alla cui adesione siamo obbligati, e la unità ecclesiastica, a cui Cristo ci vuole partecipanti.
Che cosa fare? Il discorso sarebbe molto lungo; ed è già in corso mediante appunto questo annuale richiamo alla considerazione del problema stesso, e mediante l'attività che in seno alle comunità cristiane si sta facendo per risolverlo.
Da parte Nostra dobbiamo esprimere la Nostra compiacenza e la Nostra fiducia per il Nostro valoroso Segretariato per l'unione dei cristiani; il Direttorio, ad esempio, che esso ha pubblicato in ordine all'ecumenismo, meriterebbe d'essere conosciuto da tutti, e da tutti i cattolici fedelmente osservato.
Limitiamoci ora ad una parola ai cattolici.
Essi si trovano in una strana posizione: essi devono, innanzi tutto, conservarsi fedeli e sicuri; non devono dubitare della loro Chiesa, la Chiesa cattolica, anche se essa presenta nella sua storia e anche nella sua attualità non pochi aspetti censurabili; ma il suo credo, il suo rapporto con Cristo, il suo culto, il suo tesoro sacramentale e morale, la sua struttura istituzionale, la sua definizione dottrinale e pratica, in una parola, non devono essere messi in causa.
Non ne abbiamo il diritto.
Sarebbe venir meno ad una nostra irrinunciabile responsabilità verso Cristo, verso gli stessi Fratelli separati, se per trovare un terreno d'intesa noi mettessimo in dubbio la nostra autentica professione cattolica, o rinunciassimo alle sue esigenze impegnative.
L'irenismo, l'intesa puramente pragmatica e superficiale, le semplificazioni dottrinali e disciplinari, l'adesione ai criteri da cui furono causate le separazioni che ora lamentiamo non produrrebbero che illusioni e confusioni; resterebbe nelle nostre mani una parvenza del nostro cattolicesimo, non la sua vita, non il Cristo vivo, che porta con sé.
Questa chiarezza, questa fermezza interrompono forse il dialogo ancora prima che cominci?
No, per nulla; anzi lo rendono doveroso e possibile.
Doveroso, perché solo il possesso d'una fede, che crediamo vera e indispensabile, ci rende idonei al dialogo, e costituisce la condizione ad un fruttuoso dialogo; possibile, perché questo zelo per la fede è sorgente di mille risorse per il dialogo, che ci interessa.
Accenniamo appena.
Primo, noi possiamo talvolta imparare dagli altri a capire e a vivere meglio certi aspetti della nostra fede, e così possiamo modificare una nostra antica mentalità chiusa e diffidente verso i Fratelli separati; e dobbiamo fare uno sforzo amoroso di comprensione verso di loro, sforzo che non sempre abbiamo fatto debitamente.
Dobbiamo riconoscere quanto essi hanno di bene, e in non poche cose dobbiamo imparare da loro come perfezionare la nostra cultura religiosa ed umana, la nostra educazione alla giusta tolleranza, alla vera libertà, alla pronta generosità.
E dobbiamo cercare di dissipare in loro i timori istintivi, che molti di essi nutrono verso la Chiesa cattolica; quello circa il nostro credo, ad esempio, mostrando loro, forse più con l'esempio e con la naturalezza della nostra psicologia di fedeli cattolici, come l'adesione oggettiva alle verità, che la Chiesa propone alla nostra fede, non sia ossequio supino a formulazioni arbitrarie e alterate della Parola di Dio, ma sia accettazione piuttosto di proposizioni autentiche e univoche di questa stessa Parola e della sua integrazione originaria, non che della sua irradiazione logica e ispirata dalla tradizione storicamente vigilata e vivente, con l'effetto soggettivo di quella pace, che la nostra fede ogni giorno ci diffonde nello spirito, e ci fa ancor più desiderosi che paghi nella ricerca di Dio e di Cristo.
È quello, per citare un altro timore, caratteristico dei nostri Fratelli separati, dell'autorità vigente nella Chiesa cattolica, quasi che questa autorità, la quale si esercita nella grande e fraterna collaborazione con tutti i Vescovi stabiliti da Dio per pascere il suo popolo ( Cfr. At 20,28 ), non avesse coscienza, oggi più che mai, d'essere servizio e non dominio, e non solo consentisse, ma non proteggesse le varie e legittime espressioni spirituali sia delle singole anime, che delle diverse comunità ecclesiali; e quasi che un'autorità nella Chiesa non fosse d'istituzione divina e non fosse necessaria per mantenere in essa l'unità ed alimentare la carità nell'obbedienza ch'è amore.
Dicevamo difficile il cammino dell'ecumenismo, cioè verso la ricomposizione dell'unità fra i cristiani; ma non è forse anche molto bello?
Non promuove forse nel cattolicesimo stesso un processo di premurosa purificazione, una verifica di identità, uno studio di approfondimento, un esercizio di umiltà, un amore più attivo e più largo?
Non ci apre forse davanti speranze sorrette dalle promesse dello Spirito, più liete d'ogni sogno?
Due cose, per concludere:
un rispettoso e cordiale saluto ai nostri Fratelli separati; abbiamo sulle labbra e nel cuore tanti nomi rappresentativi delle loro diverse e carissime schiere;
e una preghiera al Signore, più viva e quasi impaziente; essa vorrebbe unirsi umilmente a quella stessa di Cristo nell'ultima sera della vita temporale: fa', o Signore, che siamo tutti uno in Te, che meritiamo di esserlo; venga il tuo regno!
E con l'animo pieno di questi sentimenti, figli e fratelli, vicini e lontani, tutti vi benediciamo.