27 Gennaio 1971
Il cristiano, colui che vuole essere seguace di Cristo, colui che sente il bisogno di stringersi a Lui mediante i vincoli della sua autenticità e della propria certezza, avrà sempre, come uomo, come uomo specialmente del nostro tempo tanto nutrito dell'immagine visiva, il bisogno istintivo di vederlo, Lui, Gesù il Cristo, com'era nel volto, nell'aspetto, nel portamento, nella persona.
L'abbiamo detto altra volta.
Ma questo desiderio rimane, e ricorre quando sorgono questioni circa l'interpretazione genuina del suo messaggio, e circa il dovere d'uniformare la nostra condotta al suo insegnamento.
Non è, del resto, questa aspirazione sempre presente nei personaggi del Vangelo?
Prendiamo Zaccheo, nel racconto di S. Luca: « voleva vedere Gesù, chi fosse »; e, piccolo di statura come era, in mezzo alla folla non vi riusciva; salì allora sopra un albero di sicomoro; e di là vide, anzi fu visto dal Signore che lo chiamò e gli disse di discendere volendo Egli essere in quel giorno ospite suo ( Lc 19,1ss ).
Ma la fortuna dei contemporanei di Gesù, che lo videro con i loro occhi ( Cfr. 1 Gv 1,1 ) non è la nostra.
Come non è di tutta l'umanità venuta dopo di Lui.
Già S. Ireneo, Vescovo di Lione ( alla fine del II secolo ) avverte che sono apocrife le immagini corporee che fin d'allora si tentava divulgare di Cristo ( Adv. Haereses, 1, 25; PG 7, 685 ).
S. Agostino è categorico: « Noi del tutto ignoriamo » quale fosse il volto corporeo di Gesù, come pure quello della Madonna ( De Trinit. 8,5 ).
Dobbiamo formarci la figura partendo da elementi comuni alla natura umana e dai riflessi immaginativi che le notizie da noi possedute su di Lui, leggendo il Vangelo o credendo alla sua parola, provocano nel nostro spirito.
Arte e pietà si aiutano in questa non facile elaborazione.
Essa non è vana fantasia; è uno sforzo meritevole, e in certo senso indispensabile, per chiunque voglia avere di Cristo un concetto concreto e fedele, che senza mitico artificio si presenta ideale.
Proviamo noi stessi a chiederci: come ci raffiguriamo Cristo Gesù?
Cioè: qual è l'aspetto caratteristico di Lui, che risulta dal Vangelo?
Come, a prima vista, si presenta Gesù?
Una volta ancora le sue stesse parole ci aiutano: « Io sono mite ed umile di cuore » ( Mt 11,29 ).
Gesù vuol essere guardato così, veduto così.
Se noi lo vedessimo, ci apparirebbe così, anche se la visione, che di Lui ci dà l'Apocalisse, riempie di forma e di luce la sua figura celeste ( Ap 1,12ss ).
Questo aspetto dolce, buono e soprattutto umile si impone come essenziale.
Meditando si avverte che esso manifesta ed insieme nasconde un mistero fondamentale relativo a Cristo, quello dell'Incarnazione, quello del Dio umile, mistero che governa tutta la vita e tutta la missione di Cristo: « Il Christus humilis è il centro della cristologi a» di S. Agostino ( Cfr. Poktaliè, D. Th. C. 1, II, 2372 ); e che impronta tutto l'insegnamento evangelico a nostro riguardo: « Che cosa d'altro insegnò, se non questa umiltà? … in questa umiltà noi ci possiamo avvicinare a Dio », dice ancora il dottore d'Ippona ( En. in Ps. 32,18 ).
Del resto, S. Paolo non ha un termine, che sa di assoluto, quando ci dice che Cristo si è « annientato »: semetipsum exinanivit? ( Fil 2,7 ) Gesù è l'uomo buono per eccellenza; ed è per ciò ch'Egli è disceso al livello infimo anche della scala umana; si è fatto bambino, si è fatto povero, si è fatto paziente, si è fatto vittima, affinché nessuno dei suoi fratelli in umanità potesse sentirlo superiore e lontano; si è messo ai piedi di tutti.
Egli è per tutti.
Egli è di tutti; anzi di ciascuno di noi, al singolare; lo dice San Paolo: « Egli ha amato me e si è sacrificato per me » ( Gal 2,20 ).
Non è da stupire se l'iconografia di Cristo abbia sempre cercato d'interpretare questa mansuetudine, questa estrema bontà.
L'intelligenza mistica di Lui è arrivata a contemplarlo nel cuore, e a fare, per noi moderni, sentimentali e psicologi, sempre polarizzati verso la metafisica dell'amore, del culto al Sacro Cuore, il focolare ardente e simbolico della devozione e dell'attività cristiana.
Qui sorge, oggi specialmente, un'obiezione: questa immagine di Cristo, che realizza in se stesso la propria parola, cioè le beatitudini della povertà, della mitezza, della non resistenza ( Cfr. Mt 5,38ss ), è il Cristo vero?
È il Cristo per noi?
Dov'è il Cristo Pantocratore, il Cristo forte, il Re dei re, il Signore dei dominanti? (Cfr. Ap 19,11ss )
Il Cristo riformatore? ( « Ego autem dico vobis … », Mt 5 ) il Cristo polemico, con le sue contestazioni ( P. es. Mt 5,20 ) e con i suoi anatemi? ( Cfr. Mt 23 )
Il Cristo liberatore, il Cristo della violenza? ( Cfr. Mt 11,12 )
Oggi non si parla del cristianesimo della violenza e della teologia della rivoluzione?
Dopo tanto parlare di pace la tentazione della violenza, come suprema affermazione di libertà e di maturità, come unico mezzo di riforma e di redenzione, è così forte che si parla di teologia della violenza e della rivoluzione; e spesso alle eccitanti teorie i fatti, o almeno le tendenze della riscossa al « disordine costituito », corrispondono.
Si cerca allora di avere Cristo per sé, e di giustificare certi atteggiamenti disordinati, demagogici e ribelli, con gli atteggiamenti e con le parole di Lui.
Il discorso è di molti.
Noi stessi vi abbiamo altre volte accennato.
Un solo consiglio per ora.
Dinanzi a questa supposta contraddizione fra la figura del Cristo mite e soave, del Cristo buon Pastore, del Cristo crocifisso per amore e la figura del Cristo virile e severo, sdegnato e pugnace, occorrerà riflettere bene, e vedere come stanno le cose nei documenti originari, i Vangeli, il Nuovo Testamento, la Tradizione autentica e coerente, e nella loro genuina interpretazione.
Ci sembra doveroso reclamare a tale riguardo onesta attenzione.
Specialmente sulla complessità della figura di Cristo: Egli è certamente al tempo stesso mite e forte, com'è al tempo stesso uomo e Dio; e poi sulla vera reazione, non certo politica, non certo anarchica, che l'energia riformatrice di Cristo immette nel mondo decaduto e corrotto; cioè sulle vere speranze ch'Egli propone all'umanità.
Vedremo allora che la figura di Cristo presenta, sì, senza alterare l'incanto della sua misericordiosa dolcezza, anche un aspetto grave e forte, formidabile, se volete, contro la viltà, le ipocrisie, le ingiustizie, le crudeltà, ma non mai disgiunto da una sovrana irradiazione di amore.
Solo l'amore lo definisce Salvatore.
E solo per le vie dell'amore lo potremo avvicinare, imitare, inserire nelle nostre anime e nella sempre drammatica vicenda della storia umana.
Sì, potremo vedere Lui, che ha abitato con noi, e ha condiviso la nostra sorte terrena, per infondere in questo il suo vangelo di salvezza, e per predisporci a questa piena salvezza; lo vedremo « pieno di grazia e di verità » ( Gv 1,14 ).
Fede ed amore sono gli occhi che ora a noi servono per poterlo in qualche modo vedere; cioè antivedere.