20 Marzo 1971
Siamo assai lieti di dare il Nostro benvenuto ai millecinquecento Maestri del Lavoro, e ai loro familiari, convenuti a Roma per partecipare all'annuale Convegno nazionale, promosso dalla omonima Federazione Italiana.
Voi rappresentate davanti ai Nostri occhi tutti coloro che, come voi, sono stati insigniti della Stella al Merito del Lavoro per le particolari qualità professionali, umane e morali, di cui sono forniti, ed è perciò cosa assai gradita per Noi potervi attestare pubblicamente la Nostra stima e la Nostra benevolenza, per un riconoscimento così alto, che a buon diritto vi onora, coronando la vostra esistenza di buoni cittadini e di degni lavoratori.
Ma la vostra presenza è altresì simbolica di un ben più vasto numero di persone: effettivamente, voi ci portate davanti l'immagine di tutto il mondo del lavoro, con la sua somma di attività, di fatiche, di aspirazioni, di benemerenze, di delusioni: mondo ampio e poliedrico, organizzato e volitivo, talora inquieto e tumultuoso, che non nasconde talora le sue diffidenze verso la Chiesa, ma che pure è fatto oggetto, da parte di essa, delle premure più vigili e attente.
In questo giorno, che segue la festa liturgica di San Giuseppe, l'umile operaio di Nazareth, ci fa piacere, cogliendo questa occasione di riattestare la materna e continua sollecitudine della Chiesa per i lavoratori, per la difesa della loro dignità umana, e per la loro elevazione spirituale e morale; ne sono prova i più famosi documenti pontifici, ne fa fede l'impegno che essa ha attraverso apposite istituzioni internazionali e nazionali di seguirne e di favorirne lo sviluppo con ogni mezzo a sua disposizione.
Non è Nostra intenzione fare l'apologia di quanto ha compiuto e compie la Chiesa in questo settore; l'abbiamo fatto altre volte, sulla scia dei nostri Predecessori; del resto non ce n'è bisogno, perché tale posizione è chiara come la luce del sole, ed è ben sintetizzata da una frase del Concilio Vaticano II, che nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ha solennemente affermato che « il lavoro umano … è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo natura di mezzo.
Tale lavoro, infatti, sia svolto indipendentemente che subordinatamente ad altri, procede immediatamente dalla persona, la quale imprime sulla natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà.
Col suo lavoro, l'uomo abitualmente sostenta la vita propria e dei suoi familiari, si associa agli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità, e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione » ( Gaudium et Spes, 67 ).
Grandi parole! Sintesi profonda, che getta un fascio di grande luce sulla dignità del lavoro umano!
Ed è appunto su questo valore pedagogico del lavoro sottolineato incessantemente dall'insegnamento e dalla pratica della Chiesa, che Noi vorremmo oggi insistere, per lasciare a voi, carissimi Maestri del Lavoro, un ricordo di questo Nostro incontro, a vostra consolazione, e a vostro incoraggiamento, per riprendere con rinnovato fervore, il corso monotono della vita di ogni giorno.
Sì, il lavoro è pesante, è faticoso, è arduo; le moderne condizioni della vita industriale lo portano talora ad un livellamento di atti e di gesti, che sembra mortificare la persona umana; eppure esso, anche quando è svolto nella sfera più libera e creativa dell'iniziativa artigianale o artistica, reca sempre con sé un elemento di sofferenza e di pena.
La fede cattolica ci insegna che queste sono le vestigia del peccato originale che ha trasformato il lavoro da un impulso gioioso e fecondo dell'uomo, creato da Dio per sottomettere la terra ( Cfr. Gen 1,28 ), in un peso da portarsi con volontà riottosa e renitente, in una lotta continua contro la natura ostile, scardinata anch'essa dal suo equilibrio in conseguenza della ribellione dell'uomo a Dio: « Col sudore del tuo volto mangerai il pane » ( Gen 3,19 ).
Nella nuova economia della Redenzione, il lavoro trova però tutto il suo valore di ascesi e di perfezione spirituale: unito alla sofferenza di Cristo Gesù, il Quale volle essere operaio nell'umiltà della casa di Nazareth, il lavoratore - sia esso della mano e del braccio, come della penna, della mente, dell'insegnamento, ecc. - dà alla propria opera un valore altissimo: non è solo più la prosecuzione dell'attività creatrice di Dio, ma diventa mezzo di elevazione e di purificazione, di raffinamento interiore nella pace e nella pazienza, di elevazione del mondo, in comunione con tutti i fratelli che, attraverso l'apporto di ognuno, si porgono l'un l'altro la mano in un servizio indispensabile alla comunità umana.
Voi siete « Maestri » del lavoro: dovete dunque viverne, e insegnare agli altri la difficile arte di adoperarne tutte le ricchezze, insite per la propria maturazione umana e cristiana.
Il lavoro sia per voi e per gli altri non impedimento, non ostacolo, non remora, bensì scalino per ascendere gradatamente e sicuramente nella comprensione del piano divino di amore verso tutti gli uomini, per portare il proprio contributo alla costruzione non solo della società terrena, ma di quella cristiana, cementata dalla carità e dalla fratellanza, sinceramente vissute.
È questo l'augurio che vi facciamo, assicurando a voi, e a tutti i vostri colleghi di lavoro che un posto di predilezione è riservato per voi nel Nostro cuore.