21 Aprile 1971
Chi ha compreso qualche cosa della vita cristiana non può prescindere da una sua costante aspirazione di rinnovamento.
Quelli che attribuiscono alla vita cristiana un carattere di stabilità, di fedeltà, di staticità vedono giusto, ma non vedono tutto.
Certamente la vita cristiana è ancorata a fatti e ad impegni, che non ammettono mutamenti, come la rigenerazione battesimale ( Cfr. 1 Cor 6,11 ), la fede ( 1 Pt 5,9; Ef. 6,10-11 ), l'appartenenza alla Chiesa ( Cfr. 1 Tm 3,15 ), l'animazione della carità ( Cfr. Rm 8,35 ); è di natura sua un'acquisizione permanente e da non compromettere mai, ma è, come diciamo, una vita, e perciò un principio, un seme, che deve svilupparsi, che esige accrescimento, perfezionamento, e, data la nostra naturale caducità e date certe inguaribili conseguenze del peccato originale, esige riparazione, rifacimento, rinnovamento.
Se poi pensiamo che la vita cristiana non è un concetto immobile ed astratto, ma è una realtà vissuta, immersa nella vicenda storica in continua mutazione, si comprende come essa debba tenere conto delle condizioni sociali, in cui essa si svolge, e deve perciò continuamente sorvegliare il rapporto che la unisce al momento ambientale, deve cioè vigilare, e dove occorre « aggiornarsi ».
Come sapete, questo criterio dell'aggiornamento è stato uno degli scopi informatori del Concilio, una delle sue idee dinamiche, che funziona tuttora e che si applica principalmente alle leggi e alle strutture della Chiesa, nell'intento e nello sforzo di rianimare nel suo interno la genuina coscienza del suo essere e della sua missione, e di infondere nelle sue tradizioni sia la resistenza che per certi inalienabili valori a loro si deve, sia la riforma che faccia rifiorire la continuità delle buone tradizioni in nuova vitalità.
Ciascuno vede la necessità, la connaturalità d'un simile processo riformatore nella Chiesa, la quale, come società composta di uomini difettosi e peccatori, dev'essere in continua fase di autocritica e di ricorrente conversione, e, come portatrice di non mai esausti tesori, deve essere sempre tesa in un lavoro di feconda profusione delle ricchezze delle sue verità e dei suoi carismi.
Ciascuno anche vedrà il pericolo di questo atteggiamento riformatore della Chiesa, quando esso non sia vigilato e sia suggerito, non dallo Spirito Santo, ma dal relativismo alla storia che passa, alla moda del secolo, e alla mentalità effimera del mondo, a valori cioè non suffragati da ragioni compatibili con la verità divina e con l'autentica dignità umana.
E ciascuno sa come una certa insofferenza riformatrice si rivolga oggi alle così dette strutture della Chiesa, quasi che sia a tutti consentito ideare a proprio talento un nuovo modello storico, sociale, spirituale della Chiesa stessa.
Bisognerà vigilare ( Cfr. Ef 4,14 ).
Ma non intendiamo ora parlarvi di questo ipotetico rinnovamento strutturale della comunità ecclesiale.
Vorremmo invece richiamare la vostra riflessione sull'aspetto positivo e dinamico della morale cristiana, cioè sulla sua congenita esigenza di interiore rinnovamento, sul dovere e sul bisogno di modellare la nostra coscienza sul fatto che siamo cristiani.
Continuiamo così un discorso già altre volte avviato, e che ci sembra molto importante.
E perciò dobbiamo ancora riferirci al dualismo, tanto espressivo, della catechesi apostolica dell'uomo vecchio e dell'uomo nuovo: l'uomo nuovo è il cristiano, come sapete, che mediante il battesimo è stato sepolto con Cristo in una mistica morte, liberatrice dal peccato, ed è emerso con Cristo risorto in una nuova vita soprannaturale ( Cfr. Rm 6,2-11 ).
E quante volte ricorre allora la parola, anzi la dottrina, e con essa la verità e la realtà, dell'Apostolo circa la « novità » della vita cristiana!
Tre volte, ad esempio, egli parla di questa novità nella lettera ai Romani: « novità di vita » ( Rm 6,4 ) con significato pregnante della rigenerazione soprannaturale e della riforma morale; « novità di spirito » ( Rm 7,6 ), per indicare l'animazione nuova della grazia e la moralità originale del cristiano; e « novità di mentalità » ( Rm 12,2 ), con riferimento alla maniera di sentire e di pensare che deve distinguere il fedele di Cristo, tutto rivolto allo studio amoroso della volontà di Dio.
Analoghe citazioni desunte dalle epistole di S. Paolo potrebbero moltiplicarsi sulla traccia del verbo « rinnovarsi » ( Cfr. 2 Cor 4,16; Col 3,10; Ef 4,23 ).
Il che ci porta a riflettere sul particolare ripiegamento psicologico e ascetico che il cristiano è invitato a compiere regolarmente su se stesso, per verificare se la sua mentalità sia imbevuta da questo principio riformatore: io devo conformare il mio modo di pensare al Vangelo, e quindi alla dottrina che la Chiesa maestra ne trae; e devo essere convinto che questa apertura a Cristo non mi procura l'imposizione soltanto di precetti molto degni, ma gravi ed esigenti, ma mi infonde piuttosto la forza arcana che emana da Lui: luce per vedere, energia per agire, fiducia per osare, gaudio per gustare la vita resa conforme e unita a quella di Lui.
La celebre ed amara esclamazione del poeta pagano: « video meliora proboque; deteriora sequor », la quale confessa l'impotenza radicale dell'uomo, senza la grazia, a osservare tutta la legge morale ( Ovidio, Met. VII,19 ), non sarà quella del cristiano, vivente di Cristo.
Riformismo dunque e dinamismo morale in Cristo, interiore e personale: questo è il primo rinnovamento che ciascuno deve cercare, sicuro di percorrere così la traccia del Concilio, ch'è quella perenne ed attuale della vera vita cristiana.
Così il Signore ci aiuti.
Con la Nostra Benedizione Apostolica.