1 Dicembre 1971
In questo periodo dell'Avvento risorge il grande problema dell'incontro dell'uomo con Dio; diciamo meglio del « nostro » incontro con Dio: è il problema religioso.
Sappiamo bene qual è la soluzione di questo problema per noi: è il Natale, è Cristo, è la fede, è la vita cattolica.
Ma questa soluzione, per ciascuno di noi, è davvero acquisita, definitiva?
È soddisfacente? È vissuta?
Senza ora rispondere a queste domande, che possono sollevare in noi inquietudini e dubbi, dobbiamo notare che la Chiesa, grande maestra delle anime, ripropone ogni anno la medesima questione e nei medesimi termini oggettivi; così vuole il suo calendario, il ciclo annuale cioè della sua Liturgia, la quale ripete puntualmente la celebrazione delle stesse feste, degli stessi temi dottrinali e spirituali.
Ripete: non è ben detto; occorre dire rinnova, e precisamente non a circolo che ritorna su se stesso, ma piuttosto a spirale in salita per quei fedeli che accolgono la sua guida pedagogica, sempre eguale nel programma, sempre nuova nella sua esplorazione.
Questa osservazione ci fa avvertire che i termini soggettivi, cioè le nostre attitudini a partecipare alla celebrazione di questi temi religiosi ricorrenti non sono sempre le stesse, possono variare, possono dimostrare un differente interesse secondo lo stato d'animo in cui noi ci troviamo.
Cambia l'età, cambia la nostra capacità di percepire le cose religiose.
« Quando io ero bambino - scrive San Paolo - parlavo come bambino, pensavo come bambino, ragionavo come bambino; ma fatto uomo ho lasciato cadere i modi del bambino » ( 1 Cor 13,11 ).
E non solo cambia l'età per noi, ma cambia il mondo in cui viviamo, e che ci stimola, ci impressiona, ci impegna in forme sempre nuove e misure sempre crescenti.
Noi siamo continuamente provocati ad un'attenzione esteriore.
Non abbiamo un minuto di pace.
Lo stimolo più frequente e più esigente è l'ambiente nel quale si svolge la nostra laboriosa e spesso affannosa giornata, obbligandoci ad uno stato psicologico, continuamente estroflesso.
Prevale in modo crescente un duplice richiamo sensibile: ascoltare e vedere.
La nostra va diventando, come ora si dice, la civiltà dei suoni e delle immagini.
Lo schermo della nostra psicologia è continuamente occupato dai sensi.
E questi forniscono al pensiero un materiale sempre nuovo da elaborare; anzi lo aiutano con le loro voci e con i loro schemi.
Così che la nostra vita tende a svolgersi nella sfera sensibile, e a trovare in essa il suo nutrimento e il suo esaurimento.
L'uomo diventa naturalista e positivista quasi senza accorgersi; e si abitua a tale concretezza, immediata e sicura di conoscenza, e non cerca altro.
Ecco il paradigma dell'uomo comune ai nostri giorni.
La sua formazione e la sua cultura sono a questo livello: il mondo dell'esperienza sensibile.
Salire più su?
Sì, ma quasi sempre con la scala collaudata dai sensi, con quella quantitativa specialmente, ch'è la più usata nella sfera scientifica.
Allora sorge e quasi s'impone la tentazione: questo è tutto.
Pensare più su? Cercare la ragione delle cose?
Non solo come sono le cose, ma perché così sono le cose?
Cercare la verità? Il principio, la causa trascendente?
Cercare l'amore? Il fine segreto delle cose?
Avviene a questo punto che l'uomo è tormentato da due tendenze contrarie: una di gravitazione, di timore, di pigrizia soprattutto, la quale lo attrae a rimanere e ad accontentarsi del regno sperimentale e sensibile, in cui egli si è formato la sua dimora abituale e naturale; e lo ferma; l'altra tendenza, pur essa naturale, anzi più profondamente naturale, una tendenza di levitazione, di ricerca superiore, di sforzo trascendente, lo invita a salire.
Qui comincia il pensiero, cioè il capire; capire il movimento ( metafisico ) in cui si trova ogni cosa: nessuna è ferma, nessuna è stabile; cioè nessuna spiega da sé che cosa è e perché è; donde viene e dove va.
Ogni cosa, afferrata nel suo intimo essere è a sé insufficiente, rimanda a qualche principio, a qualche fine, fuori di sé.
Ogni cosa è una « via », è una scala.
Un mistero la circonda.
Un mistero, cioè un regno incognito in se stesso, ma ormai certissimo per chi vi è in qualche modo arrivato: è il mistero di Dio; il mistero religioso.
Questo viaggio faticoso e beato, per compiere il quale basta ordinariamente un istante, e non bastano gli anni per terminarlo, dicevamo, è la religione.
La religione naturale, se raggiunta con lo sforzo del nostro essere, predisposto a questo incontro appena incipiente e nebuloso; la religione soprannaturale, se all'anelito dell'uomo cercante, pellegrino assetato, risponde da quel mistero, non più del tutto incognito e vuoto, una Voce viva, infinitamente viva: « Io sono »!
la voce di Dio che apre il colloquio con l'uomo,
il colloquio della fede, della « supervita »,
il colloquio del regno di Dio.
Il colloquio dell'Avvento, cioè dell'arrivo del Dio vivente fra noi e per noi;
il colloquio del Verbo, che si fa uomo per una sorprendente conversazione, con gli uomini, anzi una comunione ineffabile e vivificante.
Non sono nuove queste cose per voi.
Siete tutti « alunni di Dio » ( « Docibiles Dei »: Gv 6,45 ).
Ma affinché esse siano presenti allo spirito, operanti nella nostra vita, occorre una prima indispensabile condizione, occorre il silenzio.
Bisogna che lo schermo psicologico della nostra recettività sia, per qualche istante almeno, sgombro, libero e tranquillo.
Occorre che ciascuno di noi ritorni un momento in se stesso ( « In se reversus »: Lc 15,17 ).
L'udito interiore si metta in stato di ascolto: dapprima degli echi, tumultuosi al principio, pacati poi, della propria coscienza, della propria personalità individuale, unica e sola, e non mai del tutto esplorata; e poi fatta eco essa stessa d'un'altra voce finalmente captabile, la voce della coscienza religiosa, la voce dello Spirito di Dio, « che insegna ogni verità » ( Cfr. Gv 16,13 ).
Questo è il primo esercizio per la presente stagione liturgica, che è poi la stagione del nostro oggi storico, per vivere da uomini, da cristiani la quotidiana esperienza interiore o esteriore che sia.
Il silenzio che ascolta.
Fate la prova.
Ascoltate bene; che cosa è quel vento profetico da cui viene, come da un deserto sconfinato, un suggestivo mormorante e poi acclamante invito: preparate la via del Signore? ( Is 40,3-5; Gv 1,23 )
Noi moderni dobbiamo rifarci questa cella interiore, difesa dal frastuono esteriore, dove si ascoltano i passi e poi la voce del Dio che viene ( Cfr. Fornari, Vita di Gesù, 1, 1 ).
Con la Nostra Apostolica Benedizione.