22 Dicembre 1971
Ancora, ancora il Natale, volere o no, pone a tutti la questione della ricerca di Dio.
Sappiamo tutti che questa è una questione immensa, include mille problemi, ritorna sempre sotto nuove forme.
Adesso si va diffondendo l'opinione che sia questione sorpassata.
Se si domanda perché, le risposte sono molte, così che ci lasciano il dubbio che non tutte siano valide.
Dio è morto, si osa dire.
Ma come mai? è stato detto; è stato scritto, si risponde.
Detto e scritto da altri; tu che ne pensi?
Si risponde allora: non so bene; ma so che se ne può far senza.
Chi ne può far senza?
Il mondo, il cosmo, l'essere delle cose sarebbe ragione sufficiente della propria esistenza?
È enorme, è assurdo pensarlo senza cadere nel panteismo, estrema assurdità.
Si ammette allora che il problema è insolubile; e si ripiega sull'inutilità di porsi un tale problema; e allora si conclude che la famosa e folle dichiarazione sulla morte di Dio si riferisce non al mondo, che fuori di noi vediamo e tocchiamo realmente esistente e che non sappiamo né come, né perché esista, ma si riferisce alla nostra mente, nella quale il pensiero di Dio si è spento.
Noi non saremmo più capaci, noi moderni, di esercitare la nostra intelligenza su tale irraggiungibile Oggetto; ci basta l'esperienza sensibile, oggi tanto favorita dalla superlativa tecnica delle immagini e dei suoni e dal piacere dei sensi e dei sentimenti; ci basta la conoscenza scientifica delle cose, oggi diventata regina del pensiero, e con le sue applicazioni tecniche, padrona di tutto.
Basta così? La tanto comune risposta oggi è: sì; non vogliamo di più.
Ecco: Noi diciamo che invece non basta così.
E a confortare questa Nostra convinzione ci soccorre la testimonianza di quelli stessi che la impugnano.
Il discorso sarebbe lungo e fors'anche polemico, ma dovrebbe giungere a questa conclusione: l'ateismo stesso, se vuol essere logico, deve giungere alla istanza d'una nuova professione, o almeno d'una nuova ricerca d'un Principio, immanente o trascendente che lo si voglia considerare, ma a Sé stante e da Sé causante, che torneremo a chiamare Dio.
È la necessità intrinseca della razionalità, che esige questo sorpasso della presente stasi mentale; e ciò è tanto vero che Noi siamo sicuri che quanto più l'uomo progredisce nello studio, nell'esperienza, nella conoscenza, nell'uso delle cose, tanto più sarà obbligato a finire in adorazione il suo sforzo conoscitivo, perché dalle conquiste stesse di questo sforzo sorge alla fine imperativa e dolcissima l'esigenza religiosa.
Le cose, quanto più perfettamente sono conosciute, parlano, « annunciano la gloria di Dio » ( Sal 19,2 ), si dichiarano da sé effetti d'una Causa superiore, ci dimostrano da sé d'essere segni d'un Pensiero dominante, ci avvicinano da sé a quell'unico e sommo Essere, che, secondo la celebre sintesi di S. Agostino, è « causa della esistenza, ragione della conoscenza, e ordine dell'azione » ( Cfr. De civ. Dei, VIII, 4 ).
Iddio stesso, Noi diciamo, citando la sua parola biblica, « ha messo l'occhio suo nei nostri cuori per mostrarci la magnificenza delle sue opere, perché noi avessimo a celebrare il suo santo nome » ( Cfr. Sir 17,7 ).
Vittoria di Dio? Trionfo della religione?
State attenti: tutto questo tormentato e sublime quadro dello studio - conoscenza ed amore - riguarda la razionalità naturale, la quale arriva alla certezza dell'esistenza di Dio, ma rimane ancora nebulosa, anzi ignorante circa l'essenza di Dio ( Cfr. S. TH., Summa contra Gent. 1, III ).
Dio è mistero.
La nozione che noi possiamo avere di Lui, usando rettamente il nostro pensiero, è indiretta; lo conosciamo come principio, nel rapporto che ogni cosa deve avere con Lui ( Cfr. Ad Rom. 1, 19, ss. ).
Dio, in Se stesso, non può essere oggetto di scienza puramente naturale ( Cfr. Gb 36,26; De Lusac, Sur les chemins de Dieu, p. 169, e n. 5, p. 327 ).
Questo fatto può spiegare perché tanti pensatori indietreggiano davanti alle conclusioni insufficienti di questa religione costruita con le sole forze della razionalità umana, e ricadono nel dubbio o nello scetticismo, o nella negazione.
La religione diventa perciò talora per gli uomini di studio, e anche per le persone puramente intelligenti, per tanti figli del nostro secolo, un tormento un'inquietudine, un problema insoluto e marginale, piuttosto che una pace dell'anima.
Ma qui è il primo punto di ciò che oggi vi vogliamo dire in prossimità del Natale: esiste nello spirito umano un'aspirazione profonda, una nostalgia mistica, una certa predisposizione a capire qualche cosa di più di Dio, una segreta speranza di raggiungerlo in qualche modo, nell'intuizione che qualsiasi stilla di questo possesso conoscitivo del Dio vivo, lo riempirebbe di gaudio ineffabile ( Cfr. S. TH., ibid., V in fine ).
I mistici ci sono maestri di questa insonnia dell'animo umano.
Ne potremmo citare qualcuno anche fra le persone profane del nostro tempo: ricordiamo, ad esempio, due nomi ebrei: H. L. Bergson ( Les deux sources ), e Simone Weil ( Attente de Dieu ).
E tutti gli uomini puri di cuore sono, in un certo senso mistici, perché come Cristo proclamò, sono candidati a « vedere Dio » ( Mt 5,8 ).
E dovremmo essere tutti puri di cuore per il Natale che viene; tutti retti, semplici e piccoli ( Cfr. Mt 11,25 ) per fruire del dono bramato e insieme insospettato della rivelazione del Dio fatto uomo.
Saper attendere, saper desiderare, saper ricevere.
E qui è il secondo punto che ci preme ricordarvi.
Questo, sì: Dio si è rivelato.
Dio si è manifestato ( Gv 1,18 ).
Dio è venuto a vivere con noi e a stare con noi ( Gv 1,14 ).
Questo è il prodigio.
Questo è il Natale.
Questa è la vita cristiana, inizio e pegno d'una nostra fusione con la vita stessa di Dio ( Cfr. 2 Pt 1,4 ).
Da secoli, lungo tutto l'antico Testamento, Dio aveva cominciato a venire alla ricerca dell'uomo ( Cfr. A. Herschel, Dieu en quite de l'homme ).
Eravamo cercatori miopi e incapaci di dare la scalata al regno di Dio.
Il regno di Dio è venuto con Cristo alla nostra ricerca, ricerca universale della umanità, ricerca personale di ciascuno di noi.
Questo è il Natale.
Non manchiamo all'incontro.
Con la Nostra Apostolica Benedizione.