12 Gennaio 1972
Noi diciamo che l'uomo moderno, alunno e maestro dello studio scientifico, non può essere alla conclusione dello sforzo della sua intelligenza completamente appagato perché il pensiero umano tende non solo a conoscere le cose, ma a scoprirne altresì le ragioni, il perché, le cause essenziali delle cose stesse; e quanto più questo nostro pensiero si inoltra nel campo sconfinato delle ricerche e delle scoperte, tanto più è spinto ad un dato momento a due successive e sempre più inquietanti domande; una speculativa ( filosofica, metafisica ): che cosa vi è nelle profondità di queste cose, mute e passive per un verso - il loro essere -, eloquenti e operanti per un altro verso - i principi e le leggi che le pervadono?
Cioè sente il tormento d'una spiegazione, che dev'essere dentro le cose stesse, come il segreto di un indovinello, e dev'essere fuori e sopra di esse; è il tormento supremo dell'intelligenza, il tormento religioso ( l'intelletto che cerca la fede; mentre poi dirà S. Anselmo: « la fede cerca l'intelletto » ).
L'altra domanda è pratica ( o piuttosto psicologica e morale ): lo studioso si chiede: a me, alla mia vita, al mio cuore, al mio destino personale tutto questo universo che cosa serve?
È un immenso deserto o è una casa per la mia vita?
Che cosa valgono per il mio spirito, per il mio interiore bisogno di verità, di amore, di felicità tutte queste enciclopediche ricchezze scientifiche?
E le loro stesse strabilianti applicazioni tecniche mi rendono più uomo, più buono, più felice?
Se non sono coordinate con il problema della mia esistenza personale, della mia irrinunciabile immortalità, che valgono esse per me?
In questi profondi e inesorabili quesiti trova le sue radici il bisogno religioso, la religiosità naturale, che oggi molti cercano di contenere e di soffocare, come una dispersione dello spirito al di fuori della zona chiara, concreta, positiva del sapere moderno.
Ma l'uomo è l'uomo: se non lo si vuole comprimere e privare delle sue vere dimensioni spirituali non dovremo privarlo delle sue ali aperte per sorvolare il panorama materialista e positivista, non dovremo imprigionarlo nella cella angusta e cieca dell'ateismo che non spiega nulla, e che anzi rende tutto il cosmo un pauroso mistero; ma dovremo piuttosto allenare la mente evoluta dallo sviluppo scientifico e culturale al suo sforzo trascendente, a volare nel cielo della luce e dell'immensità religiosa.
Dovremo abituare il nostro mondo scolastico e lavoratore al desiderio e alla ricerca di Dio.
« Spiritum nolite extinguere », non spegnete lo spirito ( 1 Ts 5,19 ).
La religione è il respiro di cui l'uomo moderno ha sempre maggiore bisogno: per vivere!
Ma a questo punto il dramma umano non è concluso; piuttosto si apre verso un'aspirazione, che potrebbe essere disperata.
La religiosità, cioè l'attitudine e l'atteggiamento dell'uomo verso la conquista di Dio non è di per sé sufficiente per placare questa aspirazione.
La religiosità è un grido lanciato nelle immensità misteriose dell'Essere; ma essa non ha la sicurezza d'ottenere una risposta adeguata all'ampiezza dei suoi desideri; anzi quel poco, anzi quel molto, che essa, cioè la virtù conoscitiva naturale, riesce a raggiungere del mondo divino ( come l'esistenza di Dio ) ( Cfr. Denz.-Sch. 2755-2756; 2853; 3875 ), non le è sufficiente.
Non basta all'uomo levare le braccia verso Dio, vuole raggiungerlo, vuole incontrarlo, vuole stabilire un rapporto bilaterale, veramente religioso … Lo può?
Qui si apre al nostro sguardo un quadro sconcertante: quello delle religioni; delle religioni inventate dall'uomo; tentativi alle volte audacissimi e nobilissimi, altre volte e più spesso conati vani, fantastici, superstiziosi, e perfino diabolici; problema cioè circa il giudizio che dobbiamo dare sul fatto che nel mondo e nella sua storia esistono molte, moltissime religioni.
Che cosa dobbiamo pensarne?
Il Concilio ci ha luminosamente istruiti a tale riguardo.
L'umanità è unica; unica dovrà essere la verità, cioè la religione, che la mette in autentico rapporto con Dio.
Ma il fatto non si può negare: la molteplicità delle religioni.
« Gli uomini, dice il Concilio, attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana che, ieri come oggi, turbano profondamente il cuore dell'uomo …
La Chiesa Cattolica nulla rigetta di ciò che è vero e santo in queste religioni … » ( Nostra aetate, 1-2 ).
Sapremo come comportarci.
Ma succede questo: che mentre cresce ai nostri giorni l'interesse culturale rispetto alle varie religioni, - si vedano le poderose enciclopedie pubblicate a tale riguardo in questi ultimi tempi ( in Italia, ad esempio, quella del P. Pietro Tacchi Venturi, e quella in via di pubblicazione, diretta da Alfonso Di Nola e coordinata da Mario Gozzini ), cresce al tempo stesso l'agnosticismo religioso, cioè il dubbio, anzi l'indifferenza e la negazione sul contenuto obiettivo d'ogni religione, non esclusa la nostra.
Nel caso migliore si ripete sotto i nostri occhi l'avventura di Paolo ad Atene, citata come abilissima introduzione al suo discorso nell'Areopago: « Ateniesi - egli dice - io vi vedo dappertutto singolarmente interessati alla religione.
Tanto è vero che vedendo i vostri simulacri ho trovato perfino un altare con questa iscrizione: "al Dio ignoto".
Ora quello che voi onorate senza conoscerlo, io lo annuncio a voi » ( At 17,22-23 ).
Questo, uditori carissimi, è un fatto di estrema importanza, perché dice due cose capitali; la prima, diciamo così, di diritto; e cioè alla religiosità soggettiva dell'uomo deve corrispondere una religione positiva, obiettiva di fatto; e la seconda è che tale risposta è data autenticamente e pienamente soltanto dalla religione cristiana.
Qui è il cardine della storia umana; qui è la realtà dei destini umani.
Ancora e sempre, noi lo dobbiamo proclamare col recente Concilio ( ib. ): « Cristo è la via, la verità e la vita, nel quale gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a Se stesso tutte le cose » (Cfr. 2 Cor 5,18-19 ).
Sappiamo di enunciare una cosa enorme.
Il passaggio dell'uomo pensante dall'ignoranza agnostica o atea al riconoscimento d'una religione naturale necessaria è un processo difficile, ma, per forza di cose, inevitabile; il secondo passaggio, da un senso religioso, anche sincero e profondo, ma vago e incerto, ad una verità religiosa determinata e risolutiva, è un processo ancora più difficile e dovuto ad un'estrema onestà di pensiero e di vita ( Cfr. Gv 3,21 ), in concomitanza ad un segreto intervento divino.
È ciò che nella nostra nomenclatura chiamiamo « conversione » ( Cfr. Mc 1,15 ), vera epifania della grazia, vera metamorfosi dell'uomo vecchio nell'uomo nuovo, vera fenomenologia psicologica e morale, di cui nulla v'è di più interessante nella letteratura dello spirito umano.
Tanto per intenderci: ricordiamo Nicodemo, ricordiamo S. Paolo, S. Agostino …; perché non ricordare Papini …
E, col beneficio dell'inventario, cioè con la libertà d'un giudizio critico, perché non ricordare quei giovani « hippies », che abbiamo visti fotografati con iscrizioni di maiuscola evidenza sui loro rudimentali indumenti: « I love Jesus », io amo Gesù.
Snobismo, dilettantismo? Chi sa!
Speriamo di no: ciò almeno indicherebbe che l'orientamento verso la conclusione risolutiva del problema religioso oggi può avvenire anche mediante forme imprevedibili, anche improvvise, capricciose e mimetiche; e avvenire per la via dei Giovani.
Che siano i Giovani oggi a riconoscere il Cristo?
Come nel giorno delle Palme?
Noi lo speriamo; anzi sappiamo che vi è fra loro, fra i più seri di loro, fra i più coraggiosi, qualcuno che sa ascoltare l'invito frecciante di Lui, e sa subito annunciare agli amici: « Abbiamo trovato il Messia » ( Gv 1,41 ).
Dio voglia!
Con la nostra Apostolica Benedizione.