29 Marzo 1972
L'imminenza della Pasqua ci obbliga ad entrare nel cuore della concezione del cristianesimo.
È come entrare nell'interno di un immenso edificio.
La visita ad una cattedrale ci dà l'impressione sensibile della costruzione dottrinale della nostra religione.
La religione nostra non è semplice; è un complesso monumentale di verità naturali, storiche, umane, rivelate soprannaturali, escatologiche, personali e universali, che, a prima vista ci sbalordiscono, tanto sono grandi, profonde, trascendenti e immanenti.
San Paolo parla di quattro dimensioni: la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità ( Cfr. Ef 3,18 ).
L'universo, cielo e terra, ci sovrasta.
Il tempo assume forme vertiginose: vi si parla di secoli come fossero istanti; e l'istante assurge ad importanza d'una attualità, che sembra concentrare destini decisivi.
Ci si accorge, alle prime impressioni, che siamo davanti ad una visione misteriosa; e non può essere che tale il risultato d'un tentativo di fissare lo sguardo nel mondo divino; ed insieme ci si avvede che, entrati in questo cosmo religioso, tutto è per noi; siamo a casa nostra.
Noi, sì, personalmente non vi siamo estranei, ma più che invitati; non vi siamo, come ancora dice S. Paolo, semplicemente ospiti e forestieri ( turisti curiosi ed occasionali, potremmo oggi dire ), ma concittadini dei santi e della famiglia di Dio ( Cfr. Ef 2,19 ), che ivi dimorano.
Istintivamente cerchiamo il centro focale di questo disegno dalle innumerevoli diramazioni; cerchiamo la base, la pietra d'angolo, la quale subito ci appare: è Gesù Cristo.
Ma in quale forma, in quale funzione?
Cominciamo ad orizzontarci: il cristianesimo, fondato appunto su Gesù Cristo, è una religione di salvezza; Gesù vuol dire « salvatore » ( Cfr. Mt 1,21; Lc 1,31 ); questa è la ragione immediata della sua venuta al mondo; recitando il Credo alla Messa lo diciamo chiaramente: « Per noi e per la nostra salute Egli discese dai cieli » ( Cfr. S. TH. III, 46-59; J. Rivière, Le dogme de la Rédemption; B. De Margerie, Le Christ pour le monde; G. Bevilacqua, L'uomo che conosce il soffrire; ecc. ).
Sì, la Pasqua è la festa della Redenzione.
Il mistero della salvezza vi ha la sua celebrazione principale, commemorata nel suo divino autore, Gesù: rinnovata ritualmente e sacramentalmente nella Chiesa e nei singoli fedeli che vi prendono parte degnamente.
Ma detto questo noi abbiamo sollevato una rete di ricchissime dottrine.
La Redenzione suppone una condizione infelice della umanità, a cui essa è destinata; suppone il peccato.
E il peccato è una storia estremamente lunga e complicata:
suppone una caduta di Adamo;
suppone un'eredità che travasa con la nascita stessa uno stato di privazione della grazia, cioè del rapporto soprannaturale dell'uomo con Dio;
suppone in noi una disfunzione psico-morale che c'induce nei nostri peccati personali;
suppone la perdita della pienezza di vita alla quale Dio ci aveva destinati oltre le esigenze del nostro essere naturale;
suppone cioè un bisogno di espiazione e di riparazione, impossibili alle nostre sole forze;
suppone l'avvertenza d'una giustizia implacabile, di per sé considerata;
suppone una concezione, di per sé ancora, pessimista delle sorti umane;
suppone una sconfitta della vita e un macabro trionfo della morte.
Suppone, o meglio reclama, un disegno di misericordia divina, divinamente restauratore ( Cfr. Apostolicam Actuositatem, 5 e n. 7 ).
Ed ecco allora il grande annuncio di Cristo entrando nel mondo: Verrò Io! ( Cfr. Eb 10,5-10 )
Gesù viene come Salvatore, come Redentore, cioè come Colui che paga, che soddisfa per tutta l'umanità, per noi.
Proviamo a scandagliare il significato di questa parola: vittima.
Gesù viene nel mondo come la vittima espiatrice, come la sintesi della giustizia compiuta e della misericordia riparatrice.
Il Vangelo, per la voce del Precursore, ha di Cristo la definizione più esatta, e per noi più impressionante e commovente: « Ecco l'Agnello di Dio ( cioè la vittima, finalmente degna di Dio ed efficace per noi ), ecco colui che toglie il peccato del mondo » ( Gv 1,29 ).
Gesù è l'oblazione volontaria ( Cfr. Is 53,7; Eb 9,14; Ef 5,2 ) di se stesso, Sacerdote e vittima, che paga per tutti il debito da noi insolvibile della giustizia divina, e lo trasforma in trofeo di misericordia.
Non per nulla il Crocifisso è posto sui nostri altari; Egli è sospeso, come chiave di volta, in alto, nell'edificio, che chiamiamo Chiesa, perché nelle sue pareti noi Chiesa redenta diventiamo.
Dunque una collana di verità basilari cristiane è sospesa al mistero pasquale, che stiamo per celebrare.
Pensate: nessuna manifestazione umana, individuale o sociale, realizza la « solidarietà » come questo mistero.
Nessuno come questo mistero ci dà l'evidenza della « reversibilità » delle colpe e dei meriti.
Nessuno ci conforta come questo a meditare e ad imitare la grande legge morale del morire per vivere.
Nessuno c'insegna di più la gravità del peccato;
nessuno ci ammaestra in modo più persuasivo e più consolante circa la possibilità di fare del dolore un valore, un prezzo, un merito.
Ma soprattutto nessun aspetto del cristianesimo ci svela con altrettanta infuocata violenza, come il mistero pasquale, l'amore di Cristo per noi: « Egli mi amò, e sacrificò se stesso per me » ( Gal 2,20; Rm 8,7; Ef 2,4; 2 Ts 2,15; ecc. ).
« Per primo Dio ci amò e diede il Figlio suo come propiziazione per i nostri peccati » ( Gv 4,10.19 ).
Gratuitamente! col solo desiderio d'essere capito, d'essere creduto ( Cfr. Gv 4,16 ), d'essere riamato: « Perseverate nel mio amore », Egli sembra ripetutamente supplicare all'ultima cena ( Cfr. Gv 15,9.10 ).
Siamo in piena atmosfera mistica.
Ma quanto reale, quanto vicina, quanto pratica.
Come può ossigenare le nostre anime inaridite, e come può dare respiro alla socialità moderna, tanto avida di sapere amare: chi e perché e come!
Una definizione, non completa, ma esatta e stupenda, lasciata al nostro secolo devastato dagli egoismi più avidi e dalle guerre più feroci da un grande spirito religioso, non cattolico, ma innamorato di Cristo, Dietrich Bonhoeffer, suona così: Gesù è « l'uomo per gli altri ».
È vero. Da ricordare.
S. Paolo ce lo aveva già detto ( Cfr. Rm 14,7-9 ); il Concilio lo ha ripetuto ( Cfr. Gaudium et Spes, 32 ).
Da ricordare per la Pasqua che viene.
Con la nostra Benedizione Apostolica.