10 Maggio 1972
Prima che si concluda il periodo pasquale diamo ancora un pensiero alla Pasqua, sempre ricordando l'importanza che essa occupa nel sistema dottrinale cristiano, nel ciclo liturgico della Chiesa, nella nostra vita spirituale.
« Occorre che noi riconosciamo, scrive uno dei più dotti liturgisti contemporanei, nel mistero pasquale il centro della nostra esistenza cristiana » ( J. S. Jungman, Tradit. lit. 346 ).
Se così è, dobbiamo cercare quale sia effettivamente il nostro rapporto primo ed essenziale con questo mistero pasquale; come cioè noi ne diventiamo partecipi, come esso si rifletta in noi nel suo duplice aspetto di morte e di vita, sia nel segno che nella sua mistica realtà.
Questo primo rapporto, sappiamo bene, è stabilito dal battesimo, che riproduce nel cristiano simbolicamente ed efficacemente il mistero pasquale, il mistero della morte e della risurrezione di Cristo, il mistero della nostra salvezza.
È nota a tutti la dottrina di San Paolo: « Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, nella morte di lui siamo stati battezzati - egli scrive ai Romani -; siamo stati sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché, come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita » ( Rm 6,3-4 ).
Ecco la Pasqua: muore e risorge Cristo; nascono, redenti dal peccato originale, i cristiani.
Nasce il corpo mistico di Cristo, nasce la Chiesa.
Dunque: « La finalità del battesimo è in primo luogo ecclesiale, e non escatologica, ciò che spiega il battesimo dei bambini » ( A. Hamman, Baptême, p. 137 ).
Sarà molto istruttivo e molto utile per la nostra concezione della vita cristiana fissare il pensiero in questo punto focale della nostra fede:
la risurrezione del Signore, la Pasqua, è diventata per noi, mediante il battesimo, l'infusione della vita nuova, soprannaturale, la quale si svolge, possiamo dire, in una sfera propriamente teologica, dominata dalle relazioni vitali e ineffabili con Dio Padre, con Cristo Salvatore, con lo Spirito Santo ed animatore;
e nello stesso tempo in una sfera sociologica, nella comunione ecclesiale, fraterna e gerarchica, la Chiesa.
Ancora S. Paolo ce lo insegna: « Tutti noi in un solo corpo siamo stati battezzati » ( 1 Cor 12,13 ).
Questa appartenenza alla Chiesa dovrebbe essere, nel ricordo e nella pratica, il frutto della nostra celebrazione pasquale.
Apparteniamo alla Chiesa.
Non è un'appartenenza qualunque, esteriore, puramente formale, consistente in una celebrazione passeggera, che ci lascia quelli di prima.
È questo un avvertimento che troviamo nelle esortazioni ai neofiti nella Chiesa primitiva, in occasione, ad esempio, della deposizione delle vesti candide, di cui erano ornati i neo-battezzati, durante la prima settimana dopo la Pasqua, fino alla così detta Domenica in Albis ( cioè in vestibus albis depositis ).
Con la Pasqua e con il Battesimo che la inserisce nella vita dell'uomo ( e, aggiungiamo, con gli altri sacramenti che ne fanno rivivere la grazia, come la Penitenza, sacramento esso pure di reviviscenza, e come l'Eucaristia, sacramento che alimenta la fede con la pienezza della carità ), è inaugurata una nuova esistenza che deve avere carattere di stabilità.
Ce lo ricorda S. Agostino, parlando ai fanciulli circa i sacramenti da loro appena ricevuti: « Ciò che tu vedi, passa; ma ciò che è stato significato ed è invisibile, non passa, rimane » ( S. Aug. Sermo 227 ).
La prima esigenza di chi è diventato cristiano è la costanza, è la perseveranza; essa ci è ricordata e confortata dalla ricorrenza settimanale della domenica, con i suoi obblighi religiosi e la sua rinnovazione festiva del giorno del Signore, della Pasqua.
La stabilità!
Quanto impegna il cristiano!
L'educazione vi è intimamente collegata; ch'è quanto dire che un cristiano dev'essere fedele ( non è questa qualifica un sinonimo di cristiano? ), dev'essere coerente, dev'essere forte, dev'essere franco, dev'essere umilmente fiero di definirsi tale, e pronto, ove occorra, alla testimonianza del proprio titolo privilegiato di cristiano.
Scrive S. Pietro nella sua prima lettera per infondere coraggio ai primi fedeli già provati dall'impopolarità e dalle incipienti persecuzioni: « Che nessuno di voi tolleri d'essere ritenuto come un delinquente …
Ma se siete maltrattati perché cristiani, non arrossite; date piuttosto gloria a Dio per questo nome » ( 1 Pt 4,15-16 ).
Quale coscienza profonda e forte dovrebbe generare in noi la novità della vita cristiana, quale originalità di stile nella forma mentis, nella mentalità, nel costume, nel rapporto sociale!
Oggi questa concezione caratteristica dell'appartenenza a Cristo e alla società visibile e spirituale da Lui fondata, la quale attualizza la presenza e la missione di Lui nella storia, in seno all'umanità, cioè alla Chiesa, non è sempre di moda.
Anzi è contraddetta.
Per il fatto che essa, la Chiesa, vive nel mondo e per il mondo, si diffonde l'opinione, anzi l'idea che la Chiesa deve diluirsi nel mondo, assimilarsi al costume ambientale, accogliere ideologie e abitudini correnti nella società profana; deve secolarizzarsi.
Si parla assai oggi della secolarizzazione nella Chiesa, fino a professarla come una rinnovazione, come una liberazione, come una penetrazione del messaggio cristiano nella società moderna.
Anche noi avremmo molto da dire in proposito, sì, per dare alla vita ecclesiale forme e norme corrispondenti ai bisogni dei tempi, e per aprire alla testimonianza della fede e all'effusione della carità le vie nuove e genuine della perenne vitalità della Chiesa vivente.
Ma non senza ricordare ai fedeli le esigenze inalienabili della sequela di Cristo, e quelle vigenti e responsabili ch'essa reca con sé.
Ci limitiamo ora a raccomandare a tutti di vivere il mistero pasquale, con il senso di Cristo e con il senso della Chiesa che gli è dovuto.
E con la nostra Benedizione Apostolica.