7 Giugno 1972
La nostra oggi sia una meditazione postuma alla festa di Pentecoste.
Non ricordate che quella festività ci fece commemorare e celebrare la discesa dello Spirito Santo sopra la prima comunità dei seguaci di Cristo, e quella discesa fu come l'infusione dell'anima nel corpo mistico di Cristo medesimo, e nacque così quella estensione di Lui nell'umanità, che chiamiamo la Chiesa?
Guardiamo la Chiesa come la vide, e la vede Gesù dal cielo, pervasa, accesa, santificata dal suo Spirito.
Ascoltiamo S. Paolo.
Gesù la vede in bellezza, come sposa; Egli l'aveva dapprima amata: « Cristo, dice l'Apostolo, amò la Chiesa e diede se stesso in sacrificio per lei » ( Ef 5,25 ).
E poi aggiunge: « per santificarla, purificandola col lavacro mediante la parola di vita, e per farsela lui stesso comparire davanti, la Chiesa, gloriosa, senza alcuna macchia, senza alcuna imperfezione, ma santa ed immacolata » ( Cfr. Ef 5,26-27 ).
S. Ambrogio vuole che Cristo veda la sua Chiesa rivestita d'indumenti candidi, subito dopo il battesimo ( ogni anima battezzata è tipica e riflette in sé lo splendore della Chiesa ) ( Cfr. DE Lubac, Méd. p. 270 ); perché « nella sua bellezza è disceso dal cielo lo Spirito Santo » ( S. Amrr. De Mysteriis, 7,37; CSEL, p. 104 ).
Nell'uomo la bellezza produce l'amore; in Cristo l'amore precede e produce la bellezza della Chiesa, cioè l'avvenenza dell'umanità da Lui amata e redenta, e ricondotta così alla perfezione primigenia, all'ordine ideale della creazione, irradiante in intuitivo splendore.
La Chiesa, in cui arde lo Spirito di Cristo, è come una lampada accesa.
Noi dovremmo guardarla così.
Ma qui sorge una difficoltà.
La Chiesa, anche dopo la Pentecoste, è composta di uomini.
Gli uomini di Chiesa non risplendono sempre e tutti di luce divina.
Anche i più virtuosi, quelli che chiamiamo santi, hanno pure i loro difetti; anche molti santi sono naufraghi salvati, spesso drammaticamente, o mediante avventurose esperienze, e condotti alla riva della salvezza per misericordia divina, potremmo dire, in linguaggio profano, per caso fortunato.
E per di più non pochi che si professano cristiani, veri cristiani non sono; e che sono ministri e maestri nella Chiesa, non confermano con l'esempio la loro funzione.
Anzi la storia stessa della Chiesa ha lunghe e molte pagine punto edificanti.
La difficoltà esiste, grave e complessa.
Se ne scandalizzano, sia quelli che avversano la Chiesa, sia quelli che, in qualche modo, le sono fedeli.
Dov'è questa bellezza della Chiesa?
dov'è questa trasparenza della sua trascendente santità?
Non è giustificata la contestazione, oggi da ogni parte scoppiata?
Non doverosa e legittima l'esigenza della riforma della Chiesa?
Non è autorizzato dalla natura stessa della Chiesa il ripudio delle sue strutture, delle sue forme istituzionali per dare preferenza, esclusiva e radicale per alcuni, ai soli valori spirituali ch'essa pretende di portare con sé?
La difficoltà esiste, ed esigerebbe lunga e ponderata risposta ( Cfr. Congar, Vraie et fausse réforme dans l'Eglise, Cerf 1968 ).
In un accenno, così semplice e breve come quello concesso a queste parole, limitiamoci a offrire una chiave di soluzione, ossia un'indicazione di metodo, o meglio, di stato d'animo.
Ed è questa.
Vi sono due atteggiamenti generali di spirito per giudicare la Chiesa: ostile il primo, amichevole il secondo.
L'atteggiamento ostile, anche a prescindere da pregiudizi morali, è oggi molto diffuso, e quasi imposto dalla mentalità laica, profana, secolare.
La quale può essere legittima nel campo suo ( Cfr. Lumen Gentium, 36; Gaudium et Spes, 36 ), quando non si fa aprioristica e inibisce a se stessa la ricerca della verità, per qualsiasi campo in cui essa possa spaziare.
Chi tiene aperta la mente, con coraggiosa onestà, presto o tardi, se Dio l'aiuta, vede, ad un dato momento, albeggiare davanti a sé una luce nuova, proprio quella luce che parte forse da una lampada vecchia e difettosa ( Cfr. Gv 3,21 ), e intravede nella Chiesa qualche cosa, forse non subito spiegabile, che non consente più un giudizio del tutto negativo e definitivo; forse anzi balena allo sguardo interiore il volto di un'umanità, vicina e quasi inavvertita, splendente d'una concezione ideale ( Cfr. il bel capitolo 30, 1. 1, del De morihus Ecclesiae catholicae di S. Agostino; PL 32, 1336-1337 ).
E vi è l'atteggiamento amichevole; vogliamo dire filiale.
Il nostro.
Il quale non è per ciò stesso ingenuo e adulatore.
Resta obiettivo, anzi critico e, se occorre, severo.
Ma filiale; cioè parte dall'amore, come quello di Cristo.
Non è a priori orientato a cercare i difetti, a divulgarli di proposito, a limitarsi ad una funzione contestatrice e denigratrice ( non vi sono oggi pubblicazioni, sedicenti cattoliche, che hanno fatto di tale ingrato mestiere il proprio programma? ).
« La carità è … benigna - dice S. Paolo facendo l'apoteosi del primo fra i carismi - … non pensa male, non gode sopra l'iniquità », ecc ( Cfr. 1 Cor 13,4ss ).
E poi, quella visione che Cristo ha della sua Chiesa si riferisce solo in parte, solo in fieri, alla nostra Chiesa pellegrina in questo mondo peccatore, solo agli innocenti, solo ai rivestiti di grazia, solo ai fedeli uniti a Cristo nell'Eucaristia ( Cfr. S. Ioan. Crysost. Homil. XX ), insomma solo ai « santi » ( e sono certo assai più numerosi dei pochi che veneriamo sugli altari ); ma sicuramente la visione di Cristo, che si è modellato in perfetta bellezza la sua Sposa, si riferisce al paradiso, ch'è realtà quasi impensabile ora da noi, ma realtà che basta a riempire i nostri spiriti d'entusiasmo per la Chiesa di oggi e dell'eternità; la Chiesa dell'Apocalisse, quella dove « lo Spirito e la Sposa dicono: " Vieni " » ( Ap 22,17 ).
Sì, lo Spirito e la Sposa di Cristo, la Chiesa, la nostra Chiesa umana e pellegrina e, pur troppo alle volte peccatrice, invocano insieme, nello sforzo della carità nel tempo, l'avvento della carità finale.
E tanto basti a confortare la nostra fedeltà, il nostro amore alla nostra Madre e Maestra, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.
Con la nostra benedizione.