21 Giugno 1972
Ci è oggi doveroso, in via eccezionale, e pressati come siamo da tanti segni di devozione e di affezione, dirvi una parola su cosa che ci riguarda personalmente, su l'anniversario cioè della nostra elezione a Vescovo di Roma e perciò stesso alla successione dell'Apostolo Pietro in questa sua cattedra, alla quale è affidata con la cura pastorale dell'Urbe quella della Chiesa cattolica, diffusa nell'orbe.
Non certo per fare un discorso sopra tema tanto grave e complesso, e nemmeno per narrarvi la storia, del resto molto semplice e breve, e a tutti nota, di questo avvenimento, ma solo per accennare ad alcune impressioni, fra le tante, rimaste nel nostro animo circa quel fatto, e utili forse alla consolazione della Chiesa, tanto prodiga verso di noi, in questa annuale ricorrenza, della sua bontà e della sua pietà.
Ci sembrerebbe infatti ingratitudine verso il Signore e scortesia verso Fratelli e verso Figli fedeli soffocare in assoluto silenzio i sentimenti che riempiono il nostro animo nell'odierna circostanza.
Fu come oggi, nove anni or sono, e proprio a quest'ora poco prima di mezzogiorno, nella Cappella Sistina, che si compì la scelta della nostra umile persona alla sede del Papato Romano; eravamo in tal modo tolti da un altro gravissimo e altissimo ufficio, quello di Arcivescovo di Milano, la sede episcopale che fu dei Santi Ambrogio e Carlo, e dei Servi di Dio i Cardinali Andrea Ferrari e Ildefonso Schuster, ed eravamo chiamati in questa Romana Sede Apostolica a succedere al Servo di Dio, il Papa Giovanni XXIII, sempre compianto ed amato.
Non faremo alcuna considerazione d'occasione; ciascuno, se vuole, le può facilmente fare da sé, ricordando il fatto nella prospettiva del quadro storico e spirituale d'allora: basti ricordare che il Concilio aveva appena celebrato la sua prima non facile sessione, mettendo negli animi di tutti, nella Chiesa e nel mondo, grandi attese e vivi fermenti.
Diciamo soltanto, molto semplicemente, una nostra impressione relativa a quella giornata, e tuttora presente nel nostro spirito.
Parve allora a noi d'essere sopraffatti dal gioco, meccanico o misterioso che fosse, d'una vicenda estranea e superiore alla nostra volontà; non avevamo mai minimamente desiderato, né tanto meno favorito la nostra elezione.
Ci si vorrà credere.
Anzi il nostro anteriore servizio, umilmente e lungamente prestato alle dipendenze di Papa Pio XI, di grande e venerata memoria, e poi d'un altro venerato Servo di Dio, Papa Pio XII, troppo ci aveva edotto circa l'enorme mole di doveri, di difficoltà, di bisogni, che le chiavi di San Pietro portano con sé, perché noi non avessimo la consapevolezza della preparazione necessaria a così formidabile ufficio, e non conoscessimo la nostra carenza dei carismi adeguati a così arduo ministero.
Troviamo in certe nostre note personali a tale riguardo: « Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva ».
Vi confidiamo questo nostro sentimento non certo per fare atto pubblico, e perciò vanitoso, di umiltà, ma perché anche a voi sia dato godere della tranquillità che ne proviamo noi stessi, pensando che non la nostra mano debole e inesperta è al timone della barca di Pietro, sì bene quella invisibile, ma forte ed amorosa, del Signore Gesù.
E vorremmo così che anche in voi, come in tutta la Chiesa, turbata talvolta per le debolezze che la affliggono, avesse a prevalere il senso evangelico di fede-fiducia, richiesto da Cristo ai suoi seguaci, e non avesse mai la paura o lo scoraggiamento ad intristire l'ardimento ed il gaudio dell'operare cristiano.
Quanto a noi, andiamo ancora ripetendo nel cuore la parola d'un altro grande Papa, Leone I, inserita in uno dei suoi classici sermoni pronunciati proprio nella celebrazione annuale della sua elevazione al Pontificato: dabit virtutem, qui contulit dignitatem, darà la forza, Colui che ha conferito la dignità ( Sermo II; PL 54, 143 ).
A proposito di dignità, un'altra impressione provammo allorquando, dopo la famosa fumata bianca, ci sentimmo circondati da ogni sorta di omaggi, ed ebbimo qualche coscienza, con pericolo di vertigine, dell'altezza della nostra funzione apostolica, e subito l'avvertenza del distacco che poteva derivarne, per la nostra modesta persona ed anche per il nostro eccelso ministero, dalle persone care, dai nostri amici, e specialmente dal popolo per il cui bene spirituale eravamo investiti della sublime ed eccezionale dignità di Vicario di Cristo.
La scala gerarchica può forse talora costituire una distanza fra l'eletto e la comunità, e generare coscienza di privilegio.
Noi, rievocando quella giornata ( come quella, del resto, del nostro ingresso ufficiale a Milano, accanto all'onorevole Sindaco, l'ottimo e valente Prof. Virgilio Ferrari ), dobbiamo ringraziare il Signore di essere stati interiormente invasi da un sentimento di immensa simpatia per coloro al cui servizio noi eravamo deputati; avvertimmo nell'intimo del cuore la nostra nuova definizione: servo dei servi di Dio, con tutte le sapienti esortazioni pastorali d'un altro nostro predecessore, lontano nel tempo e vicino nel magistero, S. Gregorio Magno; ma ancor più su di lui ci sembrò vibrante e profonda la voce stessa di Cristo: amas me plus his? ecco il privilegio vero del Papa: mi ami tu, Simone Pietro, figlio di Giovanni, più degli altri?
Pasce!, sii pastore! ( Cfr. Gv 21,15 )
Autorità e carità diventavano, come in visione interiore, una cosa sola; una cosa così grande da dilatarsi fino ai confini del mondo, e da estendersi a tutti i bisogni dell'umanità; comprendemmo in un lampo la missione sociale della Santa Sede.
Una cosa così vera, dall'intuirne la finale, segreta sostanza: l'unità della Chiesa, e anche del mondo, in un certo senso; come pure, nell'ora suprema della sua vita nel tempo, Gesù aveva auspicato, parlando estaticamente al Padre: « siano tutti uno, come Noi lo siamo » ( Gv 17,11 ).
Noi comprendemmo allora il paradosso, che ancora fa ostacolo alla consumazione dell'ecumenismo: il primato di Pietro.
Esso non è lo spettro repellente dall'unità, ma il faro che all'unità deve guidare per fare della cristianità divisa un solo Popolo di Dio ( Cfr. Ef 4,3-7 ).
Allora, ed ancora lo pensiamo, nostro sogno; o meglio, nostra speranza.
Tante, tante altre cose, come potete immaginare, affluirono allora come torrenti nel nostro cuore, per fargli sentire la necessità di tenersi sospeso alla virtù di Dio più che appoggiato sulla sabbia terrena; ed il bisogno, Fratelli e Figli carissimi, dell'aiuto della vostra comunione e della vostra preghiera.
Ve ne sia stimolo e premio la nostra Benedizione Apostolica.