9 agosto 1972
Nostro desiderio adesso è quello di avvalorare quel senso del bene, quella rettitudine nell'agire, quel carattere personale che chiamiamo virtù, onestà, bontà.
Gli uomini d'oggi sono enormemente soverchiati da influssi esteriori, che impressionano il loro giudizio non più teso verso la verità per se stessa, e che distraggono il loro volere, così che « imagini di ben seguendo false » ( Cfr. Dante, Purg. 30, 131 ) perdono il giusto criterio dell'agire umano.
Bisogna risvegliare la coscienza morale, se vogliamo essere, anzi crescere uomini, e tanto più cristiani, nella turbinosa affluenza di stimoli, di opinioni, di pericoli, di valori, della quale l'età nostra ci circonda e quasi ci soffoca.
Ritorniamo al problema morale: di tanto si è uomini di quanto siamo capaci a porre al vertice della nostra esistenza la guida morale.
Un'analisi, qui molto elementare, s'impone.
Soggettiva, per ora.
Quali sono i coefficienti della moralità.
Possiamo classificarli sotto tre parole usatissime: dovere, potere, volere.
Può dirsi buono, cioè uomo perfetto, colui che manca al proprio dovere?
La risposta è unanime: no.
Ma la questione non è finita.
Esiste un dovere?
Quello della norma esteriore, quando questa è legittima, è chiaro: è dovere d'ogni membro del corpo sociale obbedire alla norma stabilita; il buon cittadino è l'uomo fedele alla legge.
Ed ecco subito insorgere una serie di incalzanti questioni: è legittima la norma stabilita?
È legittima l'autorità che la promulga e l'impone?
Comincia la confusione.
Non siamo educati allo spirito rivoluzionario?
Quanta apologia è fatta oggi della rivoluzione, come ideale, come sistema, come fonte di diritto, anzi di giustizia, perché la massa, diciamo meglio, il popolo, i maestri e le guide della società non si lascino convincere, autoconvincere, che la rivoluzione, per se stessa, è dovere, origine poi d'obbligazione morale?
E questa obbligazione sarà storicamente momentanea, o sarà progressiva?
Se progressiva: dove sarà la società, la convivenza, la civiltà?
Non stiamo abusando di questa esplosiva parola « rivoluzione » per farne un mito disastroso, o almeno tormentoso?
E poi: ogni rivoluzione non rivendica a sé l'arbitrio assoluto, il diritto indiscutibile di convertirsi in dominio dispotico e oppressore appena essa abbia prevalso e disfatto i propri oppositori?
Quale regime è più rigorosamente conservatore di quello rivoluzionario?
Ovvero sotto questa anarchica parola di « rivoluzione » non si è ora, in molte parti e in molti cervelli, rifugiata un'altra parola, una ben diversa concezione, quella della riforma, che scaturisce da un'energia non sovversiva, ma rispettosa del bene comune e creatrice di rinnovamento provvido e doveroso?
Come vedete, il tema è ampio e si presta a molte riflessioni ( Cfr. S. TH. II-IIæ, 42; Taparelli, Diss. c. IV, V; I. Leclercq … Locke, Rousseau, Sorel, Marcuse, etc. ).
E intanto ritorna assillante la domanda primitiva: esiste un dovere, indipendentemente dagli obblighi derivanti dalla legislazione sociale?
Sì, esiste; e sorge interiormente; è una voce della coscienza; la sentiamo tutti, per poco che l'ascoltiamo, e che dice: tu devi! tu non devi!
È uno dei temi più frequenti e più nobili nella storia del pensiero.
Celebri maestri ne parlarono con tale autorità che ancora dobbiamo ricordarli: ne parlò Socrate ( Cfr. Critone ), Platone, gli Stoici specialmente, Cicerone ( De Legibus, De Officiis. 5 ), S. Ambrogio ( De Officiis Ministrorum. ), Rosmini, ecc.
Kant vi stabilì il primato della ragione pratica col suo imperativo categorico … ma codesta è un impulso soltanto immanente, nella nostra struttura psicologica, o deriva da un principio superiore, da una volontà trascendente, che si ripercuote dentro di noi e interpreta e guida il nostro essere in conformità ad un pensiero divino?
Che ci vuole come Lui, Dio, ci ha pensati e ci vuole che siamo per realizzare, al tempo stesso la nostra vera natura, libera e progrediente, orientata alla pienezza nostra e all'incontro col suo disegno sapiente e amoroso?
Così è.
Nel Decalogo.
Nel Vangelo.
Nella nostra scuola teologica e filosofica.
Il dovere è la volontà del Padre, la quale proclamiamo come nostra ogni volta che recitiamo la preghiera insegnataci da Gesù: « Sia fatta la tua volontà, come in cielo », nell'ordine cosmico e nel regno dei beati, « così in terra », da noi piccole creature, tuoi servi, anzi tuoi figli!
Qui dovere ed amore s'incontrano e si spiegano l'un l'altro, e accendono una scintilla, che illumina la vita presente e futura.
Parola che spesso, a torto, noi qualifichiamo come antipatica ed ostile: è la legge, la deontologia della vita.
Ma ecco una nuova questione: non è il dovere contrario alla libertà?
V'è chi, superficialmente, lo crede.
E ai nostri giorni un liberalismo filosofico, altrettanto autorevole quanto insufficiente ce lo ha predicato: merito del pensiero moderno ( idealista, specialmente ) ( Crf. Croce ) sarebbe quello d'aver approfondito il concetto di libertà in opposizione a quello di dovere, con quali conseguenze ideologiche, pedagogiche, morali e sociali è facile intuire.
Noi, alunni di Cristo e della Chiesa, oh sì!
Saremo i difensori della genuina libertà dello spirito umano, e perciò degli ordinamenti sociali che ne derivano; ma simultaneamente, e non contro ma in omaggio alla vera libertà, saremo i difensori del dovere, di questa interiore necessità accettata e voluta, che svela a noi stessi la nostra vocazione umana, e che ci solleva al livello morale.
L'uomo non è solo diritto, è anche dovere, specialmente nelle sue sovrane applicazioni, che oggi si preferisce chiamare responsabilità.
Responsabilità, sì, sta bene, di fronte alla propria coscienza, se questa vuol essere logica, coerente, umana; di fronte alla società, e di fronte specialmente a Chi tale ha plasmato la nostra coscienza, responsabile alla fine e soprattutto dinanzi a Lui, qui videt in abscondito, che ci vede nel profondo ( Cfr. Mt 5,4, etc.; Pr 17,3; etc. ).
Per noi il fare il bene è un impegno ( altra parola, che oggi rimette in onore quella taciuta di dovere );
dire la verità è impegno, dovere sempre;
mantenere le promesse è impegno, è dovere, è responsabilità;
pacta sunt servanda, pietra fondamentale del diritto internazionale;
i voti, sono impegni sacri, che non mai si devono violare o, per sé, non mai smentire e ritrattare;
il bene del prossimo, quello di amarlo e di amarci com'Egli, Cristo, ci ha amati, è il grande e « nuovo mandato », il dovere testamentario da Lui lasciatoci, che ci autorizza a farci riconoscere e ad essere effettivamente cristiani ( Cfr. Gv 13,35 ).
Non nascondere, non fuggire, non eludere il nostro dovere, ma amarlo, ma compierlo con vigore, con amore.
Questo per tutti noi, con la nostra Benedizione Apostolica.