16 Agosto 1972

La libertà cristiana sorgente di rinnovamento morale

In questo breve ed elementare colloquio della nostra Udienza Generale noi presentiamo di solito un tema importante, ma in termini così semplici che ci riconducono alla scuola evangelica, la quale riserva ai piccoli la rivelazione delle grandi verità del regno di Dio.

Così oggi, ad esempio, noi parleremo della libertà.

Sappiamo bene che è parola comunissima, oggi in grande fortuna.

Tutti ne fanno bandiera per sé; tutti hanno qualche rivendicazione da fare in nome della libertà.

E questo già dice che è parola controversa; difficile cioè, sia nel significato che le si vuole attribuire, sia nell'uso pratico e pubblico che se ne vuole fare.

A noi preme vedere inserita questa parola « libertà » nell'ordinamento morale della vita umana, ordinamento che vediamo minacciato e sconvolto nella presente trasformazione culturale e sociale, proprio in forza di questa stessa parola « libertà ».

Potrà perfino sembrare una pedanteria superflua la nostra, quando presentiamo alla riflessione moderna una vecchia domanda: esiste la libertà?

Entriamo così nel campo psicologico, come si faceva una volta, per chiederci se l'uomo sia libero, o no.

Un tempo, che non è del tutto finito, nelle nostre scuole dominava il determinismo, che trasferiva il rapporto di rigorosa necessità, che presiede allo svolgimento dei fenomeni fisici, anche allo svolgimento dei fenomeni dell'agire umano.

L'uomo, secondo questa teoria a sfondo materialista ( che noi ora consideriamo nella sua più larga accezione ), crede di essere libero, perché ignora il meccanismo delle cause, che lo hanno indotto ad agire in una data maniera.

E nessuno nega che l'azione umana sia soggetta ad una assai complessa rete di motivi, esteriori ed interiori, che influiscono sulla sua determinazione.

Quando si fa l'elenco di questi motivi si vede che sono così incontestabili e così numerosi da costituire una specie di gabbia, che non consente alla volontà umana di muoversi come vuole, ma quasi a sua insaputa la obbliga a decidere meccanicamente in una data maniera, o non in un'altra.

Ammettiamo l'esistenza e l'importanza dei motivi che sollecitano la volontà a orientarsi in un senso determinante, e che il loro effetto possa assimilarsi ad un risultato meccanico.

Rimane nell'uomo un margine, un largo margine, il suo vero Io, d'indeterminatezza, che lui solo risolve in una sua autonoma decisione.

Rimane insomma la sua libertà.

Per ristretta, insidiata, illusa che sia, la libertà psicologica e morale dell'uomo rimane.

Ora è difficile trovare chi, come un tempo, radicalmente lo neghi.

E per esiguo che sia questo residuo di possibile autodeterminazione, esso è il segno della originalità dell'uomo, della sua essenziale regalità.

L'uomo è arbitro di se stesso.

L'uomo, anche per questo, riflette in sé l'immagine divina; egli è principio, è causa.

Causa del suo agire, Libero è colui che è causa di se stesso.

Padrone e responsabile delle sue azioni ( Cfr. S. TH. Metaph. 11, 9; Contra Gentes, 11, 48 ).

Il discorso si farebbe lungo, e salirebbe come inno celebrante l'antropologia cristiana.

Una sola osservazione aggiungeremo qui, quella che riguarda il rapporto fra l'intelletto e la volontà nell'azione.

L'intelletto non è libero; esso è obbligato dalla verità; ora, non è l'intelletto che guida la volontà?

Ma poi, non è la verità che ci fa liberi, come dice il Vangelo? ( Cfr. Gv 8,32 )

Non è perciò la volontà, al tempo stesso, liberata e vincolata dal pensiero?

Sì; ma bisogna fare attenzione alla diversità dell'influsso che reciprocamente esercitano nel loro stupendo gioco psicologico l'intelletto sulla volontà, e la volontà sull'intelletto.

L'intelletto presenta alla volontà, senza obbligarla, il bene, l'oggetto, a cui essa dovrebbe rivolgersi; importantissima fase della vita morale; fase didattica e pedagogica: ragionare bene ( Cfr. Pascal ) cioè chiarire le idee, e offrire alla volontà l'argomento razionale per la sua decisione; ma non è fase decisiva, perché non obbligante; e la volontà, a sua volta, muove l'intelletto all'esercizio del pensiero, a tale, o tale altro studio; e in questo senso possiamo parlare di « libertà di pensiero » ( Cfr. S. TH. I, 79, 11, ad 2; e I-IIæ, 9 , 1, ad 3; cfr. Sertillanges, La Phil. mor. de St. Th., p. 5 ).

E questo per concludere alla basilare verità: che noi possiamo agire.

Siamo liberi.

Liberi per fare il bene, si capisce; ma - ahimé! - liberi e capaci anche di non fare il bene.

È drammatico, ma è così.

« La libertà dell'arbitrio consiste nel potere peccare o nel non peccare », ci insegna, riassumendo tutta la umana esperienza dopo S. Agostino ( PL 44, 917 ), S. Anselmo ( Cfr. Dialogus de libero arbitrio, PL 158, 489 ).

E se vogliamo rispettare l'uomo nella sua integrità, dovremo sì, educarlo ad agire bene, logicamente, con senso di responsabilità, con capacità di autogoverno, e anche con l'aiuto esteriore della legge e dell'autorità, senza il quale ogni persona umana sarebbe esposta a pericoli d'ogni genere e la società all'anarchia ( Cfr. Rm 13,4 ); ma non dovremo privarlo della sua intima, legittima, intangibile libertà.

Il gioco è estremamente rischioso; ma questa è la sorte dell'uomo, della società, della storia.

L'ordine verrà alla fine ( Cfr. Mt 13,29 ).

Questo diciamo per ricordare come sia, anzi debba essere a disposizione della vita morale soggettiva, oltre il primo coefficiente, ch'è il dovere, anche il secondo, ch'è il potere, cioè l'immunità da vera coazione, sia interna che esterna, non solo nel suo aspetto individuale, di libertà indifferente, o rivolta all'immenso campo del lecito, ma anche nel suo aspetto sociale, di esigenza dell'altrui rispetto, quando la libertà assume il nome e la forza di diritto, cioè di facoltà morale inviolabile.

L'uomo moderno è assai attento a questo volto della libertà, che assurge a diritto, vincolando la comunità e tessendo in essa una rete di rapporti, che denotano il livello di perfezione a cui la società è rivolta.

Perfezione che chiamiamo giustizia sociale.

Civiltà!

Il tema meriterebbe da sé ampia lezione.

Ce ne ha parlato recentemente il Sinodo dei Vescovi, il testo del quale è aperto allo studio e all'attuazione dei volenterosi.

A noi basti ora rilevare il nesso fra libertà e diritto, e dare alla conoscenza e al rispetto dei famosi « diritti dell'uomo », internazionalmente riconosciuti, la stima ch'essi meritano, augurando che essi possano essere integrati con i perfezionamenti tuttora desiderabili, tra cui quello dovuto al diritto alla vera libertà religiosa.

La Teologia della liberazione

Come pure il tema porterebbe a parlare d'un altro tema, di cui oggi tanto si parla, quello della teologia della liberazione dell'uomo.

Liberazione da che cosa?

Da tutti i suoi mali, ricordando sempre il più grave e fatale, il peccato, con tutta la disciplina religiosa e morale relativa a questa liberazione; e poi la liberazione dai molti mali, e dolori e bisogni immensi da cui è afflitta una grande parte dell'umanità per tante cause sofferente, per la povertà specialmente e per le sue misere e deplorevoli condizioni sociali.

Siamo d'accordo.

È quanto la Chiesa, nell'ambito suo, sta facendo per rendere operante questa teologia, ch'è quella sempre nuova e sempre viva della carità!

Ma poi, talora questa teologia diventa discutibile sia nell'analisi e nell'accusa categorica delle cause, sia nella impulsiva proposta dei rimedi, che potrebbero dimostrarsi inadeguati e fors'anche nocivi allo scopo; e per noi rasenta metodi e campi estranei alla nostra competenza.

È tema grave e delicato.

Preferiamo non parlarne in questa sede.

Solo vi abbiamo accennato per mostrare che non vi siamo insensibili.

E che parlando qui di libertà cristiana, come fattore di rinnovamento morale, facciamo voti per tutti i nostri figli che ne abbiano una concezione esatta e ne godano i benefici.

Con la nostra Apostolica Benedizione.