23 Agosto 1972
Per essere buoni, per essere giusti, per essere santi bisogna volerlo essere.
Per dare alla propria statura morale di uomini e di cristiani la sua perfetta misura
non basta crescere passivamente negli anni e assimilare la formazione data dall'ambiente in cui si vive; bisogna imprimere volontariamente alla propria personalità una spinta interiore e dare un carattere specifico al proprio temperamento;
non basta compiere a qualche maniera remissivamente, il dovere che non si può evitare;
come non basta difendere la propria libertà di pensare e di agire come meglio piace contro eventuali ingerenze indebite o sopraffazioni esteriori;
la libertà non deve rimanere neghittosa e passiva, ma deve compiere le sue scelte coscienti e impegnarvi la volontà.
Fattore essenziale e decisivo della vita morale, cioè della vita veramente umana, è la volontà.
Questa facoltà di operare primeggia nel regno del bene; è la vera forza dell'uomo, mediante la quale egli tende alla propria affermazione, alla propria espansione, alla conquista di ciò che gli manca, al proprio fine, alla propria felicità.
È la facoltà per eccellenza dell'amore, che nell'uomo, da istintivo, sensibile, passionale si fa spirituale; e, se rivolto al suo vero e sommo oggetto, ch'è il Bene infinito e realissimo, cioè Dio, riassume ed esaurisce il compimento d'ogni dovere, subito trovando nell'amore del prossimo la sua espressione propedeutica e succedanea, concreta e sociale e, sotto certi aspetti, indispensabile ( Cfr. Gv 4,20 ).
È importantissimo, specialmente nell'età giovanile, avere la concezione esatta della volontà nella struttura umana, e anteporre il suo impiego diritto e forte ad ogni altra valutazione circa le varie esperienze che la vita può offrire.
Nella « buona volontà » deve esprimersi l'ansia di vivere, il desiderio di operare, la capacità di amare.
V'è chi ha parlato follemente di « volontà di potenza » ( Wille zur Macht: Nietzsche ); noi preferiamo parlare umilmente di potenza di volontà.
Attenzione ad un'osservazione fondamentale.
La volontà è una forza dinamica;
essa ha bisogno d'una luce orientatrice;
ha bisogno del pensiero;
il bene, per desiderarlo e volerlo umanamente, dev'essere conosciuto;
l'intelletto perciò dev'essere il fanale della volontà.
Una volontà cieca può rimanere inerte, inoperosa;
ovvero può rivolgersi a finalità inutili, o false, o contrarie al fine supremo;
può pertanto consumarsi in sforzi vani,
può anche peccare, sebbene il fallo della volontà non dipenda sempre dalla sola ignoranza.
Bisogna però essere gelosi dell'ordinamento del nostro essere spirituale; la volontà, la cui importanza nella classifica dei valori umani può superare quella del pensiero speculativo, deve tuttavia dipendere dalla ragione; essa è una aspirazione razionale; l'idea-forza la definisce.
Voi vedete come la valutazione della energia operativa, ch'è la volontà, abbia il sopravvento nella vita moderna nel confronto con l'indagine filosofica, nel campo pedagogico e nello sviluppo del progresso civile ( Cfr. M. Blondel, L'Action ).
Conservando al pensiero la sua primaria funzione, noi possiamo assecondare, anzi promuovere nella sua giusta misura e nelle sue forme coordinate col disegno globale della vita e dei destini umani il volontarismo proprio del nostro tempo, e lo possiamo collegare, e in certo modo derivare dalla nostra visione cristiana della vita.
Il cristianesimo, che ha nella fede la sua prima radice, è, nella sua esplicazione, volontarista.
L'educazione cristiana tende a formare animi forti e operosi.
Non è ammessa la pigrizia, non è ammesso l'ozio alla scuola di Cristo.
Ricordate, ad esempio, le parabole del Vangelo: quelle del seme, quella dei talenti, quella degli operai disoccupati: « perché state tutto il giorno oziosi? » fa loro dire Cristo dal Padrone della vigna ( Mt 20,6 ).
Il tempo di questa vita è sempre collegato dal Signore con l'istanza d'una continua operosità ( Cfr. Gv 9,4; Gv 5,17; Gv 11,9 ).
Si dirà forse obiettando da qualcuno: non ha il Signore rimproverato Marta, tutta in faccende, e preferito Maria silenziosa ascoltatrice ai suoi piedi? ( Lc 10,41 ) cioè, com'è noto, non si è forse, nei commenti tradizionali di questa scena evangelica, personificata in Marta la vita attiva e in Maria la vita contemplativa, assegnando a quest'ultima il primo e intangibile posto?
Sia come si vuole; ma la vita contemplativa non è abdicazione della volontà; è anzi, proprio per l'impegno ch'essa richiede, più che ogni altra condizione di vita, estremamente volontaria.
La vita contemplativa, da cui la società moderna, tutta febbrile e tutta protesa a scopi fuori dell'interiorità umana, avrebbe pur bisogno d'essere ammaestrata e sorretta,
non è quietismo, cioè disinteresse e passività morale, apatia spirituale e rinuncia all'impiego della propria volontà ( Cfr. condanna del quietismo nella Bolla Caelestis Pastor, del 1687, del Beato Papa Innocenzo XI, Denz.-Schönm. 2195 ss.; 2181 ss. );
è attività ardua e amorosa non rivolta all'azione pratica, ma concentrata nelle facoltà superiori dello spirito;
è carisma particolare;
è funzione provvidenziale nell'economia comunitaria del corpo ecclesiale e anche della società profana.
A questo punto, dovendo concludere, noi non possiamo esimerci dall'esortare chiunque abbia il senso della propria elezione cristiana a riflettere quale importanza abbia l'educazione della volontà per evitare che la fortuna della vita, anzi della vita cristiana, sia imputata, all'ultimo giorno, come una responsabilità insoddisfatta, non fosse altro per un fatale peccato di omissione ( Cfr. Mt 25,31ss. ); tremenda condanna escatologica di Cristo giudice: « quando non avete fatto ( il bene che conveniva fare per il prossimo bisognoso ), voi non lo avete fatto a me! » ( Cfr. anche 2 Pt 2,21 ).
Noi siamo ammirati del risveglio di energie operanti e generose per gli innumerevoli bisogni, che quasi con ritmo rinascente e crescente si pronunciano nel nostro mondo, esteso ormai ai confini della terra; e di gran cuore le incoraggiamo e le benediciamo.
E vogliamo ricordare i tre momenti della buona volontà, quali ci sembra d'individuare sfogliando ancora le auree pagine di San Tommaso d'Aquino circa la natura dell'atto volontario: il primo momento riguarda l'intenzione: per bene agire occorre anzitutto accendere nello spirito la retta intenzione, quella che risveglia la volontà e la rivolge alla cosa desiderata perché buona, per ragione del bene ch'essa rappresenta, e questa rettitudine sorpassa la cosa stessa e sfreccia verso il Bene per se stesso, verso il fine ultimo, che gerarchizza sotto di sé ogni bene onesto ( Cfr. S. TH. I-IIæ, 9, 1 ).
Poi viene il momento della scelta, della decisione, dell'amore, quando l'anima ormai si muove con libertà ed energia, con capacità di compiere grandi rinunce per fare grandi conquiste ( Ibid. 13 ).
E finalmente il terzo momento, quello dell'esecuzione, quello del comando, dell'attività pratica ( Ibid. 16 ), con tutte le virtù che reclama per sé, le virtù così dette cardinali, perché sotto di esse si classificano e si organizzano le operazioni umane rivolte al bene.
Così dicendo dobbiamo accorgerci d'aver tralasciato in questo brevissimo quadro un fattore operativo d'importanza trascendente e indispensabile: la grazia divina!
La grazia divina, che infonde in noi la capacità stessa « di volere e di realizzare », proprio in ordine alla buona volontà ( Cfr. Fil 2,13 ): meraviglia e mistero della vita cristiana.
Ma è un mare che qui non possiamo oggi navigare, tanto è immenso.
Voglia egualmente il Signore confortare in noi tutti la buona volontà con la sua grazia, auspice la nostra Benedizione Apostolica.