30 Agosto 1972
Vi ricordate l'episodio del Vangelo che ci narra d'un giovane, il quale si rivolge a Gesù, come a Maestro buono, e Gli chiede: « che cosa devo fare di bene per avere la vita eterna »? ( Mt 19,16 )
La domanda di quel giovane sembra interpretare la voce di molta gente onesta e generosa del nostro tempo, che chiede a se stessa, chiede agli altri, ai maestri della vita specialmente, e più spesso all'opinione pubblica, alle correnti moderne di pensiero e di costume: che cosa si deve fare?
qual è la linea pratica da seguire? come bisogna vivere?
E noi, che stiamo cercando di restaurare un'autentica interpretazione della vita cristiana oggi, notiamo subito un fenomeno individuale e sociale notevolissimo: l'incertezza morale.
L'uomo moderno, con tutte le sue conquiste, è pervaso dal dubbio circa la norma morale, che dovrebbe orientare e dirigere la sua vita, così che egli cammina a caso, ovvero cammina come portato da un flusso collettivo, seguendo la moda di pensiero e di costume, da cui si sente circondato.
Si dichiara libero, sa rivendicare una propria autonomia affrancandosi da certi vincoli tradizionali o ambientali, ma nello stesso tempo si lascia plasmare interiormente e manovrare esteriormente da imponderabili fattori prevalenti, che impressionano la sua esperienza in modo irresponsabile e dominante.
È vero che la vita morale, riguardando non tanto ciò che è, ma ciò che deve essere, è, per quanto concerne, non i principii, ma gli atti singoli, in stato problematico permanente, di natura sua; e la coscienza, la legge, la conversazione sociale di solito risolvono i problemi morali che l'attività in fieri presenta continuamente allo spirito; così è la nostra vita presente impegnata in un costante sforzo di superare un dubbio sul da farsi e di dare a se stessa un piano pratico, sia pure momentaneo, di azione esecutiva.
Ma a questa incertezza, diciamo, costituzionale, dell'uomo di fronte alla propria funzionalità operativa, oggi un'altra incertezza molto grave si aggiunge, quella ideologica, la quale mette in dubbio ogni norma morale, insinuando in molta gente del tempo nostro la persuasione che tutte le regole, che finora presiedono alla comune attività, sono discutibili, anzi sono insostenibili, si possono e si devono cambiare.
È venuto il tempo della « liberazione », intesa in senso radicale, che dichiara decaduto tutto il complesso di leggi, di diritti altrui e di doveri propri, e che cerca d'inaugurare un nuovo stile di vita, il quale demolisce quello precedente ( ecco l'infatuazione rivoluzionaria ), e si propone d'instaurare un ordine ( ovvero un disordine ), in cui ciascuno fa quello che gli pare e piace, senza forse accorgersi che codesta è la maniera più sicura per provocare il regime dittatoriale ( già Tacito lo faceva acutamente osservare: ut auctoritatem evertant libertatem praetendunt; cum everterint, libertatem ipsam aggrediuntur ).
Tuttavia sta il fatto che nel campo operativo tante leggi cambiano, ed oggi più che mai; donde si giustifica come legittima e ragionevole la questione, che, in modo molto sintetico, ci siamo posti: oggi, che cosa dobbiamo fare?
o meglio: quali sono i principii, i criteri, che devono modellare, cioè ispirare, trasformare, impegnare la nostra attività, affinché essa sia buona, umana e cristiana?
La norma morale, nei suoi principii costanti, quelli della legge naturale, e anche quelli evangelici, non può subire cambiamenti.
Noi ammettiamo però che essa possa soffrire incertezze, per quanto si tratta dell'approfondimento speculativo di tali principii, ovvero si tratta del loro sviluppo logico e delle loro applicazioni pratiche: se no, a che cosa servirebbe studiare?
e in che cosa consisterebbe il progresso morale?
Ammettiamo anche che molte variazioni possono e debbono talvolta essere introdotte nelle leggi positive vigenti, le quali tendono di solito all'utilità dell'agire, supponendo rispettata l'onestà fondamentale di tali variazioni: non parliamo noi sempre di riforme, di aggiornamento, di rinnovamento, ecc.?
e ciò principalmente perché le « circostanze », cioè le condizioni del giusto, dell'utile e del possibile in cui la nostra condotta si svolge, sono esse stesse mutevoli, ed oggi più che mai.
Questa mutabilità delle circostanze è ora sentitissima, ed è questa avvertenza dei moltissimi cambiamenti che alterano e sconvolgono il quadro della vita tradizionale, che ci fa tutti agitati e frettolosi non solo nell'accettare le novità, che dappertutto ci circondano e c'incantano, ma nel promuovere noi stessi novità d'ogni genere, e nell'applaudire ad ogni forma di movimento, inteso come attualità e come progresso, fino alle più audaci manifestazioni del genio e fino alle più stravaganti esibizioni del capriccio innovatore.
Cambiare, mutare, inventare, rischiare, questo è lo spirito dell'attività moderna.
Questa smania di tutto cambiare sembra non avvedersi della dissipazione del patrimonio, spesso prezioso e caratteristico, della tradizione e della difficoltà di dare alle nuove espressioni della vita morale la stabilità logica e la solidità etica e giuridica che dovrebbero distinguerla dandole costante durata nel tempo e larga diffusione fra gli uomini, come appunto esigerebbero la storia e la civiltà, di cui tutti vorremmo essere fautori.
Il fenomeno della debolezza e della decadenza morale si aggrava per le condizioni critiche del pensiero moderno, ribelle alle formulazioni filosofiche del passato, e insoddisfatto di quelle del nostro tempo; così la nuova generazione ripudia con tante altre anche la disciplina rigorosa del pensiero, e vi sostituisce, qualunque sia, l'esperienza, criterio superstite di verità soggettiva, per sé inetto a fornire solidi principii all'umana condotta, anzi tentatore e complice, se lasciato a se stesso, di tante deviazioni e degradazioni, a cui la guida della sola esperienza conduce.
Esiste ora uno sforzo per dedurre anche dall'esperienza uno stimolo e poi un insegnamento morale; ma quale sforzo per arrivarvi, quale dubbio per riuscirvi! ( Cfr. Paolo Valori, L'esperienza morale, 1971 )
Bisognerà, una buona volta, che ritorniamo a qualche certezza morale ispiratrice della nostra condotta, non freno all'intensità d'azione reclamata dal nostro tempo, ma cardine fisso per un movimento sicuro.
Dobbiamo superare il grande pericolo d'un relativismo infedele ai nostri salutari principii umani e cristiani, e servile alle idee trionfanti in una data stagione culturale e politica ( ricordate il satirico e umoristico « brindisi di Girella », del Giusti? ).
Noi credenti specialmente dovremmo essere allenati al difficile compito di sceverare nel programma dell'attività nostra ed altrui ciò che dev'essere difeso e osservato, anche a costo di sacrificio ( i martiri chi sono? ), da ciò che può essere dimesso o riformato.
Dovremmo farci un'idea della così detta « morale della situazione »; vederne le insidie quando essa erige in norma morale dominante l'istinto soggettivo, utilitarista di solito, del come adattare diversamente il proprio comportamento a questa e a quella situazione, senza tener conto adeguato dell'obbligazione morale oggettiva e delle esigenze soggettive d'una propria nobile coerenza (Cfr. Denz--Schönm. 3918-3921 ).
Ritorneremo ai rimedi, che possono liberarci dall'incertezza morale oggi dilagante e travolgente verso un nihilismo che potrebbe essere oggi sotto ogni aspetto catastrofico.
I rimedi allora;
primo, la giusta concezione della legge naturale ( Cfr. S. TH. I-IIæ, 94 );
secondo, il ricorso abituale alla propria buona coscienza ( Cfr. Rm 14-23 );
terzo, la fiducia nell'obbedienza a chi ha autorità di esercitarla sopra di noi, tanto in campo domestico ( Ef 6,1; Col 3,20; 1 Pt 3,1; etc.), quanto in quello civile ( Rm 13,1-4; 1 Pt 2,13-17 ); come in quello ecclesiastico ( Lc 10,16; Mt 28,20; etc. ).
L'obbedienza, nell'economia della salvezza, avendo davanti a noi l'esempio di Cristo, « fatto obbediente fino alla morte, anzi alla morte di croce » ( Fil 2,8 ), non degrada la persona umana, ma la solleva alla dignità dei figli del Padre e la inserisce nel piano comunitario, caratteristico del Vangelo, della carità e dell'unità.
Pretendere di affrancare il fedele dal magistero stabilito da Cristo, sia per liberarlo dal dogmatismo dell'insegnamento ecclesiastico, sia per scioglierlo dai vincoli dell'autorità gerarchica istituita da Cristo nella Chiesa, significa strapparlo alla certezza sia della fede, che della norma morale, carisma questo della certezza di fede propria del cattolicesimo, e preferire l'insensato tormento del dubbio crepuscolare, della solitudine spirituale, della infecondità apostolica, quasi ad intaccare la comunione, che nella franca aderenza alla Chiesa autentica ci fa vivere in Cristo e di Cristo, per sentirsi così da Lui stesso ripetere la minaccia ( o la condanna? ): « Chi non è con me, è contro di me; e chi con me non raccoglie, disperde » ( Lc 11,23 ).
Quanto a noi ringraziamo umilmente il Signore, e sempre preghiamolo che ci faccia sempre camminare con passo docile e forte nella luce e nella sicurezza della sua via.
Con la nostra Benedizione Apostolica.