18 Ottobre 1972
Questo incontro con voi, carissimi figli, ci offre ancora una volta l'occasione di aprire l'animo nostro sopra i bisogni della Chiesa.
Di quale altro pensiero può essere pieno il cuore del Papa se non di quello relativo ai bisogni della nostra santa Chiesa?
Due ordini di motivi ci spingono a questa insistente e prevalente considerazione: il primo è d'ordine teologico, e riguarda il fine per cui la Chiesa è stata istituita; l'altro è di ordine sociologico-storico, e risulta dalla visione sulla condizione religiosa e morale del nostro tempo; entrambi denunciano questo fondamentale bisogno, quello della diffusione della fede.
Ascoltiamo il Concilio. « Questo è il fine della Chiesa: con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo.
Tutta l'attività del Corpo mistico ordinata a questo fine si chiama "apostolato", che la Chiesa esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per natura sua anche vocazione all'apostolato » ( Apostolicam Actuositatem, 2 ).
Sì, l'apostolato è uno dei bisogni essenziali e primari della Chiesa; ma oggi più che mai.
Prima di tutto perché è sempre stato così.
Le parole conclusive del Vangelo non cessano di risuonare nel corso dei secoli a quanti hanno la fortuna, come cristiani, di accoglierne l'eco tuttora squillante ed imperativo: « andate e ammaestrate tutte le genti … » ( Mt 28,19 ).
In secondo luogo perché lo sviluppo storico dell'umanità dimostra con evidenza drammatica a chi lo sa cogliere il travaglio dello spirito umano impegnato, fino al fanatismo talvolta, a spegnere ogni senso religioso ( siamo nell'epoca del secolarismo e dell'ateismo, antireligioso e anticristiano, ed anticlericale ), e subito tormentato dalla carenza e dalla fame, che si producono nel medesimo spirito umano, del cibo che solo lo fa vivere in pienezza, la fede nella Parola di Dio ( Cfr. Mt 3,4 ).
Diciamo semplicemente: oggi più che mai, e proprio in funzione del suo progresso, l'uomo, lo sappia o no, ha fame di Cristo.
E allora ci domandiamo: chi può e come portare all'uomo del nostro tempo il contatto vitale con Cristo?
Qui si pone, come la scoperta d'una chiave esplicativa del disegno divino circa la salvezza del mondo, la necessità del mezzo umano fra Dio, fra Cristo, fra il Vangelo e l'uomo da salvare.
La grande economia religiosa della salvezza suppone ed esige una rete intermediaria, un ministero, una trasmissione organizzata e autorizzata di uomo ad uomo.
Il « Kerygma », cioè il messaggio evangelico, esige un messaggero, esige un apostolo, cioè un inviato, un missionario.
La comunicazione di Dio all'uomo può essere diretta; lo Spirito di Dio può effondersi senza alcun tramite; ma non è questo il modo ordinario scelto da Dio per rivelare il regno soprannaturale ch'Egli apre, come un convito ( Cfr. Lc 14,16; Mt 22,2 ) ai singoli uomini e all'intera umanità.
Il fatto religioso rimane, sì, nella sua essenza, un fatto interiore e personale; ma di solito ha bisogno d'essere provocato da uno stimolo esterno; anzi, per il fatto religioso soprannaturale, ch'è quello più vero e reale, si richiede un servizio qualificato, un annuncio autentico, un magistero autorizzato ( Cfr. Rm 10,14ss ).
La fede non nasce da sé; essa è frutto d'una trasmissione, d'un apostolato.
Ed eccoci allora alla ricerca dell'apostolato.
È su questo tema che si svolge la storia della vita pubblica di Gesù.
Egli sceglie fra i suoi discepoli alcuni nominatamente, che poi chiamerà apostoli ( Lc 6,13 ), e manderà in giro ad annunciare il regno di Dio ( Cfr. Mt 10 ).
La missione diventerà specifica e permanente; diventerà pastorale e gerarchica ( Cfr. Gv 21,15ss ).
Così nasce e così si struttura ancor oggi la Chiesa.
Anzi la Chiesa stessa, nel suo insieme, è apostolica, è missionaria; è lo strumento, è il veicolo, l'organo storico e sociale, sacramento, cioè segno e causa, della duplice unione soprannaturale dell'uomo con Dio e degli uomini fra loro ( Lumen Gentium, 1 ).
Facciamo attenzione.
L'applicazione del termine « apostolato » si è venuta dilatando ed estendendo fino a coprire tutta l'area della Chiesa: se essa, proprio per la sua stessa esistenza, è apostolica, tutti i suoi membri sono apostoli.
Non certo per l'investitura che conferisce doveri, funzioni, poteri e carismi speciali al sacerdozio, ma per via di comunione e di partecipazione, ogni cristiano è apostolo, cioè è diffusore della fede, per diritto e per dovere, se non di fatto.
Del resto è facile capire questa esigenza religiosa, che trascende i limiti personali, con una similitudine, che potremmo attingere dalla liturgia: accendete un lume; la sua luce si effonde per virtù stessa dell'accensione.
Così il cristiano; è un uomo in cui è stata accesa la fede; se egli è credente, egli è perciò stesso un diffusore della sua propria luce, della sua propria fede.
Lo sarà per il fatto che egli appartiene e si dimostra membro della comunione cristiana, e poi della comunità dei fedeli, della Chiesa.
Appartenere alla Chiesa, con aperta semplicità, con certo coraggio, se occorre, è già un valido apostolato.
E poi, se l'esempio d'una coerente vita cristiana conferma la qualifica di credente e di fedele, l'esercizio dell'apostolato cresce d'efficacia e di merito.
Ed ora, eccoci ad un gradino superiore, al quale la coscienza della Chiesa odierna, specialmente dopo il Concilio, è pervenuta: ogni cattolico deve essere apostolo in maniera attiva, ed anche, se possibile e sempre liberamente, in forma associata.
Tutti ricordate che il Concilio ha dedicato alcuni dei suoi più caratteristici documenti all'apostolato accessibile, anzi raccomandato a tutti, ai ministri della Chiesa, ai consacrati, ai laici ( Cfr. Apostolicam Actuositatem; Ad gentes; Unitatis redintegratio; Inter mirifica, ecc. ).
Questa è la lezione di rinnovamento che dobbiamo tutti ascoltare.
Un cristiano, se davvero cattolico, dev'essere oggi un apostolo: con la preghiera, con l'esempio, con l'oblazione, con la sofferenza, con l'attività, con la disciplina, con l'organizzazione.
Uno stato di tensione nello sforzo diffuso della fede è il dovere di quest'ora, critica e decisiva, grande e propizia, d'ogni membro del Corpo mistico di Cristo.
Perché invece tanta atonia?
tanta diminuzione di vocazioni?
tanta dispersione di forze in attività particolari ed effimere?
tanta supina acquiescenza alla moda della contestazione?
tanto interesse al capriccio delle divisioni e delle rivalità anche fra molti che operano in istituzioni ispirate da sentimenti cristiani?
Tanta apologia d'un pluralismo, che va oltre la legittima libertà promossa dalla stessa unica fede, e alimenta la critica, il dubbio, la disobbedienza?
Non sia questo il nostro atteggiamento.
La prossima giornata delle Missioni sia perciò a tutti, e tanto più, un richiamo al dovere della cooperazione filiale e fraterna per la diffusione della fede, nella concordia, nel sacrificio, nell'affascinante visione escatologica del regno di Dio.
Con la nostra Benedizione Apostolica.