10 Gennaio 1973
Una parola solo accenda la nostra riflessione, la parola « dopo ».
Dopo che cosa? Dopo ciò che costituisce la premessa della nostra vita cristiana.
Quale premessa? L'immenso patrimonio di fede e di grazia, che abbiamo ricevuto, e che ci costituisce cristiani, patrimonio sia storico, che personale.
Viviamo nella Chiesa, nel flusso della sua tradizione, nella compagine della sua comunione, nella problematica della sua esperienza: la nostra esistenza, se non vuole essere infedele e degenere, non può, non deve prescindere da quanto ci precede nel tempo e che ci è consegnato come tesoro inestimabile.
Potremo, nell'atto stesso di diventare coscienti di questo fatto che ci fa eredi d'una forma religiosa di concepire la vita, assumere un atteggiamento critico, non per rinnegare a priori, ma per valutare con giudizio proprio e attivo e per fare la nostra scelta con libera volontà.
Ma dovremo sentirci responsabili.
Riflettere sul fatto che noi veniamo dopo, e che siamo innestati in una solidarietà, almeno di fatto, con quanto ci precede nel campo della concezione religiosa della vita e del mondo, riveste un'enorme importanza, con momenti interiori forse drammatici, con conseguenze orientative forse fatali.
Questa vicenda postuma può essere considerata in ordine al giudizio generale circa il nostro tempo: la scelta della modernità, del rinnovamento, dell'atteggiamento di rottura rivoluzionaria, ovvero di progresso costruttivo, di logica sociale, di attività morale, ecc. non avviene dopo un bilancio analitico, o sommario di quanto precede circa la condizione della nostra esistenza?
E può essere considerata in rapporto con cose più prossime alla cronaca della nostra esperienza, come avviene dopo la celebrazione di qualche avvenimento o solennità religiosa.
Per noi, ad esempio - ed è ciò che ora qui ci interessa - dopo il Concilio, che aveva scopo e virtù di rinnovare, non di sovvertire la nostra adesione alla vita della Chiesa, che cosa è avvenuto?
quali conseguenze abbiamo noi ammesse come legittime e salutari, quali invece come eversive e perturbatrici?
Avviciniamo a questi ultimi giorni la nostra questione sul « dopo »; vogliamo dire alle feste natalizie, testé celebrate.
Spenti i lumi delle belle celebrazioni, sia spirituali, che profane, nulla rimane?
tutto ritorna come prima, e forse meno bene di prima?
Dobbiamo ricordare che la celebrazione religiosa, quella liturgica in particolare, tende a produrre effetto duraturo; essa fa parte della pedagogia sempre riformatrice e sempre perfettiva, con cui la Chiesa « madre e maestra », educa i suoi figli fedeli a migliore comprensione e a maggiore professione della nostra vocazione cristiana: il calendario religioso non gira nel tempo sempre sulla stessa orbita, ma tende a salire a spirale, e a svolgere verso una progressiva santificazione il corso del nostro pellegrinaggio temporale.
Noi dovremmo, come i buoni commercianti fanno alla fine del loro esercizio contabile, fare i nostri conti su quello che abbiamo guadagnato dalla partecipazione alle feste religiose: impressioni spirituali, approfondimento di qualche Parola di Dio o di qualche mistero di grazia, propositi fatti o rinnovati in ordine alla pratica osservanza della norma cristiana, e così via.
Potremmo, a questo punto, ripensare al Vangelo per ravvisare quanto la bontà di Cristo, ed in genere l'economia di misericordia propria della nostra religione, non sia indifferente alla nostra rispondenza.
Il « dopo » l'abbondanza dei doni divini ha una valutazione molto attenta nel pensiero divino.
Accenniamo appena.
Valutazione positiva per chi ha accolto e ben usato tali doni; ricordate i premi che il Signore promette a chi ha bene trafficato i « talenti » ricevuti; ricordate quelle sue singolari parole: « a chi ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza, ma a chi non ha, anche ciò che ha, gli sarà tolto » ( Mt 13,21 ); ricordate la curiosa parabola: « un uomo aveva due figli, ed accostatosi al primo gli disse: figlio, va' oggi a lavorare nella mia vigna; e quegli rispose: no, non voglio: ma poi, pentitosi, vi andò.
E ( il padre ) avvicinandosi al secondo, gli disse lo stesso.
Ed egli rispose: vado, signore! Ma non vi andò.
Quale dei due fece la volontà del padre? » ( Mt 21,28-31 ).
Parole queste che ci avvertono circa la dovuta serietà dei nostri rapporti con Dio, e che ricordano quelle altre parole di Gesù: « non chiunque mi dice: Signore! Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli! » ( Mt 7,21 ).
E non diciamo poi del terribile discorso di Cristo, che rinfaccia alle città favorite da tanti segni della sua bontà e della sua potenza, e rimaste insensibili al suo richiamo di conversione effettiva ( Cfr. Mt 11,20ss ).
La vocazione cristiana è una grande fortuna, ma esige impegno e coerenza.
Possiamo forse accusare la vita cristiana d'una colpa fondamentale: l'incoerenza.
Alle premesse, alle promesse non sempre corrispondono i fatti.
Non siamo logici col Signore, non siamo fedeli.
Siamo spesso velleitari, non positivi, non realisti.
Manca in noi, troppe volte, la connessione fra il pensiero e l'azione.
La testimonianza delle parole, talora gravi e critiche verso gli altri, non trova la sua conferma nella personale condotta.
Il nostro « dopo » smentisce il nostro « prima ».
Sono sovente quelli fra noi più doverosamente impegnati ad una data ed esemplare professione cristiana, che oppongono pur troppo ai fratelli lo scandalo della loro pratica infedeltà.
L'analisi di questo doloroso fenomeno, che svigorisce l'energia del nostro cristianesimo moderno, potrebbe essere approfondita.
Essa ci porterebbe a individuare le cause di questa diffusa incapacità ad armonizzare fede e condotta, principii e loro applicazione, sia logica che pratica e sociale.
Le troveremmo principalmente nella inconsistenza stessa del nostro modo di pensare, impoverito della forza e dell'arte della razionalità sicura e normale della nostra « filosofia perenne », sostituita o snervata da certe forme di pensiero, invalse nella mentalità di moda, ma prive di fondamento gnoseologico e metafisico, di cui si alimenta un valido pensiero religioso; e le troveremmo nel dissolvimento della obbligazione morale obiettiva, il quale confonde la licenza, l'istinto, l'interesse soggettivo con la libertà e la coscienza trascendente del dovere e del bene.
Analisi lunghe e difficili, ma di grande attualità …
A noi basti ora la ricerca dell'armonia fra il prima ed il poi della nostra condotta cristiana!
Con la nostra Benedizione Apostolica.