17 Gennaio 1973
Perché venite a questo incontro?
Che cosa cercate da colui che è felice di ricevervi, di conoscervi, di parlarvi, di sentirsi con voi?
Un uomo singolare? un fenomeno storico? un testimonio che grida nel deserto?
Noi sappiamo che voi venite qua, non tanto per cercare, quanto piuttosto per trovare.
Per trovare uno che, sebbene forse non l'abbiate mai né visto, né avvicinato, voi conoscete benissimo, come un padre,
un fratello di tutti,
un amico, un maestro,
un rappresentante di quel Cristo, a cui voi stessi appartenete e di cui, come cristiani, portate il nome e le sembianze,
un suo ministro,
un successore di colui al quale Cristo confidò le chiavi, cioè i poteri, di quel regno dei cieli, di quella religione che Egli era venuto a instaurare, e a fondare come una società nuova, visibile, spirituale e universale, la Chiesa, e a costruirla proprio su quell'umile uomo dopo di allora chiamato Pietro, la base, il centro, il principio costitutivo dell'edificio, il servitore, il pastore della umanità autenticamente collegata con Cristo stesso.
Sì, voi venite da noi, perché credete e sapete che qui è la Chiesa, nella sua espressione più genuina e caratteristica, come disse S. Ambrogio: ubi Petrus, ibi Ecclesia, dove è Pietro, ivi è la Chiesa ( In Ps. 40,30: PL 14, 1082 ).
Ciò, ben inteso, indipendentemente dalla esiguità e dall'indegnità della persona fisica che ora vi parla; ciò, anzi, proprio per il senso religioso che qua vi guida è tanto più bello e più consolante.
Perché bello e perché consolante?
Perché ciò contrasta con un atteggiamento, anch'esso caratteristico e diffuso in determinati casi nel mondo moderno; l'atteggiamento negativo verso tutto quello che ha attinenza alla religione, alla fede, alla Chiesa, a Cristo, a Dio.
Noi vorremmo che in questo momento di confidente conversazione voi ci leggeste nel cuore uno dei pensieri più costanti e più amari, al quale ci obbliga, da un lato, il nostro ufficio apostolico e profetico di assertore e promotore del regno di Dio, dall'altro, l'osservazione dell'assenza di Dio in tanta parte della mentalità e della vita dell'uomo contemporaneo.
Ebbene, riflettete un istante con noi a questo fatto che sembra qualificare la storia e la civiltà del nostro tempo: l'assenza di Dio.
Si è tanto parlato e scritto circa questo fatto: l'ateismo, in tante sue espressioni, il secolarismo, cioè l'esclusione d'ogni riferimento religioso dalla vita vissuta dell'uomo e della società, la negazione intenzionale e praticamente radicale del nome stesso di Dio dalle manifestazioni della cultura e della concezione scientifica del mondo e dell'umana esistenza.
Una rinomata rivista francese, ad esempio, c'informava in questi giorni del divieto posto in un determinato Paese, pur di grandi tradizioni religiose, a scrivere il nome di Dio con la lettera maiuscola ( Revue des Deux Mondes, Genn. 1973, W. d'Ormesson, p. 124 ).
A tanto ancor oggi si giunge!
Taluni rappresentanti dell'uomo moderno sono forse diventati nemici perfino del santo e ineffabile nome di Dio?
Questo non è che l'aspetto estremo ed esterno dell'ateismo moderno.
Ma vi sono altri aspetti che meritano la nostra riflessione.
L'uomo moderno, si dice, è allergico alla religione.
Egli non ha più l'attitudine a pensare, a cercare, a pregare Dio.
È indifferente, è spiritualmente insensibile.
In fondo vi è un'obbiezione più grave e tacitamente, ma fortemente, operante: noi, uomini di oggi, non abbiamo bisogno di Dio; la religione è inutile, non serve a nulla, anzi costituisce un freno, un imbarazzo, un problema superfluo e paralizzante; oggi l'uomo si è affrancato dalle vecchie ideologie teologiche, mitiche, pietistiche; e convinto di conquistare una libertà superiore ha spento la lucerna della religione: meglio il buio dell'incredulità che la mistificazione delle speculazioni superstiziose.
Quanta gente la pensa così? e sarebbe vero - ma non vogliamo crederlo - che la gioventù, la nuova generazione si orienta verso questa facile e vittoriosa irreligiosità?
Oggi lo spirito della gente è saturo di conoscenze concrete, sia empiriche che scientifiche, ed è tutto impegnato nel dominio delle cose utili, le macchine ad esempio, o nell'interesse delle cose futili, il divertimento ad esempio; si direbbe che non gli manca nulla.
Il mondo dell'economia e del piacere, il mondo sperimentale e sensibile, il mondo così detto delle vere realtà, tangibili e commensurabili dell'esperienza, gli bastano, e non ha né voglia, né bisogno di cercare nella sfera dell'invisibile, del trascendente, del mistero il complemento e la pienezza al vuoto interiore, che, si dice, non esiste più.
Questa assenza di Dio ci affligge profondamente, e dà a noi la desolata impressione di una anacronistica solitudine.
Ecco, fratelli e figli, uno dei motivi che ci rendono graditissima la vostra visita; essa ci porta il conforto non solo della vostra presenza d'intorno al nostro ministero, superstite nei secoli e nella moderna vicenda umana, ma altresì della presenza di Dio nell'attualità della vita.
Ed ecco che il dialogo con voi, sia pure contingente e brevissimo, ci conferma, per un verso, della suprema ed armonica necessità della religione, della fede, della preghiera, e ci istruisce, per un altro verso, sull'origine e sulla natura di certi paurosi fenomeni della mentalità moderna: l'inquietudine, la confusione, la ribellione, l'intima infelicità di una parte dell'uomo contemporaneo.
Egli ha perduto il senso profondo, metafisico delle cose, il significato della propria vita, la speranza in un destino qualsiasi.
Sì, s'è spenta la luce che rischiarava tutto l'ambiente, e tutti vanno come ciechi cercando un punto di orientamento e d'appoggio, urtandosi e abbracciandosi, come per caso.
Babele risorge? e soffia negli animi della gente quello « spirito di vertigine », di stordimento, di cui parla il profeta Isaia? ( Is 19,14 )
Ovvero in codesta negazione del nome di Dio si nasconde un'intenzione iconoclasta sì, ma contro le false concezioni della divinità, contro le religioni imperfette o corrotte, e perciò risolubile nella ricerca, forse inconsapevole del Dio-ignoto? ( Cfr. At 17,23 ) d'un Dio-Verità?
d'un Dio-bontà? d'un Dio-Vita?
Cioè l'odierna assenza di Dio non sarebbe che un'oscura e tormentosa aspirazione ad una presenza di un Dio-salvezza?
Cioè, alla fine, ad un Messia, ad un Cristo, luce del mondo, in cui l'uomo d'oggi possa ritrovare simultaneamente se stesso e il Dio Padre, suo principio e suo fine?
sua speranza e sua gioia?
Pensiamoci: è il grande problema del nostro tempo.
Quanto a noi, noi abbiamo questa fiducia; e in questa penosa assenza stiamo fermi e diritti, tendendo ancora le braccia all'umanità dolorante, e ripetendo le parole di Cristo: « Venite a me voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi consolerò » ( Mt 11,28 ).
Con la nostra Benedizione Apostolica.