28 Febbraio 1973
Un problema difficile, ed anche insolubile in termini scientifici, ma problema reale ed estremamente importante è quello che possiamo definire la sociologia della grazia.
Se un pastore d'anime, un Parroco, ad esempio, si domanda: quanti dei miei fedeli vivono in grazia di Dio?
non potrà certo soddisfare la sua pastorale curiosità; spontanea curiosità, ma essa oltrepassa i confini della nostra possibile esperienza.
La domanda però insiste, perché lo scopo essenziale del suo ministero, è quello di mettere le anime in grazia di Dio.
Così, chiunque consideri le condizioni religiose d'una popolazione, d'una comunità, o anche d'un solo individuo è tentato di chiedersi se, dove, come vi arrivi la grazia di Dio, sapendo quale sia l'importanza della grazia per la vita interiore dell'uomo, per la sua moralità, e infine per il suo rapporto con Dio e per il suo finale destino.
Il problema è interessante, sotto l'aspetto speculativo, anche per questa sua doppia faccia: la sua impenetrabilità e la sua inesorabile necessità: siamo o non siamo in grazia di Dio?
Potremmo contentarci di domande più superficiali: com'è praticata, in un dato campo la religione?
come è diffusa l'osservanza religiosa?
come è radicata ed operante la fede?
come ascoltata e valutata la parola di Dio?
come frequentati i sacramenti?
come considerata la Chiesa?
Se noi vogliamo renderci conto, anche empiricamente, delle condizioni effettive del cristianesimo nel nostro tempo, se vogliamo prevedere quale può essere la sua sorte all'incontro con i tempi nuovi, dobbiamo ricorrere a questi parametri delle osservanze normali del costume religioso, e poi cercare quali manifestazioni culturali, etiche, sociali ne traducono gli influssi, positivi o negativi che siano.
Ma questa indagine, oggi di moda, utilissima, doverosa anzi, per chi osserva i fenomeni generali della società, non arriva che alle soglie dell'essenza intrinseca del fenomeno religioso.
Qual è questa essenza? è la comunicazione con Dio.
E per noi cattolici e credenti in che cosa consiste questa comunicazione?
Per formulare una risposta a quest'ultima domanda dobbiamo rilevare una novità nella vicenda spirituale contemporanea; e non solo in quella di casa nostra, ma anche in quella dei nostri vicini, e talora perfino dei nostri lontani.
La novità è questa: la valutazione degli elementi carismatici della religione sopra quelli così detti istituzionali, la ricerca anzi di fatti spirituali nei quali gioca una indefinibile ed estranea energia che rende persuaso, in certa misura, chi la subisce d'essere in comunicazione con Dio, o più genericamente col Divino, con lo Spirito, indeterminatamente.
Noi che ne diciamo? diciamo che questa tendenza è molto rischiosa, perché s'inoltra in un campo dove l'autosuggestione, o l'influsso d'imponderabili cause psichiche possono condurre nell'equivoco spirituale, ma può talora guidare alla grande economia cristiana del contatto sopra-naturale con Dio; contatto che ora, per brevità, chiamiamo « grazia » e contiene in sé un mondo teologico e mistico.
È infatti da ricordare che la nostra vera, vitale, indispensabile comunicazione con Dio non è soltanto quella naturale, raggiunta con i nostri tentativi razionali o sentimentali, ma è quella stabilita da Gesù Cristo, quella appunto dell'ordine soprannaturale, quello della grazia.
E che cosa è la grazia? oh! non ce lo domandate in questa momentanea conversazione!
Del resto voi lo sapete: è un dono di Dio; è un intervento del suo Amore, dello Spirito nel libero movimento del nostro animo, anzi misteriosamente lo previene e lo suscita, senza esonerarlo della sua responsabilità ( Cfr. Denz.-Schön. 1541 ).
È una qualità dell'anima, la grazia creata, infusa da Dio-Amore, lo Spirito Santo, Grazia increata; è la causa formale, immanente della nostra giustificazione ( Cfr. S. TH. I-IIæ, 113, 8 ); è la nostra elevazione alla dignità e all'esistenza, quantunque uomini di questo mondo, di figli adottivi di Dio, di fratelli di Cristo, di tabernacoli dello Spirito Santo; è Dio che vive in noi; è il contatto vivo con la Vita divina; è quindi il nostro vincolo con la salvezza in questa e nell'altra vita.
L'essere o non essere in grazia di Dio è questione di vita o di morte.
Non avremo mai abbastanza sopravalutato la grazia di Dio; non avremo mai speso indarno studio, sforzo, speranza, gioia per tenere la grazia al vertice del nostro spirito.
Bisogna assolutamente vivere in grazia di Dio.
Noi così viviamo? quanti, che cristiani si chiamano, vivono in questo stato di grazia?
santi si chiamavano nei primi tempi del cristianesimo coloro ch'erano entrati con la fede, col battesimo, con la penitenza e con l'onestà della vita, e specialmente con l'amore a Dio-Amore, e al prossimo primo termine pratico del nostro amore cristiano ( Cfr. 1 Gv 4,20 ), nella sfera della grazia, cioè della comunione soprannaturale con Dio.
Faremo bene nella prossimità della quaresima a fissare la nostra considerazione, e può essere decisivo per il nostro destino, su questo problema della grazia.
Non ci sarà grave ricorrere a qualche saggia rinuncia, a qualche « igiene » spirituale per ricuperare e difendere in noi lo stato di grazia; e ci sarà quasi connaturale dare alla nostra vita uno stile morale forte e diritto: può essere debole, ambiguo, bifronte, gaudente uno che vive in sé il mistero di divina presenza, ch'è la grazia?
Tonificare in noi questo autentico spiritualismo ci darà il bisogno e il gaudio dei sacramenti, e lungi dall'appartarci dalla Chiesa in gruppi separati e selezionati arbitrariamente, ce ne fa gustare e vivere la comunione: la « comunione » infatti è per noi la sociologia della grazia.
Con la nostra Benedizione Apostolica.