7 Marzo 1973
Le Ceneri: giorno singolare nella vita spirituale del cristiano, per il carattere ascetico, che invade la preghiera, e per l'intenzione programmatica, che lo mette all'inizio della quaresima, cioè d'un periodo di quaranta giorni ( oltre le sei domeniche non calcolate numericamente in tale durata ), di preparazione alla celebrazione del mistero pasquale.
Per chi vuol prendere sul serio questa pedagogia della Chiesa,
per chi vuol vivere la sua storia nel tempo,
per chi vuole lasciarsi penetrare dalla sua più fervorosa spiritualità,
questa è la stagione propizia, è la primavera dell'anima, sia per ogni singolo fedele, sia per ogni comunità, che trova la sua pienezza spirituale nella sinfonia dei pensieri, delle preghiere, degli esercizi ascetici.
Superfluo ricordare che esiste una copiosissima letteratura, distesa lungo i secoli del cristianesimo, fino ai nostri giorni, e preceduta da significative prefazioni nell'Antico Testamento, sopra questo genere d'intensità religiosa.
Tutti conosciamo certamente, almeno qualche cosa, del significato di questo rito delle Ceneri, tanto semplice nella parte cerimoniale, ma profondo e aggressivo nel messaggio che conficca nelle coscienze.
Un messaggio tremendamente pessimista, e indiscutibilmente verista.
Esso impone una meditazione esistenziale e radicale: chi siamo?
Siamo esseri effimeri, fragili, dissolubili.
Siamo esseri compositi, vivi di anima e di corpo, due elementi diversissimi, e meravigliosamente uniti, interdipendenti, formanti una vita sola, di cui l'anima è il principio immortale, è il «noi», a noi stessi misterioso, e solo noto mediante l'espressione e la natura di certi suoi atti, di cui il corpo ci dà notizia, e per cui il corpo è per noi tanto importante; il corpo è l'orologio della nostra esistenza nel tempo, la quale tanto dura appunto quanto il corpo, al quale l'anima, per un ereditario castigo, non riesce a dare vita immortale.
L'anima ha un suo indipendente destino, la sopravvivenza; come? dove? - quando il corpo cade, si corrompe, e diventa polvere, cenere.
Quale sorte spaventosa! e lo abbiamo tanto apprezzato, goduto, curato questo corpo mortale!
E l'anima? quale sarà il suo modo di vivere senza lo strumento corporeo? e il suo destino?
un destino fuori del tempo, cioè delle cose che passano,
un destino, c'insegna la dottrina nostra, fissato dal giudizio di Dio, e carico ancora d'una finale prodigiosa avventura, quella futura della risurrezione della carne e della vita eterna … o dannazione eterna?
V'è di che rabbrividire!
Incubi fantastici? no; siamo nel dominio della potenza di Dio, di quel Dio, che ci ha amati senza misura, ma appunto per rendere possibile ed esultante l'incontro col suo Amore, ci ha fatto il dono della libertà …
La meditazione prosegue ritornando sul binario della vita presente, che scorre appunto sul binario estremamente importante del tempo e della libertà responsabile.
Che cosa è il tempo? i pagani dicono: è Saturno che divora i suoi figli.
I cristiani dicono è una vigilia in attesa di una venuta finale del Padrone divino rimuneratore, dello Sposo divino selettivo, del Figlio dell'uomo nella sua maestà giudicante.
Ricordate le parabole escatologiche di Gesù, cioè quelle in cui il Maestro ha figurato la scena finale della storia umana.
La stazione d'arrivo della rotaia del tempo, la quale s'è curvata secondo l'impero capriccioso, responsabile, decisivo della nostra individuale libertà.
La meditazione potrebbe continuare nella certezza e nella gravità dei così detti « novissimi », cioè delle prospettive ultime verso le quali è rivolto il corso della nostra esistenza nel tempo.
Ne dovrebbe risultare la concezione grandiosa della vita umana, qual è nella realtà del disegno di Dio, Creatore e Redentore, e qual è riflessa nella coscienza del cristiano.
Dalla visione escatologica, e cioè risolutiva e terminale della vita, la coscienza cristiana è tutta penetrata dal senso della propria incombente responsabilità; coscienza mobile come un respiro che sale da una pressione di timore ad un'espressione d'amore: dal timore di Dio all'amore di Dio.
Ecco allora rintracciata la ragione di questo rito inaugurale dell'itinerario del nostro cammino quaresimale verso la Pasqua: dal naturale realismo spietato della morte al realismo soprannaturale e ineffabile della vita, cioè della salvezza, che Cristo, morendo e risorgendo, ha meritato per noi, e che noi alla scuola della penitenza, della preghiera, della carità, alla quale scuola la Chiesa ora ci invita, dobbiamo felicemente conseguire.
In cammino allora, con la nostra Apostolica Benedizione.