16 Maggio 1973
Abbiamo dato, la scorsa settimana, ai nostri visitatori della Udienza Generale l'annuncio dell'Anno Santo per il 1975, ma con un'apertura nelle Chiese locali, cioè nelle varie Diocesi e quindi nelle singole parrocchie e nelle comunità ecclesiali, alla prossima festa di Pentecoste, fino perciò dal 10 giugno, affinché tutti i fedeli nel mondo abbiano tempo e modo di partecipare a questo grande esercizio di rinnovamento religioso e morale ancor prima ch'esso si celebri a Roma nell'anno stabilito, e che in tal modo si possano conseguire i benefici spirituali anche da quelli che non avranno la felice possibilità di recarsi in pellegrinaggio alle tombe degli apostoli nella « città eterna ».
L'annuncio ha avuto grande risonanza nel mondo, come quello d'un fatto che per la sua estensione interessa variamente tutta la terra, e grande risonanza, com'è naturale, nella Chiesa cattolica, come quello d'un avvenimento che la riguarda in ogni suo membro, che de rinnova le vibrazioni spirituali di anni e di secoli della sua storia passata, che le riporta il flusso rinnovatore del recente Concilio, e che le offre motivo e forza per la sua perenne discussione evangelizzatrice con la società umana, pervasa ai nostri giorni da mutamenti assai inquieti e profondi.
Questa prima accoglienza al suono della tromba giubilare ( il termine appunto di « giubileo » si riferisce alle trombe con cui presso gli antichi Ebrei era annunciato l'anno settimo, o sabatico, e l'inizio dell'anno cinquantesimo ), ci fa molto piacere e ci lascia ben e sperare dell'esito positivo di questa ricorrente iniziativa ecclesiale.
Noi dobbiamo, fra le tante, distinguere come altamente significativa e autorevole la voce del Card. Marty, Arcivescovo di Parigi, che a nome proprio ed a nome di tutti i Vescovi francesi, accoglie con gioia la nostra deliberazione, la fa propria, e tanto più volentieri quanto meglio essa coincide con le sue proprie sollecitudini pastorali.
Così di cuore ringraziamo la Conferenza Episcopale Italiana d'aver subito fatto eco al nostro invito con la sua adesione piena di fervore e di promessa.
Questo diciamo a voi, Fratelli e Figli carissimi, e cari Visitatori, e con voi a quanti può giungere notizia di questo nostro commento all'annuncio dato del prossimo Anno Santo, per esortarvi tutti a dare a tale annuncio la dovuta importanza.
Occorre davvero prenderlo sul serio.
Non riguarda un momento fuggitivo della nostra corsa nel tempo; riguarda un orientamento della nostra vita moderna alla fine del secolo ventesimo; non si riferisce ad un aspetto particolare del nostro comportamento mentale, o morale, ma investe tutto il nostro modo di pensare e di vivere.
Si tratta, in altri termini, di un esame complessivo della nostra mentalità in ordine a due realtà principalissime: in ordine alla religione che professiamo, e in ordine al mondo in cui viviamo.
Religione e mondo; fede ed esperienza profana; concezione cristiana della vita e concezione priva di luce, di principii, di doveri e di speranze trascendenti sopra il nostro cammino nel tempo, il quale sfocia inesorabilmente nella morte temporale.
È venuto il momento di misurare la nostra adesione a Cristo nel conflitto ch'essa subisce con l'adesione alle forme di pensiero e di azione, che prescindono dal suo Vangelo e dalla sua salvezza.
È maturo il momento d'un atto di coscienza totale sui valori supremi e sui valori subalterni; è tempo di scelta non solo pratica e remissiva, ma pensata altresì e impegnativa sul carattere generale, che vogliamo imprimere alla nostra esistenza: cristiano, o no? che, alla fine vuol dire, veramente umano, o no?
Potremmo prolungare questo interrogatorio proponendo tante altre alternative, anzi tante altre antitesi, come:
vogliamo essere seguaci di Cristo autentici, ovvero puramente iscritti all'anagrafe dei battezzati e quindi facilmente farisaici e accusati dai principii e dalle esigenze che noi stessi diciamo di professare?
vogliamo fare di Dio e di Cristo il centro che condiziona ed armonizza la nostra vita, col suo dramma di redenzione e con la sua immancabile felicità presente e terminale, ovvero vogliamo porre in noi stessi, nel nostro assorbente e fallace egoismo, il cardine d'ogni nostro movimento?
vogliamo allargare nell'amore solidale verso i nostri fratelli, vicini e lontani, oppure vogliamo rinchiudere il cerchio della nostra visione sociale nell'ambito del nostro ristretto interesse, murato in un amaro egoismo individuale o collettivo, e perciò armato di odio e di lotta, incapace d'amare veramente?
E così via. Noi desideriamo cioè che questa formula dell'Anno Santo costituisca il bilancio generale su le nostre idee, sul nostro modo di concepire i nostri superiori doveri e i nostri veri interessi, e ci guidi alla sintesi nuova fra la nostra fede antica e viva e necessaria, e l'incalzante programma della vita moderna, non tanto in un supino compromesso, quanto piuttosto nell'intelligente armonia cristiana, esigente, sì, di certe rinunce e di certe austerità, ma feconda di sincera umanità, di autentica felicità.
È la filosofia della vita, insomma, che viene in gioco, quella che riconosceva, col Bergson, che quanto più oggi progredisce lo sviluppo scientifico, tecnico, economico e sociale, e tanto più l'uomo ha bisogno d'un « supplemento spirituale », affinché egli non rimanga vittima delle sue stesse conquiste.
È la teologia della vita, quale il Concilio ha delineato, che, a dieci anni dalla sua conclusione, interroga la nostra fedeltà alla sua rinnovatrice parola e la nostra capacità a ricomporre da nostra personale coscienza e la nostra sociale convivenza nella giustizia e nella pace.
Per ora noi ringraziamo il Signore che soffia sul mondo, sulla Chiesa, sulle nostre anime questi maestosi pensieri, e lo preghiamo affinché essi siano, per voi, per tutti, secondo il suo Spirito, illuminanti e vivificanti.
Con la nostra Apostolica Benedizione.