27 Giugno 1973
Una parola fortunata è quella di rinnovamento.
Anche l'Anno Santo l'ha fatta sua.
Si ripete da tutti, in ogni campo.
Essa si applica alle leggi, ai costumi, ai modi di pensare e di vivere; alla cultura, all'arte, alle strutture sociali, alla maniera di concepire la vita, ai rapporti internazionali; si applica anche alle abitudini minori, alla moda, alle forme di parlare e di scrivere, e così via.
Tutto dev'essere nuovo, tutto rinnovato.
Questa, si vede, è una legge di vita.
La vita è novità continua: il respiro, il battito del cuore, la successione dei giorni e delle stagioni, il corso del tempo, le età della vita, gli avvenimenti, la storia, tutto è cambiamento, tutto è movimento.
Ciò ch'è passato ci parla della fugacità delle nostre esperienze; ciò che è presente non ci soddisfa mai pienamente; siamo sempre tesi verso cose desiderate e sperate, che attendiamo per il futuro.
Da quando poi abbiamo preso coscienza della insufficienza del nostro godimento dei beni temporali, e delle meravigliose conquiste, di cui è stato capace l'uomo moderno, l'idea del progresso è diventata ossessiva; tutto deve cambiare, tutto progredire.
L'evoluzione sembra essere la legge liberatrice.
Vi dev'essere molto di vero e di buono in questa mentalità, perché anche nel campo morale e religioso la tensione verso uno sviluppo ulteriore, verso una crescita nuova, verso un'ascensione continua, verso una pienezza ora deficiente e doverosamente desiderabile, ci stimola continuamente a maggiore perfezione; basti ricordare le parole di nostro Signore, il Quale ci propone a modello di perfezione niente meno che Dio stesso: « siate perfetti, Egli dice, come il Padre vostro celeste è perfetto … » ( Mt 5,48 ).
L'uomo dunque è un essere implicito, suscettibile di sempre nuovi e inauditi incrementi; è un essere che non è prigioniero d'alcun limite definitivo, e che è invece stimolato a una dilatazione progressiva della sua personalità spirituale: « cresciamo, ci esorta S. Paolo, in tutto verso di lui, ch'è il capo, Cristo » ( Ef 4,15 ).
E allora la novità è norma, è stile, è storia per l'economia della salvezza: « Se uno è in Cristo, dice ancora S. Paolo, è una creatura nuova; ciò ch'era vecchio è passato; ecco ogni cosa è fatta nuova » ( 2 Cor 5,17 ).
Questo concetto del nuovo nel disegno cristiano ritorna continuamente alla scuola della Parola di Dio ( Cfr. Is 43,19; Ap 21,5; etc. ).
Così che quando sentiamo l'annuncio del rinnovamento, che l'Anno Santo ci deve portare, noi non ascoltiamo una lezione nuova e originale, ma piuttosto il ripetuto, insistente richiamo ad un principio fondamentale della vita cristiana.
Facciamo intanto una prima osservazione: com'è vera, com'è bella la nostra religione, che ci vuole sempre rinnovabili e rinnovati!
quale freschezza, quale vivacità, quale giovinezza di spirito ci è insegnata, anzi trasfusa alla sua scuola!
Non saremmo cristiani fedeli, se non fossimo cristiani in continua fase di rinnovamento!
La lezione sul rinnovamento della vita cristiana è una lezione ricorrente; la ascolteremo tante e tante volte, specialmente nella vicina, grande occasione dell'Anno Santo.
Procuriamo che non sia vana per noi, ma che piuttosto ringiovanisca in noi il senso del dovere di dare al nostro modo di vivere la fede cristiana un'espressione nuova, autentica, adeguata alla drammaticità del nostro tempo.
Ma occorre fare una seconda osservazione fondamentale.
Vigiliamo per non cadere in un equivoco pericoloso.
Rinnovamento può significare molte cose.
Ad esempio, può significare ripudio di valori irrinunciabili, distacco cioè da beni, da verità, da doveri, da cui non ci possiamo, non ci dobbiamo staccare col pretesto di rinnovare.
Rinnovamento può significare, sì, cambiamento, conversione, metànoia; sta bene.
Ma non ogni cambiamento è buono, è utile.
L'uomo possiede un patrimonio, la vita, a cui non può abdicare.
Il cristiano possiede una fortuna, la fede, a cui non può venir meno.
In genere, ogni vivente, anche se povero e infelice, è erede di una tradizione, nella quale certi principii, certi valori sono estremamente preziosi, non fosse altro per dare a lui titolo alla giusta pretesa del riconoscimento dei suoi umani diritti e dell'appagamento dei suoi legittimi bisogni.
Il rinnovamento, di cui parliamo, non potrà avvenire mediante la perdita dei titoli che lo rendono possibile, sì, bene con la tenace difesa di questi titoli stessi e con la sapiente scoperta delle energie salutari in essi contenute.
In questo senso, non si può essere progressisti senza essere conservatori.
Perciò non dobbiamo confondere il rinnovamento con l'ossequio superficiale e servile al relativismo delle idee trionfanti in dati momenti della storia.
La moda, se sotto l'aspetto estetico e contingente della cultura ambientale, merita un adeguato rispetto ( Cfr. Lc 7,32 ), ma elevata a criterio del nostro modo di pensare e di vivere, non è maestra sapiente, non è interprete penetrante dei segni dei tempi; non è veramente liberatrice, ma fautrice di vanità e di delusione.
Dove allora cercheremo il criterio direttivo del rinnovamento, che andiamo auspicando?
Daremo ora una risposta incompleta, ma valida specialmente per noi credenti nella funzione veicolare della tradizione autentica: il criterio direttivo del rinnovamento - è un paradosso, ma carico di verità - sarà quello di risalire alle fonti, di ricercare nel Vangelo, nella storia del Popolo di Dio e dei Santi, nel magistero della Chiesa le formule buone della novità rigeneratrice.
In questa ricerca non tanto retrospettiva, quanto introspettiva della verità divina ed umana, troveremo la chiave per aprire le vie nuove verso quel regno di Dio che anche, fin d'ora, nel tempo può avere la sua luminosa epifania.
Con la nostra Benedizione Apostolica.