11 Luglio 1973
Ancora una volta noi inviteremo la riflessione della Chiesa su l'Anno Santo, verso il quale la nostra marcia è già cominciata.
Ancora una volta noi chiederemo a noi stessi qual è la disposizione fondamentale del nostro spirito.
Ripetiamo: del nostro spirito religioso.
Perché di questo si tratta.
Si tratta di mettere alla prova la nostra religiosità, di verificare la serietà della nostra fede, di precisare l'influsso effettivo che la nostra professione cristiana ha sulla nostra vita.
Si tratta d'una marcia della fede.
Si tratta di misurare la consistenza della nostra qualificazione cattolica nel contesto invadente e soverchiante della vita moderna.
Si tratta di collaudare con mentalità cosciente e riflessa la nostra adesione alla religione, a Cristo, alla Chiesa dopo l'infusione dottrinale e spirituale ricevuta dal Concilio, e dopo l'aggressione secolarizzante, che s'è abbattuta sulla nostra generazione:
siamo ancora credenti?
è ancora determinante per noi la nostra vocazione cristiana?
siamo dei sopravvissuti in una stanca e frammentaria tradizione ecclesiale, ovvero questa riprende e verdeggia, proprio nel clima contemporaneo, di nuova, erompente, incoercibile vitalità?
Diciamo tutto in una parola: l'Anno Santo per noi dev'essere un momento tipico del nostro realismo religioso.
Quando il nostro pensiero arriva a questa conclusione sorgono nella nostra memoria, non sappiamo per quale associazione di idee, le parole, così semplici e così prepotenti, di Gesù nel Vangelo, quando chiama alla sua sequela i discepoli: « Venite dietro a me » ( Mt 4,19 ), e Pietro in particolare: « Tu seguimi » (o. 21, 19 e 22); e quando chiama tutti gli infelici di questa terra: « Venite a me voi tutti, affaticati ed oppressi » ( Mt 11,28 ).
La vocazione di Cristo risuona in fondo allo spirito, con la sua dolcezza e con la sua veemenza, proprio nel momento del confronto fra la nostra posizione di fatto, forse statica e pigra, e l'oceano misterioso e affascinante del mondo contemporaneo; risuona come un'alternativa, nello stesso tempo libera e imperiosa, fra il Vangelo e la cultura babelica a nostra disposizione, cioè fra Cristo ed il mondo: scegli, vieni!
E al primo oscillare della mente, imposto dalla scelta vitale, ecco una strana formula risolutiva e paradossale scaturire nella coscienza: non si tratta, a vero dire, d'una scelta esclusiva, ma d'una scelta coordinata;
vieni a me, ci invita Cristo, non per lasciare e squalificare il mondo, ma per dare al mondo il suo vero valore, riconoscendolo stupendo sì, ma di per sé equivoco e subordinato e, alla fine, deludente;
vieni a me, ci dice Cristo, per servire e per salvare il mondo, per amarlo come Io, Cristo, l'ho amato, dando la mia vita per la sua salvezza.
Cioè, se noi poniamo l'Anno Santo come un esperimento in pienezza della vita cristiana a confronto con la così detta vita moderna, il dilemma diventa formidabile ed entusiasmante, come una gara superlativamente sportiva: « così dovete correre, esorta S. Paolo, da vincere il premio » ( 1 Cor 9,24 ).
Si tratta di fare sul serio, d'essere realisti nella nostra professione cattolica.
Siamo pertanto spinti verso posizioni, che noi pensiamo possano essere particolarmente interessanti a due categorie di persone dell'età nostra.
Alla categoria, si capisce, di quelle persone che già hanno scelto Cristo a qualsiasi titolo, come Maestro di vita, siano esse semplici fedeli, o siano esse in qualche modo più strettamente impegnate alla sua scuola e alla sua sequela; esse comprendono che ormai il vincolo con Cristo non può essere puramente formale e rilassato, ma deve essere vero e teso; cioè non si può essere fedeli cristiani, non religiosi, non sacerdoti solo di nome, ma lo si deve essere di fatto, nella realtà interiore dell'anima, nello stile esteriore della vita.
Una necessità di coerenza ci obbliga a uscire dalla mediocrità, dalla tepidezza, dalla superficialità, dal doppio gioco dell'aderenza positiva al Vangelo, che abbiamo promessa, e della licenza permissiva all'edonismo oggi così facile, interno ed esterno, che ci fa tradire la croce.
Una vita religiosa fiacca e priva d'energia ascetica e di fervore spirituale non ha più senso oggi, e non ha più mezzo per sostenersi e per perseverare nella fecondità della ricchezza spirituale e della testimonianza apostolica; una triste esperienza lo dimostra.
Coerenza; questo è il rinnovamento che l'Anno Santo deve suscitare nei battezzati e nei consacrati.
L'altra categoria di persone, a cui può essere interessante il realismo cattolico dell'Anno Santo, è quella dei giovani.
Sono loro per primi che ci parlano di autenticità.
L'esigenza, ch'essi dimostrano di autenticità ideale e morale, ha avuto in questi ultimi anni, un'esplosione talmente negativa, di contestazione e di ribellione verso una società pervasa da tante ipocrisie e da così aberrante scetticismo logico ed etico, che non poteva non accrescere la sofferenza e la confusione nel cuore della gioventù, donde essa partiva, e donde oggi sembra germogliare una nuova spiritualità; positiva questa, almeno nelle sue istintive aspirazioni:
dov'è l'amicizia?
dove il silenzio?
dove l'espressione libera e lirica d'una poesia orante?
dove l'officina per l'altrui servizio?
dove il ricupero della padronanza di sé e del sacrificio per un ideale più grande di sé?
Rinasce forse nella nuova generazione giovanile un atteggiamento positivo verso la verità, la giustizia, l'amore; verso la preghiera e la fede; verso la ricerca innocente d'una Chiesa umile e buona, capace di ridare senso e valore della vita, e di pianificare una pace virile e laboriosa, dai confini universali?
Noi avvertiamo queste nuove pulsazioni dell'anima giovanile: noi le ascoltiamo con rispetto e con compiacenza; e noi confidiamo che la sincerità rinnovatrice, messa in chiave del grande concerto spirituale dell'Anno Santo, possa esercitare anche su di essa il suo fascino misterioso e verace.
Con la nostra cordiale Benedizione Apostolica.