25 Luglio 1973
Questo discorso, come altri dopo l'annuncio dell'Anno Santo, esige una premessa: nostro desiderio è di dare al Popolo di Dio una pienezza religiosa cosciente e vigorosa, che realizzi quel rinnovamento spirituale e morale, a cui il Concilio era ordinato; e allora ci chiediamo: è possibile, con i tempi che corrono, una vita cristiana autentica, forte, felice, capace di sintesi fra la fedeltà al Vangelo e la partecipazione al mondo moderno?
Rispondiamo: sì, è possibile; anzi diciamo meglio: deve essere possibile; e nell'affermazione di questo dovere noi scopriamo il programma drammatico che ogni figlio della Chiesa, e la Chiesa tutta intera, sono chiamati a compiere in questo momento storico: dobbiamo essere cattolici nel senso forte di questa qualifica, non per vincolo ad un integrismo formale, esteriore, insensibile al linguaggio della nostra età, ma per virtù d'una tradizione coerente e vivente, che trasfonde il suo impegno ed il suo spirito nella presente generazione.
Noi abbiamo parlato, altra volta, d'un cristianesimo felice.
Tale infatti è la realtà che il disegno divino della vocazione cristiana, un disegno in cui si dispiega l'Amore infinito di Dio per l'uomo, e che Egli vuole instaurare.
Ci domandiamo adesso: il compimento di questo felice disegno è altrettanto facile?
Esiste un cristianesimo facile?
Questo è un punto critico, perché la domanda non ammette una risposta univoca.
Bisogna far attenzione; bisogna riconoscere la complessità della questione.
Alla quale possiamo rispondere, sotto un certo aspetto, l'aspetto assoluto e dominante: sì, è facile essere cristiani; cristiani fedeli ed autentici, se noi entriamo nel sistema totale della vita cristiana, perché essa non potrebbe essere davvero felice, se non fosse nello stesso tempo anche facile, cioè proporzionata alle profonde aspirazioni del nostro essere, del nostro cuore, e alle nostre forze, quantunque noi le sappiamo deboli, incostanti, vulnerate da un'infermità originale, e di per sé inette a raggiungere le mete soprannaturali, che il piano del vero cristianesimo ci prefigge ( Cfr. Gv 15,5; 2 Cor 3,5 ).
Ma notiamo, quasi in anticipo delle conclusioni del nostro ragionamento, che coloro i quali si propongono una fedeltà completa alla vocazione cristiana, secondo le modalità del loro stato, ci riescono, ed anzi prendono gusto allo sforzo che tale fedeltà richiede; ci riescono con relativa facilità; è questo uno dei prodigi della vita cristiana; i veri seguaci del Vangelo lo sperimentano; mentre quelli che cercano la facilità riducendo la fedeltà alla vita cristiana, ne sentono il peso, la noia, e trovano che la sua esigenza è quasi innaturale.
Affinché il cristiano avverta in sé compiuta la parola del Signore: « il mio giogo è soave, e il mio peso è leggero » ( Mt 11,30 ), occorre coraggio forte e dedizione amorosa.
Allora non certo per la sola conseguenza d'una legge psicologica, che c'insegna nulla essere difficile a chi ama, ma soprattutto per un processo meraviglioso e misterioso dell'intervento ausiliare della grazia divina noi potremo godere della moltiplicazione delle nostre energie, e avvertire la facilità effettiva dell'imitazione di Cristo ( Cfr. Gv 14,18; 2 Cor 12,9; 1 Cor 15,10; etc. ).
La dottrina della grazia deve essere rimeditata, se vogliamo avere cognizione delle possibilità inesauribili e tuttora disponibili per il grande esperimento che vogliamo intraprendere, quello del rinnovamento d'un vero cristianesimo Post-conciliare nel nostro tempo, Siamo esortati a non avere timore ( Cfr. Mt 10,28; Lc 12,52 ); possiamo osare, dobbiamo osare.
Questa visione fiduciosa e ottimista non è smentita da un'altra visione diversa della, vita cristiana, la quale visione ci mostra come la vita cristiana sia al tempo stesso piena di difficoltà.
Siamo realisti: la vita cristiana, a volerla vivere autenticamente, è difficile.
Chi cercasse di negare, ovvero di sopprimere indebitamente questo aspetto difficile, deformerebbe e fors'anche tradirebbe l'autenticità della vita cristiana stessa.
Oggi questo tentativo di renderla facile, agevole, senza sforzo, senza sacrificio, è in pieno svolgimento, dottrinale e pratico.
Anche a questo punto è importante avere le idee chiare.
Dobbiamo fare quanto è possibile per conservare alla professione cristiana il senso di libertà, e di letizia, che le è proprio.
Non dobbiamo appesantirla con leggi gravi e superflue ( Cfr. Mt 23,4 ).
Dobbiamo infondere in noi e negli altri il gusto delle cose vere, pure, giuste, sante, amabili, oneste, diritte, come ci insegna S. Paolo ( Cfr. Fil 4,8 ); e col gusto la facilità di immetterle nella nostra condotta.
Ma appunto per questo dobbiamo avere il senso dell'assoluto, che percorre da cima a fondo la concezione religiosa cattolica: assoluto per la verità, est-est; non-non, dice il Vangelo ( Cfr. Mt 5,37; cfr. Gc 5,12; 2 Cor 1,17 ), senza concederci le volontarie blandizie del dubbio, o le illusorie comodità d'un pluralismo capriccioso; assoluto per la moralità, che non può prescindere dalle esigenze delle leggi di vita impresse da Dio nell'uomo ( Cfr. Mt 5,17 e tutto il Discorso della montagna; Rm 2,14 ); assoluto per l'opera della redenzione, che reclama da noi l'applicazione della legge sovrana dell'amore, con le sue conseguenze di obbedienza, di dedizione, di espiazione, di sacrificio ( Cfr. Mt 22,36; Gv 12,24; Gv 13,34; etc. ).
Questa fedeltà essenziale a Cristo e alla sua croce dà alla vita cristiana il timbro dell'autenticità, che assume talvolta uno stile d'avventura imprevista e rischiosa ( Cfr. 2 Cor 11,26 ), e perfino d'eroismo, di cui la storia della Chiesa ci offre innumerevoli e magnifici esempi, nei martiri, nei santi, nei veri fedeli.
Sì, la vita cristiana è difficile, perché è logica, perché è fedele, perché è forte, perché è militante, perché è grande.
Così ci conceda il Signore di comprenderla e di viverla.
Con la nostra Apostolica Benedizione.